In un momento storico di grande cambiamento, che ha visto in breve tempo trasformare il Giappone da luogo esotico e inavvicinabile caratterizzato da barriere insormontabili come lingua, a tendenza ...
In un momento storico di grande cambiamento, che ha visto in breve tempo trasformare il Giappone da luogo esotico e inavvicinabile caratterizzato da barriere insormontabili come lingua, a tendenza internazionale nel food, nel turismo e nel soft power in generale, è bene chiedersi a che punto siano gli studi sul Giappone contemporaneo in Italia. Nato un po’ in sordina sulla scia dello tsunamidel 2011, NipPop: Giappone all’infinito – l’iniziativa dell’Università di Bologna che fa il punto su tendenze e prodotti culturali che dai confini nipponici si diffondono a livello internazionale – è arrivato alla sua nona edizione ed èoggi un punto di riferimento per studiosi e appassionati.
Orientalismo, esoticismo, occidentalismo, culture e subculture giovanili e contemporanee sono i temi di studio di NipPop, realtà unica nel panorama italiano e sempre di più punto di incontro per studiosi, artisti, giornalisti e scrittori, che in questa occasione hanno modo di trovarsi, dialogare e dare vita a nuovi progetti.
L’edizione appena conclusa – 17- 19 maggio, dal titolo “#FoodPop: Giappone da gustare” – e di cui sono stata ospite, è stata dedicata al mondo culinario giapponese tra racconto e immaginario. Per me èstata un’esperienza bellissima e stimolante, un’occasione preziosa per rivedere amici e colleghi che spesso vivono lontani ma con i quali sono costantemente in contatto. Ideatrice e direttrice della rassegna è una cara amica, Paola Scrolavezza, docente di Cultura e Letteratura Giapponese all’Università di Bologna, con la quale ho cercato di fare il punto su NipPop e sugli studi del Giappone contemporaneo in Italia.
Professoressa, perché avete deciso si dedicare l’edizione appena conclusa al cibo, ma sarebbe meglio dire al food? La diffusione internazionale di alcuni piatti trasmette troppo spesso un’immagine stereotipata e un po’ abusata del cibo giapponese. La cucina giapponese si è affermata e diffusa nel mondo a partire dagli anni ’80, quando il sushi ha iniziato letteralmente a conquistare Stati Uniti e Europa, fino a raggiungere negli ultimi anni una popolarità globale. Parallelamente in Giappone la cucina si è andata definendo sempre più nettamente come tratto fondamentale dell’identità, individuale, culturale, e locale laddove la specificità regionale delle pratiche alimentari diventa un punto di forza nella promozione del marketing e del turismo. Non a caso il marchio ‘Cool Japan’, che dall’inizio degli anni 2000 promuove il paese come superpotenza pop, è diventato un elemento chiave nel marketing del food. Durante NipPop 2019 abbiamo riflettuto su questi temi ma anche sulle rappresentazioni del cibo nell’arte, nell’animazione, nel manga, nella letteratura: la cultura contemporanea in tutte le sue forme ha un ruolo fondamentale non solo nella costruzione e definizione della food culture ma anche nel connotare la cucina con nuovi significati. Come ogni edizione, anche quest’anno a NipPop sono intervenuti ospiti di altissimo livello come la scrittrice Ogawa Ito (Il ristorante dell’amore ritrovato, Neri Pozza 20190; La cena degli adii, Neri Pozza 2012; La locanda degli amori diversi, Neri Pozza 2016), Chef Hiro (Hirohiko Shoda), la mangaka est em, l’illustratrice Yoshiko Noda in arte Yocci, Yasuo Kameyama, produttore di serie animate, giornalisti e scrittori come Stefano Carrer e Pio d’Emilia , docenti universitari e traduttori come Gianluca Coci, Paolo La Marca, Susanna Scrivo o il sociologo Junji Tsuchiya, rappresentanti dell’editoria manga come Massimo Soumaré. Tu stessa che stai sviluppando una collana sulla cultura gastronomica giapponese per Gribaudo.
