Il linguaggio della politica italiana è una conseguenza della crisi delle ideologie politiche. Manca quel convincente “credo” alle filosofie di pensiero politiche come accadeva nel XX secolo, mentre le scelte dei politici vengono adottate con nuovi criteri. I problemi sociali sono all’ordine del giorno, la popolazione registra forti cambiamenti negativi soprattutto nella vita quotidiana. Alessio Roma, Presidente del Movimento Futuro Italia, delinea le azioni più urgenti da adottare per evitare preoccupanti derive sociali.
Quali obiettivi politici vuole raggiungere il Movimento?
«Il Paese sta vivendo una fase di profonda stanchezza sociale, politica e progettuale. Avvertiamo un progressivo allontanamento dei cittadini dalla politica e dalle responsabilità civiche. Assistiamo a reazioni generalizzate verso stereotipi del passato, verso continue strategie di divisione o, peggio ancora, verso forme indotte di anarchismo sconsiderato. Il Movimento Futuro Italia vuole porre fine a queste derive e risvegliare in ogni singolo cittadino quella capacità di mobilitazione indispensabile ad una vera riscossa dell’Italia. Il Movimento Futuro Italia vuole parlare un linguaggio nuovo. Un linguaggio in cui si possano rinvenire costantemente parole come “etica”, “fiducia”, “responsabilità”, “solidarietà” e “sostenibilità”. Un linguaggio che punti ad un cambiamento radicale e ad una profonda ricostruzione del Paese: fisica, morale e politica. Chiediamo a ciascun cittadino di farsi parte diligente del cambiamento, impegnando il proprio destino in una prospettiva di sviluppo sociale. Chiediamo ad ognuno di impegnarsi, in modo autonomo e responsabile, al raggiungimento degli obiettivi proposti dal modello democraticamente scelto. Il cittadino deve tornare ad essere il protagonista del futuro del nostro Paese. Ed anche i concetti di “coerenza” e di “responsabilità politica” devono essere concreti e costituzionalmente sanciti: il parlamentare deve rispondere del proprio operato ai suoi elettori ed ai cittadini che rappresenta. Solo in questo modo la politica e la società potranno riavvicinarsi».
Giovani, formazione, cultura sono tre argomenti da valorizzare nel XXI secolo. Quali azioni prevedete da mettere in campo?
«Sono tre argomenti correlati ma aggiungerei un quarto: le politiche del lavoro. Nessun tema può prescindere dagli altri: mercato del lavoro e lotta alla disoccupazione. I giovani hanno bisogno di certezze e stabilità lavorativa per progettare il proprio futuro. In caso contrario l’emigrazione di manodopera intellettuale pregiata verso altri Paesi non si arresterà e in pochi decenni questo Paese sarà un ospizio a cielo aperto. Senza un’inversione di tendenza concreta nessuno potrà fermare nei prossimi due decenni le tensioni sociali che nasceranno per la rottura definitiva del patto tra generazioni. Senza l’apporto stabile dei nuovi lavoratori saranno a rischio le pensioni degli attuali cinquantenni. Occorre superare la flessibilità del lavoro che in Italia si legge precarietà, con l’introduzione dei contratti a tempo indeterminato correlati alla produttività del lavoratore. Il contratto a tempo indeterminato produttivo può essere modificato in termini di remunerazione, luogo e ore lavorative, tutti aspetti da concordare con le parti sociali e datoriali; in caso di rifiuto il datore di lavoro può rescindere il contratto. Per il contratto a tempo indeterminato produttivo è abolito il periodo di prova. Il contratto a tempo determinato può essere utilizzato ma non deve essere considerato una soluzione definitiva: può essere utilizzato per una sostituzione temporanea di un dipendente, per lavori stagionali e in attesa dell’assunzione di un lavoratore a contratto a tempo indeterminato. In media i contratti a tempo determinato non devono superare i 18 mesi. Contrasto al lavoro sommerso con nuove misure di carattere fiscale, con il miglioramento dei meccanismi di sorveglianza e dei sistemi di sanzioni, quali ad esempio: l’introduzione della radiazione perpetua del rappresentante legale ad esercitare attività economiche. Azioni di riordino degli ammortizzatori sociali. Riduzione della fiscalità del lavoro e defiscalizzazione delle ore di straordinario. Equiparazione delle norme tra lavoro privato ed il pubblico impiego. Qualificare ed aumentare la partecipazione al lavoro delle donne, ampiamente discriminate».
La politica italiana attraversa un momento storico post ideologico dove manca una ideologia filosofica da seguire, come accadeva nel XX secolo. Come cambiare questa preoccupante anomalia?
«Utilizzando tre parole: cultura, cultura e ancora cultura. Il nostro dovere è rendere i cittadini liberi di scegliere in maniera consapevole, sviluppando l’analisi critica dei fenomeni sociali. Occorre insegnare nuovamente a saper disegnare le strategie di medio e lungo periodo per la propria vita, ad avere una visione del futuro senza la paura delle incertezze che nascono oggi da una consapevolezza del navigare a vista. Nella vita quotidiana di tutti noi esiste il presente, abbiamo escluso il passato perché sinonimo di vecchiaia e il futuro perché siamo siamo convinti di non averlo».
Immigrazione e sociale diventano argomenti scomodi mentre andrebbero valorizzati per favorire la crescita di una comunità. Come intervenire?
«I fenomeni migratori di massa sono sempre esistiti e mai qualcuno è riuscito a fermarli. La soluzione è complessa perché noi europei non abbiamo deciso per anni. Esistono dei dati incontestabili. Nei paesi africani e del Medio Oriente la popolazione compresa nella fascia di età 20-30 anni rappresenta quasi il 70%, in Europa il 30%. Le soluzioni possono essere solo di buon senso, senza dimenticare che parliamo di essere umani ma al contempo, occorre dimostrare la determinazione e l’applicazione delle legge vigenti. La permanenza in Italia può essere assicurata solo a coloro in possesso di regolare permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Ciò vale per tutti, anche per le “badanti” che di norma vengono in Italia con visti turistici e poi se ne perdono le tracce perché i controlli sono insufficienti. Chi non ha lavoro può svolgere lavori socialmente utili alla collettività attraverso la supervisione degli organi preposti (comuni, prefetture) ma il principio che deve passare è: in Italia si rimane se si produce altrimenti ciò non è possibile. Occorre una politica europea seria a sostegno dello sviluppo di determinate aree geografiche, che non può essere simil-coloniale. Occorre una redistribuzione delle persone in tutti i Paesi in maniera studiata e condivisa, non si basi volontarie».
Che ruolo svolgono i social nella politica italiana?
«I social network hanno cambiato il modo tradizionale di fare politica, ma non solo anche della nostra vita. Tutto è veloce, le notizie sono consumate rapidamente, nessuno ha desiderio di approfondire. I social media sono utilizzati per aumentare l’orientamento delle persone, se da un lato accorciano la distanza con il politico enfatizzandone la personalità, dall’altro lato aumentano la distanza della politica dai cittadini. I social media non approfondiscono gli argomenti, producono e consumano notizie anche in forma breve, per cui alimentano più il “percepito” di un argomento che la reale” sostanza. A volte riempiono il vuoto con l’inutile».
Mancano le discussioni di persona, c’è una voglia di giudicare soltanto con campagne social. Come invertire questo approccio preoccupante e in che modo proporre un contatto diretto con la popolazione?
«È vero. Mancano le discussioni tra le persone e tutti diventano giudici di cassazione esprimendo velocemente giudizi definitivi e inappellabili. Occorre tornare a parlare con le persone, occorre costruire momenti di aggregazione, occorre tornare alla politica porta a porta, solo così si riparte dal territorio conoscendolo a fondo e apprendendo le reali esigenze dei cittadini. Occorre tornare a fare la formazione politica».
Francesco Fravolini