Lost in Business“Fatti forza e comunica”: la dura vita di chi sbarca su LinkedIn e di chi cerca di ottenere qualcosa

Mettiamola così. Ogni mattina qualcuno con una buona idea si alza e sa che dovrà condividere qualcosa su LinkedIn per poter dare un senso ai propri pensieri. Ogni mattina, qualcuno senza uno stracc...

Mettiamola così.
Ogni mattina qualcuno con una buona idea si alza e sa che dovrà condividere qualcosa su LinkedIn per poter dare un senso ai propri pensieri.
Ogni mattina, qualcuno senza uno straccio di idea si alza e sa che dovrà condividere qualcosa su LinkedIn per fare credere che abbia anche lui buoni pensieri.
Non importa che tu sia quello con le idee o senza idee, l’importante è che ogni mattina ti alzi e dica qualcosa.

La versione del leone e della gazzella era più divertente ma la versione di sopra ha il pregio di essere rappresentativa: è questa la situazione oggi degli abitanti del ventunesimo secolo, di quelli con un minimo di interesse, per quanto vario, nel mondo del lavoro. È questo che succede su LinkedIn e in generale nel mondo digitale.
Dopo lunghissime lezioni sul content marketing, sul personal branding, sul social media marketing, sul social selling e altri socialcose, siamo oggi un po’ tutti come Pino la lavatrice: “a noi questo ci hanno detto e questo facciamo”.

In trappola

Se guardi troppo qualcosa, alla fine succede che non vede più niente. Puoi provarci fissando un dito o lo schermo sul quale stai leggendo e succede così anche in molte delle cose più importanti della vita e del business. Succede così anche con “i contenuti”, il nome che oggi diamo a tutto ciò di simile a un’idea o un’opinione che condividiamo nel web sotto svariate forme.
Quando si guarda troppo al contenuto si finisce per non vedere più niente. Ciò che sfugge è la qualità di ciò che diciamo, per chi lo diciamo e perché lo diciamo.
Ora, se il motivo che ci ha spinto a comunicare è … perché ci sentivamo soli e annoiati, zero problemi. Se il motivo per cui invece abbiamo iniziato a parlare on line era creare una reputazione e sbloccare le opportunità il problema è bello serio.
In un mondo in cui bisogna spiccare, trovo che Dorie Clark abbia spiegato meglio di tutti su cosa puntare. Clark individua tre elementi: tu, la rete, le idee. Tre elementi che vanno di pari passi in un circolo che può essere virtuoso o il contrario.
Tu: chi sei, cosa fai, come lo fai. Si tratta delle caratteristiche che vorresti venissero associate alla tua persona e alla tua professionalità.
Gli altri: che sono destinatari del tuo messaggio ma anche gli unici che possono approvare e convalidare quanto esposto al punto precedente.
Le idee: il ponte che unisce noi agli altri. Quello che insomma crea connessione e dà vita al cerchio.

Cattivi rinforzi e illusioni

Gli elementi di sopra sono sempre presenti. Non si tratta di una strategia ma della dinamica minima e ricorrente di ogni storia, i tre elementi ricorrenti che circondano le nostre vite digitali (e non solo).

I problemi sono principalmente due.

Il primo problema: è maledettamente difficile. È un po’ come il dilemma degli innovatori e più specificatamente quello che possono aver vissuto marketplace come Amazon o gli stessi social. O Uber.

Prendiamo quest’ultimo caso. Nel caso della piattaforma di car sharing ciò che serviva e serve ancora per fare funzionare tutto è: qualcuno che mette a disposizione la propria auto per trasportare i passeggeri, passeggeri che cercano qualcuno che li trasporti in giro per la città.

Quando ci sono pochi passeggeri, clienti, c’è poco voglia di iscriversi come autisti o di iniziare a fare gli autisti. Quando ci sono pochi autisti, i clienti hanno poche motivazioni per usufruire con regolarità del servizio.

Le cose possono funzionare solo tramite una crescita proporzionata di entrambe le categorie. Nel caso di Uber ha evidentemente funzionato.

Tornando al mondo digitale e LinkedIn la situazione è simile.

Ci serve che qualcuno dia conferma delle nostre idee per diventare autorevoli e riconosciuti e dunque esserlo da un pubblico numericamente più grande. Sin quando però abbiamo una rete esigua le nostre idee faticano a diffondersi. E sin quando faticano a diffondersi, fatichiamo ad avere una grande e adeguata rete.

Messa così sembra una situazione terribile, e in parte lo è, ma il vero problema è un altro. Il problema è che il nostro caso non è proprio come quello di Uber o Amazon. I social, diversamente dal business vero e proprio, è soggetto a rinforzi cattivi e illusori.

Succede più o meno questo.

Il nostro eroe è un coach, un libero professionista, un qualcuno che offre qualcosa o anche un manager con l’obiettivo di amplificare la reputazione della propria azienda e/o al contempo crearsi un “piano b”.

Inizia con poche idee su chi è e perché. (TU)

Il fatto di diffondere buone o cattive IDEE in questa fase è ininfluente. Diciamo che inizi bene, con idee buone.

Avendo una rete numericamente ridotta (o una grande di scarsa qualità o fuori target) stenta a farsi riconoscere; in altre parole non riceve alcun tipo di coinvolgimento e dunque non riesce a ingaggiare e ampliare la propria RETE.

Un giorno succede: passa al lato oscuro della forza. Spara qualche cazzata, una banalità, una foto strappalacrime, o ancora meglio una cazzata con foto strappalacrime e slogan “se vuoi puoi”. Ed ha successo!

