Quella a cui stiamo assistendo è una crisi particolare, strana e un po’ confusa. “Complicata e ingarbugliata”, la descrive una nota ufficiale del Quirinale. Le incertezze sono molte, e se un tempo bastava leggere le dichiarazioni sui giornali per poter capire le dinamiche politiche, oggi – con la comunicazione che diventa sempre più veloce, costante e immediata – tutto può cambiare in poco tempo. Magari proprio con un tweet.
Perché, se è vero che nelle crisi di altri tempi si prendevano come riferimento le note e le dichiarazioni rilasciate dai politici ai media tradizionali (come giornali, radio e tv) ora sono i post Facebook e i tweet a diventare i mezzi per comunicare. L’esplosione dei social network è confermata da tempo, ma mai come in questi giorni erano stati eletti a mezzo principe per il dialogo (o lo scontro) tra le diverse forze politiche: in questi giorni, proprio su Facebook sono state infatti pubblicate la lettera di Conte a Matteo Salvini, così come – sempre sul social blu – abbiamo potuto leggere la lettera di Di Maio a Conte.
La trasparenza, tanta invocata da Conte nel discorso al Senato quanto da Mattarella, che al termine delle consultazioni ha invocato decisioni “chiare”, si è tradotta in messaggi forti, parole semplici, concetti difficili tradotti in linguaggi elementari. In Parlamento, come sui social, si sono tenuti discorsi che, in fondo, erano diretti più a chi ascoltava “da casa” che a chi si trovata tra gli scranni; così è stato per uno dei protagonisti, Matteo Salvini, consapevole che alcuni passaggi fondamentali sarebbero poi stati ripresi dai telegiornali, dai social, dalle redazioni web.
Infatti l’obiettivo più importante dell’utilizzo dei social rimane il contatto tra leader politici (veri e presunti) e l’elettorato. Un elettorato che, in questi giorni, è per buona parte in vacanza, distratto, disattento. Un elettorato che, da molti anni, è soprattutto disaffezionato alla politica e che quindi, forse, ha poca voglia di capire cosa stia realmente succedendo nel Palazzo, lontano dalle località balneari (almeno in questa fase) e lontano dalla propria quotidianità. Ecco perché la comunicazione di questa crisi sembra essere stata studiata all’insegna della comunicabilità e della semplificazione.
Così i social media sono diventati i veri protagonisti di questa crisi, capaci di raggiungere gli elettori anche in spiaggia. Non tutti gli italiani, infatti, leggono i giornali (che continuano a calare nelle vendite); molti italiani, però, hanno un accesso ai social, un profilo Facebook, un account Instagram. Numeri impressionanti: oltre 30 milioni per Facebook, 19 per Instagram, 3 milioni per Twitter. Ed è proprio qui che gli utenti possono essere intercettati dai messaggi e dalle dichiarazioni dei politici, anche sotto l’ombrellone, anche quando la soglia dell’attenzione è molto bassa. Non è un caso, ad esempio, che Matteo Renzi abbia speso oltre 5000€ di sponsorizzazioni su Facebook solo nella settimana tra il 15 e il 23 agosto; e non è un caso, allo stesso modo, che Matteo Salvini, nello stesso periodo, abbia pubblicato 5 dirette Facebook su un totale di 23 video per raggiungere i propri fan (e non solo).
Ma il vero problema è quando i social si trasformano, e passano dall’essere uno strumento di comunicazione politica a essere considerati un vero e proprio tema della politica: la sensazione è quella di essersi lasciati alle spalle un bivio mentre si sta percorrendo la strada sbagliata.
Questo sconfinamento, peraltro, è ormai confermato da diverse voci, critiche o complici che siano; ad esempio, proprio all’ex Ministro dell’Interno e al suo utilizzo dei social media sono state rivolte alcune delle forti critiche, sia in parlamento che fuori: «A noi piace (…) questo modo di fare politica così diverso di tanti politici italiani che purtroppo vediamo, su Twitter, con campagne, con urla… lui è diverso, tranquillo ed elegant» afferma Juliane Unterberger, leader del gruppo “Per le autonomie”, al termine delle consultazioni con Mattarella.
«Conte ha un gradimento trasversale pazzesco nel Paese», dice un dirigente del Movimento al Messaggero, e aggiunge: «il suo post di Ferragosto contro Salvini ha ottenuto 317mila like e 81mila commenti. E pensate che il record di Di Maio è di 98mila like e quello del capo della Lega di poco più di 100mila». Come se ottenere più like si traducesse automaticamente in consenso politico, in supporto effettivo, in voti. Per fortuna, o purtroppo, non è così: il consenso (soprattutto quello politico) non si costruisce solo con un video, con un tweet, con un video sponsorizzato o con un meme. Soprattutto da quando i social media – intesi come strumenti – sono diventati appannaggio di tutti, e l’assuefazione degli utenti è diventata sempre più difficile da scardinare. Soprattutto in tempi di disaffezione, di disattenzione, di disinteresse. Non sarà (solo) un post a farmi sentire più vicino ad un politico, non saranno la Nutella o le foto in famiglia a convincermi a votarlo o a fidarmi di lui, soprattutto in un momento di crisi.
Non lo hanno compreso alcuni politici estremamente attaccati ai like e ai follower a scapito dei contenuti, pur senza biasimo: la dinamica della costruzione delle intenzioni di voto è molto più complessa ed articolata, difficile da comprendere, da modificare e, soprattutto, difficile da mantenere.
E, forse, è proprio questa difficoltà la nostra più profonda fortuna.