Si chiama “Parlamento” perché in esso vengono convogliate le idee della politica espresse in parole, dove appunto si parla e si ascolta per poi discernere una decisione.
E nel Parlamento quando si parla ci si manifesta per quello che si è con tutti le proprie potenzialità e limiti, positivi e non. E diversamente dalle spiagge e dalle piazze in cui vanno bene slogan e drink a fiumi, in sede parlamentare le parole diventano atti di cui rimarrà traccia nella memoria, dove si esprime per davvero la sovranità popolare non dimenticando che essa non vive di plebiscito ma è frazionata in “partiti”, in frammenti di verità. Solo nel rispetto di questo codice delle regole la sovranità viene convocata a raccolta per ascoltare, elaborare e se fosse possibile negoziare la migliore sintesi possibile per il bene comune (giusto perché si parla spesso a sproposito di cittadinanza e costituzione).
Ciò premesso, l’abisso che ieri si è creato tra il premier dimissionario Giuseppe Conte e l’ex ministro degli interni Matteo Salvini segna per quest’ultimo la sua sconfitta definitiva quantomeno sul piano del modello stilistico, antropologico e quindi politico. Ne è prova il dibattito di queste ore dove – invito tutti a fare un semplice un esperimento empirico – si continuerà a ricordare da un lato il discorso di Conte (debole ma dignitoso) e dall’altro per il capo dellla Lega Salvini ci ricorderemo i meme a favore del web, la volgarità involontaria delle sue stranezze muscolo-facciali, i baci pseudo-devozionali ai rosari, le parole biascicate dai vari “ehm”. Basta questo per capire che solo il confronto riesce nell’intento di stabilire una differenza tra propaganda e capacità di governo e – nell’immediato – tra chi ha un’idea e chi ne è sprovvisto, uno al quale non daresti nemmeno la chiave del proprio box bicicletta.
Lo sconforto dopo la fine del governo gialloverde sta nell’Italia che guarda in un certo qual modo a se stessa e alle disperazioni dell’offerta politica dei suoi leader. La delusione dei cittadini sta tutta in questa povertà di pensiero e di competenza di chi è al potere (competenza nel senso del suo significato originale visto che cum-petere vuol dire infatti chiedere insieme, coltivare il bene plurale). Un’inadeguatezza che allarga il divario tra emigrazione di intelligenze che scappano all’estero importanzione delle mediocrità che rimangono ben piantati nella poltrona nella presunzione di governare. Un cotrocircuito che ci lascia incattiviti e come ha scritto il direttore di Avvenire – e con dei “vuoti clamorosi, dalle politiche per la famiglia a quelle per il Terzo settore e allo (s)governo delle questioni migratorie da e verso l’Italia.
La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di fare inebriare, di perderne il senso del servizio e di fare invece acquisire il senso del dominio nell’esercizio del potere”
Ci svegliamo con una crisi anzitutto sociale oltreché politica, impauriti e più poveri di prima: e a nulla è servito il sussulto last minute di Conte sopratutto dopo un anno e più di mediazione impossibile tra Salvini e Di Maio. Certo, esce di scena con dignità ma va ricordato che nel confronto con Salvini avrebbero vinto praticamente tutti eccetto quei non pochi cittadini che mettono like senza neanche sapere cosa stanno leggendo ma la fake politica è una questione parallela rispetto alla bufalacrazia di questi tempi. E gli esiti sono sotto i nostri occhi quando – come tanti Lucigonolo – ci ritroviamo figli senza padri e madri e alla ricerca di una politica seria, capace di prendere in mano un paese e gli scenari grigi che ci attendono. Nel luogo in cui si parla abbiamo sentito parole fragili e scomposte e ne prendiamo atto.
Il livello linguistico – per essere teneri – comunque si è abbassato notevolmente: penso alle citazioni suggerite da staff mediocri (tra l’altro ai miei tempi l’appellativo Bestia si applicava per i somari incorreggibili e ho detto tutto…) e scovate nei vari siti (magari fosse wikipedia) la cui autorevolezza risiede in quei popup sulla miracolosa pillola dimagrante fatta di alghe polinesiane o nell’acquisto di vacanze tarocche in inesistenti hotel di lusso a prezzi stracciati. Siamo più o meno da quelle parti in fatto di comunicazione con l’aggravante di darsi un tono alto eruttando sgangherati latinismi dove rischi di prestare soccorso immediato ai vari Sgarbi, Canfora, Veneziani o Pasquino che con la ricchezza dei classici hanno confidenza e rispetto.
Da tale scarsità di traiettoria politica da parte di tutti si guarda al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale metterà in campo la saggezza di sempre per dare una visione nel suo insieme e che deve supplire alla fuga miope delle forze politiche attuali guardando alla recessione tedesca, alla guerra dei dazi Usa-Cina, alla debacle argentina che indeboliscono un’Europa immobile di suo. In questo senso concordo come si possa arrivare, partendo da queste posizioni, a comporre una nuova maggioranza e un nuovo governo… Il compito del Presidente della Repubblica, che comincia oggi le consultazioni, si presenta assai arduo. Facciamo il tifo per lui e per l’Italia rimasta sola.
Sì perchè in questo deserto, finisce un governo che nell’uscire di scena lascia al paese un bagaglio simbolico fatto di promesse non mantenute, di leggi e decreti con manine addosso, di tutti fuori nel balcone con la gioia incontenibile di sforare regole di gni tipo, di sovranismo col culo degli altri, di Europa da cambiare assentandosi ai alle riunioni in cambio di dirette social la cui cifra estetica è persino più bassa di una telenovelas argentina di quarta categoria fatta di torsi nudi e di copertine cestinate anche nelle parrucchierie cinesi più gossippare.
Un governo – insomma – che ci lascia gialli per la paura e verdi per i debiti.