#TsurezuregusaAll’alba del mondo umanoide, vivere con gli androidi – Intervista allo scienziato Kohei Ogawa

“Studio gli androidi per capire gli esseri umani”. Kohei Ogawa ha aperto così la sua lecture tenuta qualche giorno fa al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano...

“Studio gli androidi per capire gli esseri umani”. Kohei Ogawa ha aperto così la sua lecture tenuta qualche giorno fa al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. È la sua prima volta in Italia, invitato da MEET (www.meetcenter.it) il centro internazionale per la cultura digitale fondato e diretto da Maria Grazia Mattei nell’ambito della serie di incontri Meet the Media Guru e il teatro è tutto esaurito. D’altra parte il personaggio è un guru a tutti gli effetti: pupillo prediletto del celebre Hiroshi Ishiguro creatore del famoso androide Geminoid, è ricercatore e docente di robotica e intelligenza artificiale all’Università di Nagoya, nonché uno dei massimi esperti nel campo della ricerca degli androidi. L’argomento poi è di quelli scottanti, che ci proiettano direttamente in un futuro di cui non capiamo ancora bene i confini e che, spesso, spaventa.

In effetti, l’affermazione con cui Ogawa si presenta, almeno all’apparenza, disorienta: come è possibile che lo studio dei robot e degli androidi sia collegato direttamente con quello degli esseri umani? Non sono forse proprio gli androidi ciò che di più lontano esiste da noi umani? Eppure quando, al mattino, ho incontrato Ogawa nella hall del grande albergo di Milano che lo ospita, quella che avevo pensato come una intervista sulle nuove frontiere della tecnologia si è rivelata ben presto una chiacchierata di stampo filosofico e antropologico. Un confronto inaspettato sull’idea di “essere umano”, su di una nuova ontologia o comunque su di una nuova prospettiva con cui guardare ad essa. Ascoltare le motivazioni e le scoperte di Ogawa è così tanto illuminante che può capitare, come è successo a me, di uscire dall’intervista con le idee completamente ribaltate e se qualcosa c’è da temere non sono tanto gli androidi ma i nostri stessi simili, sempre più lontani da una idea generalizzata di umanità.

Ogawa-san, perché la nostra società ha bisogno di sviluppare gli androidi?

L’androide non è il primo soggetto della mia ricerca. La motivazione principale per cui studio gli androidi è che voglio conoscere l’uomo. Se potessi capire l’essere umano in un altro modo non avrei bisogno degli androidi. Lo scopo della mia ricerca è capire l’essere umano e l’uomo nei suoi processi di comunicazione

Messa così questa affermazione sembra però un controsenso: come può capire l’uomo attraverso lo studio delle macchine?

Non lo studio delle macchine ma lo studio dello sviluppo delle macchine. Si tratta di una ricerca un po’ complicata, non di pura ingegneria ma che implica un approccio interdisciplinare.

Ce la spieghi: vuol dire che per comprendere il processo emotivo degli androidi, il loro modo di comportarsi come esseri umani, ha dovuto studiare anche le neuroscienze?

Io non studio le neuroscienze, che invece sono studiate da un altro team con il quale collaboro. L’ingegneria è il mio background ma ho dovuto studiare anche informatica: mi occupo del sistema informatico, del sistema di intelligenza artificiale e dei loro molti aspetti ibridi. Per esempio ho tentato di creare il prototipo di un sistema di assistenza virtuale (chatbot), ma ho capito che è impossibile perché io non conosco l’essere umano. Ho provato a insegnare al sistema chatbot a dire “ti amo”. Lui lo poteva ripetere come da richiesta ma non riusciva a comprendere il significato della parola amore, il concetto di amore. Non poteva inserire “ti amo” nel discorso o rispondere. La mia idea è quindi quella di capire il concetto di amore, comprendere come poterlo insegnare al robot o all’assistente virtuale. Per questo credo sia importante indagare “l’uomo” in sé. Così ho iniziato a studiare le scienze umane.

Tra le ultime evoluzioni degli androidi ci sono il prete buddhista o Alter3 che dirige un’orchestra. Non sarebbe meglio creare androidi che compiono azioni che gli umani non sono in grado di fare?

Ho creato numerose tipologie di robot androidi. Alcuni robot sono simili agli uomini e compiono le nostre stesse azioni, sono quelli che definiamo Geminoid, gemelli. Ma ci sono molti altri tipi di androidi che possono essere creati, però ho notato che questi presentano sempre degli aspetti negativi. Per esempio all’inizio della nostra ricerca utilizzavamo gli androidi come “teleoperated media” perché non era possibile utilizzare il chatbot system. Infatti quando ci troviamo di fronte all’androide, che visivamente possiede un aspetto umano, noi ci aspettiamo che questo possegga un’intelligenza pari a quella dell’uomo. La tecnologia dei nostri giorni però non è abbastanza avanzata da creare qualcosa che possa raggiungere il livello dell’intelligenza umana. Questo è il motivo per la quale noi percepiamo dei gap tra l’aspettativa e il risultato e di conseguenza emerge un sentimento di disagio e delusione. Se il robot ha l’aspetto umano noi siamo portati a perdonare, siamo più tolleranti.