Alcuni raddoppiano la “s”. Così come altri dicono “stammattina”. Ma è sbagliato. L’Accademia della Crusca spiega da dove viene l’erroreL’inchiesta “Mammasantissima” della Dda di Reggio Calabria svela il vertice segreto della ‘ndrangheta, in grado di controllare le elezioni locali fino a mandare i suoi uomini in Parlamento. Chiesto l’arresto per il senatore Gal Antonio CaridiIl ruolo di polizia, imam e politica nella reazione contro i colonnelli. Il cui tentativo di colpo di Stato sarà usato dal Presidente turco per smantellare i residui della Turchia laica di AtaturkEpisodio di guerra più unico che raro: avvenne in Olanda, nel 1795, durante la guerra tra l’esercito rivoluzionario francese e la Prima coalizione anti-francese. Cavalli contro navi, vinsero i cavalli
Come nasce l’idea di NipPop e come si sviluppa? NipPop: Parole e Forme da Tokyo a Bologna, che nel 2019 è giunto alla sua nona edizione, è un’iniziativa ideata e curata da me, con la partecipazione attiva degli studenti della mia università. Nel 2011, l’anno del terremoto e dello tsunami che hanno colpito le coste del Tohoku, volevamo dare un segno concreto di solidarietà al Giappone e alle zone colpite, per cui abbiamo deciso di organizzare un evento di beneficenza, abbinato a una raccolta fondi da destinare alla Croce Rossa giapponese. I ragazzi erano tutti appassionati di manga, e così dalle nostre discussioni e riflessioni è nata l’idea di dedicare la giornata alle culture pop, coinvolgendo Keiko Ichiguchi, una mangaka giapponese che da anni risiede e lavora a Bologna, e i famosi Kappa Boys. Così è nato NipPop: il nome lo abbiamo scelto nel corso di una serata in birreria…! Il logo è arrivato l’anno successivo, disegnato da Stefano Dore, allora giovane aspirante grafico amico di uno dei miei studenti. Nel 2011 non pensavamo a un evento da riproporre annualmente, è stato solo l’entusiasmo dei ragazzi a portarci fin qui. Al cuore di NipPop c’è naturalmente l’amore per la cultura giapponese, ma anche un modo preciso di guardare alla cultura: lasciando da parte la prospettiva puramente accademica è mio interesse dare spazio a un approccio più dinamico. Il confronto e dialogo tra tutti gli attori coinvolti nella produzione, diffusione e fruizione dei prodotti culturali è al centro del nostro lavoro: studiosi ma anche artisti, editori, distributori, traduttori, adattatori, doppiatori, giornalisti, fan. Insomma, NipPop riflette quello che è il mio approccio alla ricerca che negli anni si è sempre più incentrata sui processi culturali.
Mentre paesi come gli Usa o la Francia hanno una lunga tradizione di studi sul Giappone contemporaneo, in Italia è sempre stata più forte la tradizione degli studi classici. Come si colloca NipPop in questo panorama? La nipponistica italiana – e più in generale l’accademia italiana – tende a un certo conservatorismo, che si riflette nel maggiore spazio e nella maggiore attenzione dati ai classici, anche moderni (Kawabata, Dazai, Sōseki). Credo che molto dipenda dal fatto che ancora rimane un pregiudizio verso la cultura cosiddetta di massa e forme considerate troppo pop(olari) e quindi marginali: il manga, l’animazione, il light novel, ma anche più in generale la letteratura o il cinema di genere… Oltre al fatto che parlare di contemporaneo significa muoversi su una superficie scivolosa, perché tutto è in fieri, in continuo e velocissimo mutamento. NipPop vuole invece valorizzare la ricchezza e il potenziale espressivo e creativo delle culture emergenti, e proporre un nuovo approccio, meno accademico e più aperto, dinamico, eccentrico, integrato. Io credo che anche il nostro modo di analizzare e studiare le varie espressioni letterarie, culturali, artistiche debba sapersi trasformare.
NipPop vuole valorizzare la ricchezza e il potenziale espressivo e creativo delle culture emergenti, e proporre un nuovo approccio, meno accademico e più aperto, dinamico, eccentrico, integrato. Io credo che anche il nostro modo di analizzare e studiare le varie espressioni letterarie, culturali, artistiche debba sapersi trasformare.
