#TsurezuregusaAl Tayar – La Corrente, di Mario Vattani (Mondadori)

Noir, giallo, horror, thriller ai limiti del pulp: si potrebbe definire in molti modi il nuovo romanzo di Mario Vattani, Al Tayar – La corrente, appena uscito in libreria per Mondadori Strade Blu. ...

Noir, giallo, horror, thriller ai limiti del pulp: si potrebbe definire in molti modi il nuovo romanzo di Mario Vattani, Al Tayar – La corrente, appena uscito in libreria per Mondadori Strade Blu. Ideale seguito di Doromizu – Acqua Torbida (Mondador, 2016), Al Tayar racconta le nuove avventure del giovane Alex Merisi, un venticinquenne di buona famiglia che, fotografo mancato, cerca il proprio centro e la propria identità sfidando il destino. La corrente a cui si ispira il titolo è, metaforicamente, quella del Nilo: una forza irresistibile e onnipresente, calma solo in superficie, che guida il protagonista alla scoperta di un paese caotico e affascinante, circondato da donne bellissime, opulente e sensuali, e dove rimane invischiato in uno dei più redditizi quanto pericolosi traffici, quello degli organi.

È un romanzo intenso, questo nuovo lavoro di Vattani. Subdolo e melmoso come le acque del Nilo, ma anche infido e mutevole come la sabbia del deserto, pronta in ogni momento ad arrivare e accerchiare. Lo si può leggere in molti modi Al Tayar: ci si può fermare alla storia ricca di eventi e di suspence. Oppure si può andare più giù, si può provare a scavare per capire cosa ci voglia dire Vattani nonostante Vattani, nonostante sia proprio lo scrittore a continuare a buttarci addosso la sabbia per farci perdere l’orientamento, per farci perdere la bussola che ci porterebbe dritti a individuare il messaggio che ci ha lasciato tra le righe. Che Vattani lavorasse in questo modo era già abbastanza chiaro dal suo romanzo d’esordio ma in questo secondo lavoro però il gioco che instaura col lettore si fa più netto, più chiaro.

Oltre la storia, oltre le avventure, oltre tutto questo che è solo una cornice, Al Tayar sta altrove. Se è solo apparentemente un noir, se è solo apparentemente un thriller, se il pulp è solo funzionale alla storia, cosa è Al Tayar? Al Tayar è una lunghissima dichiarazione d’amore per un paese e per una cultura, quella egiziana. Al Tayar è una lunghissima dichiarazione d’amore per le donne. Tutte le donne, come ha sottolineato Pialuisa Bianco ospite insieme all’Ambasciatore Raffaele de Lutio e a Vittorio Sgarbi alla prima presentazione del libro che si è svolta lo scorso 29 maggio al Circolo degli Esteri a Roma. Le donne, che sono forse le uniche vere protagoniste di questo romanzo e a cui Vattani regala pagine poetiche, erotiche e rispettose, sensuali e delicate.

E non poteva che partire da qui la riflessione, ma sarebbe meglio dire il monologo, che un Vittorio Sgarbi in splendida forma ha regalato alla gremitissima platea del Circolo degli Esteri: Al Tayar è il romanzo di un’ossessione, come d’altra parte lo è ogni romanzo che si rispetti. E la corrente non è quella del Nilo, ma è l’ossessione stessa dalla quale è travolto Vattani: l’ossessione dello scrittore per le sue creature, per i suoi personaggi, per la vita parallela che si regala tra le righe e che tanto somiglia – Vattani, diplomatico, ha vissuto in Egitto quattro anni – e ricorda la sua esperienza reale.

Durante la serata Sgarbi ha offerto al pubblico un’analisi incisiva e precisa, ironica eppure serissima. A tratti, e solo all’apparenza, provocatoria. Perché alla fine Sgarbi ha detto l’unica cosa che poteva dire un uomo che ha dedicato la propria vita all’arte e che come opera d’arte ha trattato Al Tayar: ha parlato di ciò che sta dentro Al Tayar, della sua ossatura, che non può prescindere da una riflessione tra il rapporto che c’è tra l’ uomo e lo scrittore, della vicenda umana di Mario Vattani diplomatico e figlio, e dunque (e dunque) del suo ultimo romanzo. Anche nella critica, se vogliamo chiamarla così – ottocentesco nelle descrizioni – Sgarbi è stato un istrione umanissimo, sinceramente affezionato, che utilizza il proprio personalissimo modo di raccontare per instillare la pulce del dubbio in chi l’ascolta. Autore compreso.

È stato molto interessante ascoltare Sgarbi. Molto di più, è stato stimolante. Confesso che era la prima volta che lo incontravo e che sono stata travolta – proprio io che ero stata chiamata a moderare l’immoderabile – dal fiume in piena delle sue parole, così simili nel flusso e nella forza a quella corrente che Mario Vattani racconta nel suo libro. E certo – ho pensato mentre mi rigiravo nella sedia non sapendo più che fare, se parlare o tacere, se chiedere o ascoltare – non ci poteva essere che Sgarbi a presentare un libro che si chiama “La corrente”. E mentre ero lì che ascoltavo ho avuto l’impressione di esserci finita anche io dentro a quel flusso che quando arriva non ti lascia scampo e dal quale non puoi far altro che farti trascinare, come fa Alex Merisi, il protagonista del romanzo. Di certo, però, in quell’occasione avrei voluto replicare e chiedere, approfondire e controbattere e soprattutto avrei voluto che il tempo, almeno per una volta non fosse tiranno, che saltassero tutti gli schemi, cena e foto di rito comprese, e che Sgarbi e Vattani si sfidassero a duello, che l’uno replicasse all’altro, che si arrivasse fino in fondo, che si arrivasse “a raschiare il fondo” come fanno i personaggi di Al Tayar, un romanzo tragico, “dove non si salva nessuno. Tranne l’autore”.

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