Che cosa significa tecnicamente “Teleoperated”?

Significa che questi androidi non hanno una intelligenza al loro interno, ma noi possiamo usare il loro corpo e siamo in grado di trasferire la nostra presenza e la nostra voce da posti distanti. Noi oggi abbiamo molti media di comunicazione ma essi non ci permettono di fare le stesse cose come se fossimo fisicamente presenti. Ad esempio, posso chiamare mia moglie in Giappone ma non posso abbracciarla. Per questo motivo anche se i robot teleoperated non sono intelligenti sono comunque utili.

Come pensate dunque di risolvere il problema della distanza e della presenza?

Il problema più grande lo abbiamo quando io creo il mio avatar robot perché il robot è molto utile per me, mi somiglia, ma per te è totalmente inutile. Per esempio se in un android con il mio avatar arrivasse la tua voce si creerebbe confusione, quindi gli androidi sono utili solo se rispecchiano la nostra essenza. Per questo stiamo cercando di creare qualcosa di neutro, ovvero una presenza ideale, non veramente simile a una persona specifica ma che, in senso generale, possa essere accumunata alla categoria “umano”. Si tratta di un robot neutro che può rappresentare ogni tipo di persona. Lo chiamiamo Telenoid. Telenoid non ha un genere, non ha età, ciò significa che ogni persona può utilizzare questo “corpo” come vuole. Anche se l’aspetto del Telenoid può apparire strano, spaventoso, è qualcosa di neutrale, quindi il suo utilizzo non crea disagio ma può anzi stimolare l’immaginazione. La mia ambizione ora è quella di utilizzare i robot nella vita quotidiana.

Ma perché avete creato un androide Buddha?

Si tratta di un processo evolutivo. Prima di creare il Buddha androide ho parlato con un monaco buddhista il quale mi ha raccontato come prima non esistesse alcun mezzo per trasmettere il messaggio buddhista, c’erano i dipinti. Poi è stata creata una figura tridimensionale, la statua del Buddha, attraverso la quale noi comunque riusciamo a percepire qualcosa di sacro. Oggi si è arrivati all’androide monaco buddhista. Tutto questo è possibile perché c’è il media dell’immaginazione.

Lei sta sviluppando androidi simili all’uomo. Dall’altro lato, l’ingegneria biomedica sta sviluppando supporti del corpo e sostituirli in caso di malattie. Si arriverà ad un punto medio in cui saremo in parte umani e in parte macchine?

Non ho una risposta corretta a questa domanda. Ma credo che lo studio sugli androidi sia veramente agli inizi e che questo studio ci permetta di riflettere su di noi. Per le persone che vivono in questo tempo, qual è il fatto più importante? Il corpo organico o il corpo fisico? La comunicazione o la conoscenza? Quale cosa rende più “umani”? Qual è la parte essenziale? È una sorta di domanda esistenziale: se il mio corpo non fosse composto da materia organica, sarei ancora umano? Essere percepito “umano” non riguarda qualcosa dentro di me ma è qualcosa che arriva da fuori, è per via della comunicazione che siamo umani. La mia coscienza o le mie emozioni non sono incorporate in me, sono tutte cose che avvengono tra umani. L’androide è un buon mezzo per pensare a tutto questo.

Si dice che l’attitudine dei giapponesi verso i robot sia più semplice rispetto a quella occidentale perché i giapponesi sono shintoisti e non fanno distinzione tra mondo animato e inanimato. Ma la lingua giapponese ha addirittura due verbi per indicare la presenza: aru per gli oggetti e iru per gli esseri animati. Nella lingua la differenza c’è…

In effetti ora che mi ci fa pensare è vero… credo comunque che quella verso i robot sia solo una tendenza della nostra cultura. Accettiamo subito qualcosa di nuovo, siamo più comprensivi. Quando mostro gli androidi alle persone la loro reazione è sempre la stessa, sia che siano giapponesi o occidentali. Ma dopo questa prima impressione, i Giapponesi cercano di accettarlo mentre gli occidentali tendono ad esserne spaventati. Per quanto riguarda lo shintoismo, bisogna dire che non c’è una Bibbia che ci dica cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Noi proviamo e attraverso questa esperienza si crea il senso comune. Questo ci permette di trasmettere le informazioni più velocemente, per cercare il consenso di tutti.

Lei ha affermato che il futuro degli androidi dipenderà da noi. Qual è dunque il futuro degli android?

Nell’aspetto pratico, Telenoid può essere presente nel futuro perché può aiutare molte persone, gli anziani in difficoltà o in altre situazioni difficili. Ci sono alcuni lavori che possono essere rimpiazzati dagli androidi e altri invece no. Gli androidi possono esserci utili per poter migliorare la produttività, diminuire le ore di lavoro, nell’educazione. Il mondo è in trasformazione, anche se alcuni lavori che ora fanno gli umani un giorno li faranno gli androidi, se ne creeranno altri.

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