Quale è il punto sugli studi sul Giappone contemporaneo oggi in Italia? Credo che gli studi sul Giappone contemporaneo in Italia dovrebbero essere potenziati. Ci sono ottimi studiosi che si interessano di contemporaneo, penso a Giorgio Amitrano a Napoli per esempio o a Gianluca Coci a Torino. Ma credo che dovrebbero nascere dei corsi di studio incentrati sul contemporaneo, sulla cultura e sulla società giapponese oggi. Credo che dovremmo aprirci a strumenti critici innovativi, per guardare con occhi nuovi al nostro oggetto di studio, e soprattutto abbandonare la prospettiva ormai stantia e obsoleta che vuole il Giappone e la sua cultura un unicum. È fondamentale – e i giovani ricercatori sempre più spesso lo fanno – aprirsi al dialogo con altre discipline e altre culture. Soprattutto quando si parla di processi culturali in atto oggi, quando la globalizzazione è un dato di fatto. A Bologna collaboro con un progetto incentrato sulle dinamiche più attuali del mercato della cultura globale, Millennium Novels, Global Readers, dove insieme a colleghi italianisti, anglisti, esperti di media, lavoriamo sulle narrazioni – letteratura, cinema, TV, comics – nell’ottica dei flussi, con l’obiettivo di avviare una riflessione sulle cosiddette nuove Humanities: narrazioni che affrontano questioni di portata globale, tematizzando, problematizzando e articolando a livello formale l’attuale condizione di interconnessione planetaria e le sfide che ne derivano; narrazioni che acquistano un rilievo globale a livello di ricezione (circolazione/traduzioni/riscritture/adattamenti), contribuendo alla formazione di un nuovo immaginario globale; forme di resistenza e di posizionamento critico rispetto a un immaginario globalizzato e all’impatto della globalizzazione; nuove forme di soggettività, con particolare enfasi sul genere (gender), in una prospettiva globale. NipPop stesso rientra inoltre nel ricco programma di attività promosse dal NuR Power to the Pop – Osservatorio sulle culture pop contemporanee, di cui sono responsabile insieme al collega Gino Scatasta (che si occupa di letteratura e di cultura popolare inglese). Il NuR ha come obiettivo principale la ricognizione e lo studio delle culture pop contemporanee in ottica comparatistica, interculturale e multimediale.
‘Muen shakai’, società senza relazioni, è il nuovo slogan lanciato dai media per definire la dilagante precarietà sociale.
Quali sono secondo lei i temi caldi del Giappone di oggi che meriterebbero più attenzione da parte degli studiosi e dei media? Il Giappone è una società avanzata nella quale soprattutto a livello sociale, si sviluppano fenomeni che poi arrivano anche in Italia o in Europa. La società giapponese sta cambiando e lo sta facendo molto velocemente. Dovremmo guardare tutti con attenzione alle trasformazioni in atto, nel mondo del lavoro, nell’istituto della famiglia, ma anche negli stili di vita. Anticipare il momento e il punto in cui si aprirà una nuova crepa. In un mondo sempre più culturalmente globalizzato, il Giappone continua ad anticipare tendenze (dal design allo street fashion) e, in quanto società avanzata, crisi e soluzioni alle stesse. Sviluppi da monitorare secondo me sono quelli relativi al dilagare della precarietà e al rapporto con le tecnologie. La precarietà, è oggi più che mai una parola chiave della condizione umana, in ogni parte del globo, ma soprattutto nella parte più sviluppata e ricca del pianeta. Se una volta era un concetto riferito all’incertezza lavorativa, la precarietà nel mondo contemporaneo indica la fluidificazione della vita stessa, in particolare in Giappone dove il cambiamento nella logica del lavoro, progressivamente radicatosi nell’arco dei due decenni perdutidallo scoppio della bolla economica dei primi anni ’90 al post-Fukushima, si è ormai annidato in ogni forma di relazionalità quotidiana. Nel paese attraversato da trasformazioni profonde a livello politico, economico, culturale, la famiglia è uno degli ambiti più colpiti: il calo delle nascite, il rapido invecchiamento della società, l’alto