Da quando si è insediato il governo giallo-verde, Salvini ha avuto buon gioco a trincerarsi dietro le incertezze ordinamentali sul ruolo istituzionale del Presidente del Consiglio.
La discussione in seno all’Assemblea costituente sull’assetto della forma di governo italiana partì dall’idea di un modello parlamentare in cui l’esecutivo potesse godere di meccanismi di stabilizzazione e rafforzamento. Meccanismi che apparivano necessari in presenza di un sistema elettorale di tipo proporzionale a multipartitismo estremo, che avrebbe prodotto governi di coalizione per definizione instabili.
Questi meccanismi di razionalizzazione e rafforzamento dell’esecutivo poi non vennero introdotti, a causa, soprattutto, dei veti incrociati delle forze politiche più importanti (le forze di sinistra intendevano rafforzare l’esecutivo nella sua composizione collegiale, mentre la Democrazia Cristiana intendeva attribuire maggiori poteri al Presidente del Consiglio).
Nel complesso, dal dettato costituzionale uscì una figura di capo del governo dai contorni molto sfumati. Quando, infatti, l’art. 95 Cost. afferma che “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”, non chiarisce se al capo del governo spetti la titolarità dell’indirizzo politico, o se, invece, egli debba svolgere una semplice funzione di mediazione e coordinamento e la titolarità dell’indirizzo politico sia attribuita al governo nel suo insieme.
Di certo, per lo stesso tenore letterale della norma, è pur sempre il capo del governo, alla fine, ad assumere su di sé la responsabilità ultima di tale indirizzo nel suo complesso.
Dietro a tale incertezza ha avuto buon gioco Salvini a dettare la maggior parte dell’indirizzo politico del governo giallo-verde, complice anche lo scarso spessore politico del Presidente Giuseppe Conte, trincerandosi dietro la responsabilità di quest’ultimo per i risultati complessivi dell’esecutivo.
Facile così: per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni del proprio dicastero Salvini si è sottratto al confronto con la magistratura trincerandosi dietro l’immunità, mentre per i risultati complessivi del governo – determinati da lui stesso per la gran parte – Salvini si è trincerato, e si trincera adesso, dietro la responsabilità ultima del Presidente Conte.
Un po’ come appiccare l’incendio (la tensione enorme sui conti pubblici) e puntare il dito su qualcun altro mentre te la dai a gambe levate.
In questo scenario bisognerebbe puntare a fare chiarezza contro il fumo negli occhi che verrà gettato con le ciminiere dalla nuova campagna elettorale della Lega. Andrebbero, cioè, fatte emergere le vere responsabilità ed evitati governi sorretti da coalizioni innaturali in stile prima Repubblica, non più digeribili da un elettorato che oramai si aspetta pasti di ben altro tipo. Operazioni spacciate per salvataggi della Patria, anche solo pro tempore, potrebbero portare Salvini ben oltre i risultati che i sondaggi (enormemente oltre i meriti effettivi) gli attribuiscono oggi.
Salvini andrebbe lasciato al confronto con la troika e i creditori dell’Italia, da nuovo capo del governo, il prima possibile. Andrebbe lasciato a spiegare agli investitori che hanno prestato soldi all’Italia la bontà di una misura come “quota 100”, con la crisi demografica che è in corso nel Paese. Andrebbe lasciato a spiegare a chi ha prestato soldi all’Italia e poi agli italiani stessi (sopratutto a quelli meno abbienti) la flat tax e i nuovi condoni fiscali, il ricorso al deficit, come si copre l’aumento dell’iva, Borghi e Bagnai al Ministero dell’economia, l’aumento del debito pubblico, la scarsa considerazione per le politiche ambientali, la riduzione delle risorse per la Scuola e, più in generale, il suo progetto di isolamento, il suo piano di uscita dall’Ue, i benefici di un riposizionamento geopolitico (e culturale) dell’Italia verso la Russia e l’Oriente.
In Grecia il confronto con i creditori ha segnato la fine politica di Tsipras. In Italia ciò potrebbe avvenire anche più in fretta. Perché saremo anche incolti e populisti, avremo anche una pessima cultura finanziaria, ma in Italia chi che toca i schei, chi gioca con i risparmi dei cittadini, come farebbe autarchicamente la nuova Lega, politicamente muore.
Bene farebbero, quindi, le opposizioni, a tornare alla lotta politica vera, rigettando ogni trasformismo e ricordandosi le parole di Piero Gobetti quando, commentando l’azione del governo Depretis, affermava che “la prassi del trasformismo snatura la lotta politica con la ricerca di maggioranze ottenute a qualunque prezzo e che assorbono in sé con disinvoltura uomini di qualunque schieramento, annullando in pratica la dialettica governo – opposizione indispensabile ad una vera democrazia”.
Stanno venendo di nuovo al pettine secolari nodi irrisolti che riguardano i nostri vizi già descritti benissimo dallo stesso Piero Gobetti quando diceva che “il mussolinismo è […] un risultato assai più grave del fascismo stesso perché ha confermato nel popolo l’abito cortigiano, lo scarso senso della propria responsabilità, il vezzo di attendere dal duce, dal domatore, dal deus ex machina la propria salvezza”.
Per guarire dal morbo demagogico da cui la democrazia italiana è di nuovo affetta è evidentemente necessario far sfogare l’infezione. A differenza degli anni ‘20 del secolo scorso, oggi abbiamo una Costituzione e dei meccanismi fatti apposta per contenere simili sfoghi.
Sarà però necessario tenere sempre in tasca Piero Gobetti.