TantopremessoAdesso basta, per carità

No, non è un fenomeno degli ultimi mesi. Il debordare senza senso alcuno della misura da parte di una fetta significativa della rappresentanza politica in questo Paese, anche grazie all’ausilio dei...

No, non è un fenomeno degli ultimi mesi. Il debordare senza senso alcuno della misura da parte di una fetta significativa della rappresentanza politica in questo Paese, anche grazie all’ausilio dei moderni social media, è deflagrato negli ultimi tempi, ma ha radici lontane nel tempo. Non intendo avventurarmi in azzardati paragoni fra prima e seconda (o terza) Repubblica: ogni tempo ha i suoi interpreti ed è giusto che sia così. Eppure la plateale mancanza di moderazione e senso delle Istituzioni mai come negli ultimi tempi dilaga senza che nessuno sia capace di porvi argine. La potentissima spinta alla polarizzazione dei diversi orientamenti politici ha portato alla nascita di vere e proprie fazioni che sembrano aver dimenticato che le squadre giocano su un campo che è ancora proprietà di tutti gli Italiani, in un campionato il cui regolamento si basa su norme e prassi che devono costituire il collante comune di una comunità, aldilà di come la si possa pensare sulle questioni specifiche. Si assiste, invece, esterrefatti, ad un getto continuo di dichiarazioni – scritte e verbali – che lascerebbero attoniti i Padri Costituenti, che pure non se le mandavano a dire. Attacchi a gruppi di minoranze ed ad altri poteri dello Stato, linguaggi in caduta libera, la ricerca parossistica di temi sempre diversi e trattati con fare incendiario, l’assenza di un livello minimo di riconoscimento della legittimità dell’avversario (individuato, volta per volta, in categorie diverse, anche al di fuori dell’agone politico), mutano profondamente il quadro cognitivo generale in cui ci si muove e, purtroppo, sempre più sembrano legittimare l’affacciarsi, nel dibattito pubblico (specie in rete) di affermazioni che in molti, troppi casi, si configurano quali discorsi di odio. In altre parole, sembra si stia smarrendo il senso di appartenenza alla comunità nazionale (e, aggiungerei, europea) in virtù della singolare e continua pretesa, da qualche Legislatura a questa parte, di voler rappresentare, quasi per mandato divino, l’intera popolazione Italiana. La quale, invece, è bene ricordarlo, non solo è naturaliter divisa in famiglie politiche (e meno male!), ma solo in misura parziale ormai decide di deporre il proprio voto nell’urna, col risultato che una buona porzione dei nostri concittadini resta senza contraltare decisionale.

La politica, come ci ricordano gli antichi Greci, ha da sempre significato la nobile arte di articolare con efficacia le diverse attività che si riferiscono alla vita pubblica e agli affari pubblici di una comunità di individui, offrendo soluzioni ai problemi che man mano si presentano. La chiave per la buona politica, la cui vittoria è sempre transeunte, è che, a prescindere da chi detenga la maggioranza pro tempore in un Paese, il complesso delle garanzie per le minoranze costituisce la base fondante di una democrazia, soprattutto in una democrazia complessa come quella contemporanea in cui è aumentato a dismisura il novero degli interessi e delle diverse sotto-comunità di riferimento. Ma non è sufficiente parlare solo di norme scritte. Esiste un complesso di prassi e di consuetudini (chiamiamole, per semplicità, galateo istituzionale) che imporrebbe a chiunque sia investito di responsabilità pubbliche di tenere un comportamento esemplare (la Costituzione parla di disciplina e onore) che esprima un chiaro messaggio: l’onore e l’onere di dover fare sintesi fra sensibilità e opinioni che sono, per forza di cose, distanti ma che, pure, non possono non riconoscersi in un quadro comune di regole base che permettano a tutti di discutere, anche aspramente, senza fratture per la famiglia allargata degli Italiani. Ecco, a me sembra che il gusto corrente per la clava, che segna la volontà, spesso trasversale, di affermare le proprie posizioni senza il pur minimo dubbio o cautela e sfruttando, anzi, la dimensione di acceso ed insanabile contrasto con l’ “altro”, stia portando a conseguenze nefaste per il Paese. Un Paese diviso, manicheo, incattivito, dimentico delle proprie radici, dominato dalle proprie paure e che pare accettare senza reazioni significative la crescita geometrica di episodi di intolleranza, di razzismo, di sessismo. Il timore, che dovrebbe essere presso in seria considerazione dalle classi dirigenti nazionali, è che si rompa la diga della comune decenza e che diventi normale assuefarsi a quel che è e deve essere, invece, inaudito, inconcepibile e inaccettabile in una democrazia. Non saranno certamente le baruffe chiozzotte fra eletti nei talk show o su Twitter a invertire una tendenza simile, sia ben chiaro, tanto che fa capolino la nostalgia canaglia delle Tribune Politiche paludate e dei modi di tempi andati, ormai da tempo sepolti. Quindi no: non è cosa di oggi, e saranno gli studiosi a ripercorrere quest’ultimo quarto di secolo. Ma adesso basta. Basta. Prima che sia troppo tardi e si rovesci la barca Italia su cui stiamo tutti in piedi, stretti stretti, in precario equilibrio. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

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