tasso di divorzi, la drammatica escalation della violenza domestica, la delinquenza giovanile, i suicidi, la prostituzione infantile, sono tutti fattori che hanno portato a una crescente instabilità nel sistema familiare tradizionale, e all’emergere di forme diverse e diversificate di convivenza. Le statistiche raccontano che oggi un terzo dei giapponesi vive da solo, e termini quali NEET (not in education, employment, or training) e hikikomori (ritiro sociale) indicano fenomeni giovanili diffusi, e non più solo in Giappone. A fungere da comune denominatore la solitudine, lo smarrimento, il senso di non appartenenza, che il terremoto del Tohoku del 2011 e la conseguente crisi nucleare hanno ulteriormente aggravato. ‘Muen shakai’, società senza relazioni, è il nuovo slogan lanciato dai media per definire la dilagante precarietà sociale. È un tema che ricorre nel dibattito pubblico, che vede coinvolti esperti di vari settori, e che emerge sempre più insistente nella letteratura, nel cinema, nei media. La critica è concorde nel definire la produzione post-Fukushima letteratura della precarietà: la scrittura si confronta con la perdita di certezze, lo smarrimento e la solitudine che segnano le generazioni cresciute nei decenni perduti. La mia sensazione però è che la precarietà cominci a essere letta come un’ancora di salvezza, nella sconnessione da qualunque norma, costrizione o anche relazione sociali. Lo stesso vale per il rapporto con la tecnologia – soprattutto robotica – il Giappone è avanti rispetto a noi, e sta già trovando delle vie per integrare il diverso tecnologico nel quotidiano, quel diverso che per noi è ancora fantascienza e per il Giappone è già realtà diffusa.
Cosa ne pensa di tutto questo interesse intorno al Giappone, di questo fenomeno di massificazione della cultura giapponese? Non pensa che forse si tende a semplificare un po’ troppo e a banalizzare anche concetti molto complessi e diversi? Oggi più che mai il Giappone è di moda. Tutti ne parlano, a proposito o a sproposito. Ammetto che ogni tanto vedere riproposti nuovi e vecchi stereotipi mi provoca una reazione istintiva di irritazione, ma se rifletto con un minimo di distacco non posso non riconoscere che tutto questo rientra nel processo di globalizzazione. Internet ha portato il Giappone più vicino, e il rafforzamento dell’euro rispetto allo yen lo ha reso più accessibile. In altri termini il Giappone e la cultura giapponese hanno visto crescere in misura esponenziale la propria presenza sui mercati internazionali. E l’impatto in altri paesi passa anche attraverso la promozione spontanea di immagini e modelli (luoghi comuni, stereotipi o contro-stereotipi) della giapponesità. Sto facendo uno studio simile sull’immagine dell’Italia e dell’italianità in Giappone… sono processi dinamici.
Cosa si aspetta ancora per NipPop? Nel corso degli anni NipPopè venuto sempre più a configurarsi come un momento e uno spazio di scambio con una fitta rete di realtà, istituzioni e aziende giapponesi che operano nel mercato globale e che si sono dimostrate molto sensibili alle nostre iniziative e desiderose di ampliare la collaborazione con un soggetto che reputano godere del prestigio di essere stato creato e sviluppato nell’ambito dell’Alma Mater. Letteratura, arte, manga, musica, cinema sono solo alcune delle componenti che caratterizzano NipPop, che, nell’arco delle varie giornate, prevede momenti di riflessione critica nei quali si alternano interventi su diverse tematiche da parte di studiosi e accademici provenienti da importanti centri di ricerca internazionali e di artisti ospiti; un secondo spazio, poi, è dedicato ad appuntamenti che incentivano lo scambio con gli studenti e con il pubblico, come laboratori e incontri con gli autori, ma anche performances, proiezioni, tavole rotonde e molto altro. Per il prossimo anno, NipPop rimane fedele al suo carattere eccentrico, per cui per ora posso solo dire niente sport… Abbiamo già un’idea e anche piuttosto articolata, ma per ora sveliamo solo le date: 22-23-24 maggio 2020. Vi aspettiamo!