Questo porta a pensare di essere sulla strada giusta, continuare e persistere su questa strada. E così ha ancora più “successo”, si convince che sia giusto così. E ne avrà ancora di più.

Purtroppo, è come se su Uber si fossero iscritti fioristi (al posto degli aspiranti autisti) e monaci zen (al posto dei passeggeri). Ma su Uber, presto o tardi, probabilmente presto sarebbe arrivata la parola fine. Perché sarebbe stato chiaro che non c’era alcun profitto e alcuna possibilità di crescita o anche solo sopravvivenza sul mercato.

Nel mondo digitale, su LinkedIn questo non succede. O succede tardi. Per buona parte del tempo tutto scorre alimentato dall’ego. Non a caso si parla di vanity metrics.

Vie di uscita

Come si esce da questa trappola e come si vince?

Non ha la pretesa di avere una soluzione definitiva. Posso però suggerire un approccio basato però su un pizzico di esperienza e molto buon senso. Di seguito quattro punti sui quali consiglio di riflettere.

1) Aspettative

Aspettatevi che il fiume sia selvaggio, sorprendente e stimolante. Aspettarsi il contrario è vivere nell’illusione. Maxime Lagacé

Per creare un brand personale degno di tale nome servono in media 36 mesi. Ciò significa che bisogna essere disposti a impegnare per molto tempo senza avere grandi ritorni e senza lasciarsi condizionare troppo da feedback che potrebbero essere parziali o illusori, come appena visto. Il miglior consiglio, per quanto possa essere sconfortante è di pensare a LinkedIn come un investimento a lungo termine e trovare (o avere) un canale diverso, in termini di lead generation e sussistenza. Non a caso si dice che il networking (e qui parliamo fondamentalmente di questo) si crea quando (ancora) non ne hai bisogno.

2) Chiarezza e Significato

È la mancanza di chiarezza che crea caos e frustrazione. Emozioni velenose per qualsiasi obiettivo. ” – Steve Maraboli

Simile al punto precedente, si tratta di aspettative, sapere dove stai andando e perché stai lottando. Credo che LinkedIn sia meno “democratico” di quanto si voglia dire in giro. Solitamente funziona per obiettivi grandi e ambiziosi. È più utile e funzionale per creare una posizione di rilievo, un boost esponenziale alla propria carriera che come stampella per una traballante. Ad ogni modo, parafrasando Nietzsche, chi ha “un perché chiaro” sopporta quasi ogni “come”.

3) Coraggio

A volte dire “fanculo” al momento giusto può essere una cosa molto potente. Ti dice che sei disposto a fare tutto il necessario per arrivare dall’altra parte. David Goggins

Questo punto è collegato al precedente ma anche all’intero discorso fatto sin qui. Su LinkedIn le “idee” che godono di più visibilità e coinvolgimento sono idee piatte, banali. Articoli come “le persone non lasciano le aziende, lasciano i capi incapaci”, riprodotti in inglese, in coreano e in egiziano antico, sono la prova che il “populismo” è vivo e vive in mezzo a noi. La differenza la fa però la capacità di creare e portare avanti pensieri originali. Sfidare e sfidarsi continuamente. La differenza, come ho scritto spesso, è cercare di essere il dj e non il jukebox.

4) Scommetti sulle persone non sulla piattaforma

Non ha importanza se cerchi di vendere Gesù, o Buddha, o i diritti civili, o come arricchirsi nel settore immobiliare senza rischiare un soldo. Questo non fa di te un essere umano. Semmai fa di te un agente vendite. Se vuoi parlare con qualcuno sinceramente, da essere umano… chiedigli dei suoi figli, scopri quali sono i suoi sogni… solo per saperlo, per nessun’altra ragione. Perché appena cerchi di prendere le redini di una conversazione, per pilotarla, non è più una conversazione… è un pistolotto e tu non sei un essere umano, sei un venditore, un piazzista. – Phil a Bob in The Big Kahuna

È una cosa che racconto spesso e che mi rende orgoglioso, riguarda come ho iniziato a muovermi sulla piattaforma. Per un anno intero ho fissato continuamente incontri telefonici e su Skype con persone che, in un modo o nell’altro, reputavo interessanti; ho contato oltre cinquecento conversazioni in un solo anno. Quasi nessuno è diventato mio cliente ma tutte mi hanno dato qualcosa.

Allo stesso modo ho lavorato intensamente, lo faccio ancora, per creare relazioni di valore. Persone che avessero storia ed esperienza tali da potermi fare crescere. Persone per le quali valesse la pena insistere per mesi. Con umiltà, faccia tosta e una buona dose di fortuna, appena quattro o cinque persone di questo tipo mi hanno permesso davvero di crescere. Sono persone che non necessariamente sono diventate mie clienti, ma mi hanno dato spesso il consiglio giusto, indicato la strada o aperto la strada.

Non ho molto da consigliare tranne questo: agisci da essere umano, investi sulle persone, non sulla piattaforma.

In fondo di LinkedIn in quanto LinkedIn non dovrebbe importare niente a nessuno. Tranne agli azionisti, naturalmente… 😊)

Davide Cardile

Thinking partner & Personal branding strategist

35 anni, due figli, due cani. Scrivo di comunicazione, di parole, di idee, di relazioni. Di tutto ciò che serve o sul quale è utile ragionare per tirarsi fuori dalla competizione e trovare significato.

Puoi seguirmi su LinkedIn o su davicardi.com

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter