Vita e Morte possono sussistere nello stesso spazio? Far parte di uno stesso momento? Può una donna, incinta, che sta per dare la vita, essere immaginata in di un campo di battaglia, lo stesso campo nel quale il samurai sta per perdere la vita e incontrare la morte? E ancora, non è forse la vita della madre, disposta a donare se stessa per il proprio figlio, un campo di battaglia simile a quello nel quale lotta il samurai?
Nasce da queste riflessioni il progetto estetico di Luca Vecchi, Okaasama – Onorevole Madre, una mostra fotografica formata da 4 trittici, 8 dittici e numerosi scatti singoli che ritraggono donne incinte vestite di antiche armature rituali Yoroi della tradizione giapponese. “Ho immaginato il rapporto simbiotico tra madre e figlio come quello che il samurai aveva con la propria spada. La spada poteva essere utilizzata sia per fare del bene ma anche per fare del male. La madre può fare lo stesso col figlio, prepararlo al mondo in modo che possa fare del bene alla società oppure, al contrario, essere dannoso per l’umanità”, spiega Luca Vecchi, sceneggiatore, regista e attore comico nonché cofondatore del collettivo artistico The Pills. Luca Vecchi, che da anni pratica le arti marziali, è un grande ammiratore della cultura giapponese. Nasce dall’unione di queste passioni, quella per la fotografia e quella per il Giappone, l’idea di proporre una riflessione sul corpo della donna, confinato per secoli al ruolo di procreatrice.
“Ho scelto di armare le mie madri con l’armatura Yoroi perché sul campo di battaglia si aveva l’impressione di combattere contro statue inanimate. L’elmo giapponese, il kabuto, è molto basso e il sole non arrivava agli occhi. La vista era limitata e quindi quando combattevi la parte più viva del corpo di un essere umano che è lo sguardo, era celata alla vista. Complice anche la maschera, menpo, l’avversario appariva come un demone. Venivi soverchiato psicologicamente perché non capivi chi avessi davanti. L’altro era un’ incognita e la lotta si svolgeva sotto la luce di una violenza psicologica di fondo. Mi è piaciuto mettere in contrasto l’immagine rassicurante della figura materna con quella del guerriero. Infatti la parte scoperta è quella più femminile, i seni, la pancia.” continua Vecchi.
Il dualismo, l’antitesi tra due messaggi, quello materno e quello bellico messi a confronto, è il centro della ricerca di Okaasama. Un’operazione estetica che ha come obiettivo quello di destabilizzare il fruitore delle immagini e dunque far riflettere sui limiti e le possibilità. Per raccontare gli opposti che si incontrano Luca Vecchi sceglie non a caso il bianco e nero, il pieno e il vuoto. L’artificio della ricostruzione delle armature e la scelta delle pose in studio riprendono concettualmente il lavoro di Marcelin Flandrin e la tradizione delle fotografie a banco ottico dei primi etnografi ed esploratori. Il linguaggio fotografico di Vecchi, però, è legato alle visoni ritrattistiche di Nadar e Robert Mapplethorpe, al rapporto emozionale di Richard Avedon con i suoi soggetti in un connubio tra armonia classica e caricatura grottesca, ma anche all’estetica pop dei manga giapponesi.