Gorky ParkPutin, elezioni e proteste

DA EASTSIDEREPORT.INFO Nell’inverno di ormai oltre sette anni fa (febbraio 2012) il movimento antiputiniano ebbe il suo momento di massimo successo. Oltre centomila persone in piazza a Mosca, ...

DA EASTSIDEREPORT.INFO

Nell’inverno di ormai oltre sette anni fa (febbraio 2012) il movimento antiputiniano ebbe il suo momento di massimo successo. Oltre centomila persone in piazza a Mosca, altre decine di migliaia tra San Pietroburgo e alcuni dei maggiori centri in Russia. Le elezioni truccate alla Duma del dicembre 2011 avevano scatenato le proteste dell’opposizione extraparlamentare (quella sistemica era ed è sempre sul divano), supportata anche da elementi del sistema, in un momento in cui vari gruppi intorno al Cremlino erano in una fase più conflittuale del solito.

Nessuna primavera russa, come fantasticavano volentieri i media occidentali, ma comunque un movimento di rilievo rispetto al passato. Le presidenziali del marzo 2012, dopo il quadriennio di Medvedev, avevano agitato le acque che poi tornarono a calmarsi. Allora i vari Nemtsov (poi preso a pistolettate), Navalny, Misha 2% Kasianov, Yashin e via dicendo, erano riusciti ad accumulare un discreto consenso di piazza che poi bruciarono per le solite ragioni, ossia nulla coesione interna e zero visioni, dimostrando che il solo collante antiputiniano non basta(va) a fare un’opposizione seria capace di catturare consenso, al netto naturalmente delle possibilità concesse dalla rigidità del sistema.

Poi arrivarono la crisi ucraina, il regime change a Kiev, l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, che fecero ripiegare la Russia su se stessa e mandarono il consenso di Putin alle stelle.

Un lustro dopo l’inizio del conflitto, a Mosca, ma non solo, si è formato uno zoccolo duro antisistemico (locale e nazionale) che indipendentemente dei numeri irrisori, preoccupa il Cremlino.

Il caso delle proteste contro l’esclusione di alcuni candidati alle elezioni comunali nella capitale è esemplare. Una protesta di ventimila persone in un capitale che conta, a spanne, una quindicina di milioni di abitanti, non è certo molta cosa. Se si fermano oltre mille persone (rilasciate in grandissima parte la sera stessa) e si randellano dimostranti di fronte alle telecamere di mezzo mondo non è però una bella pubblicità. Putin e Sobyanin comunque se ne fregano, visto che ormai quello che si dice a ovest di Mosca entra da un orecchio ed esce dall’altro, e lo scopo è comunque quello di evitare, anche ad alti costi, che la questione si ripeta in vista di elezioni più importanti.

Insomma: Navalny & Co. hanno perso l’occasione buona sette anni fa e la prossima chissà quando si potrà presentare. Al momento non pare certo che il seppur diffuso sentimento di stanchezza verso Putin possa trasformarsi in un movimento politico coeso capace di competere a livello elettorale. E senza il supporto di qualche pezzo di sistema deciso a sovvertire lo status quo non ci sarà certo nessun cambiamento. Il Cremlino è impegnato a evitare scenari stile Maidan (a Washington c’è sempre chi favoleggia di un cambiamento e non sarebbe la prima volta che gli Usa interferiscono direttamente nel processo politico russo, vedere alla voce Yeltsin-Zyuganov), ma più che ai sovvertitori esterni, più approfittatori che registi, deve guardare nei propri corridoi, in vista del 2024.

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