Il libro di Patrizia Manganaro, Verso l’Altro (Città Nuova, 2002), è un invito intelligente a non perder di vista il mistero del tu in un’epoca inquinata dall’Io al maiuscolo e dalle sue volontà di potenza.
Impiegando gli strumenti della fenomenologia, e in particolare l’offerta suggestiva di Edith Stein, l’autrice riconosce nella mistica cristiana la fervida possibilità di accarezzare il vissuto dell’altro e farlo mio nel giuoco empatico del “sentirti dentro”.
La chiave per scongiurare l’“infelice autoreferenzialità”, di cui la filosofa ha parlato in uno studio più recente (Narcisismo. Tre riflessioni liquide, Ed. Messaggero Padova, 2016), è stupirsi dello spirito, dell’anima e del corpo riassunti nel gesto inedito del tu; un gesto che può essere ricevuto se, al pari di Edith Stein e di Teresa d’Avila, riesco ad assecondare l’impulso agostiniano di un’interiorità che trova pace nella calda stanzetta dell’anima, in un punto ben preciso e delicatissimo, ove dimora l’esperienza della verità e la rivelazione del Tu eterno.
L’io che abita il centro dell’anima è in grado di raggiungere il suo Sé, scegliere nel cemento delle tentazioni con autentica libertà e tuffarsi nelle problematiche dell’altro al fine di diventare persona. La persona, infatti, è il frutto dell’Einfűhlung: quell’odore di empatia che supera la grammatica cartesiana del soggettivismo e sconfina nell’ex-per-iri, nell’andare da e attraverso in dolce compagnia di un linguaggio simbolico che spezza il rumore del prevedibile.
Il lettore avrà modo di assaggiare la bella prosa e i ricchi contenuti di questo testo, a cui rinvio.
Al di là di ogni discorso ermeneutico degno di nota, mi chiedo spesso chi è colui che oggi, nella stagione drammatica della morte di Dio, ha un altro fiato per dipingere il mattino con i colori della luce e far resuscitare quel corpo.
Chi è colui che vuole afferrare i suoni poetici di un altro tempo, nell’attesa di un vuoto che consentirebbe di coniugare, stringere e ascoltare il grido dell’altrove?
Chi nuota nel dettaglio, ed è pronto a far festa con il tu nella regione più nascosta e puntualmente sbeffeggiata da un bieco storicismo?
Chi insegue il dolore dell’alterità e si decentra sul serio, uscendo di casa?
Chi situa al centro della sua anima il cuore del tu (Tu)?
Chi sfida ancor di più il mondo, alzando l’asticella del rischio, senza sedersi o dire: “ è roba da mistici!”?
Chi è consapevole che non è il tempo delle parole, della teoria sapiente, della forma, della tremenda pace dell’estrinseco, già crocifisse nell’ora nona …?
Chi si rende conto che l’oggi del terzo Vangelo richiede un’azione proprio oggi, anzi adesso?
Chi realizza il paradosso e frega secoli di individualismo in un bellissimo anonimato pronto a nutrirsi di purezza e di una croce in perenne movimento fra terra e cielo?
Chi è dentro il mistero fra il qui e l’altrove, e ospita con inguaribile pazienza e fiducia: domande, silenzi o singhiozzi del secondo pronome?
Chi fa, senza dire come andrebbe fatto?
Chi fa amore con il cuore rinnovato e con le imperfezioni che lo condizionano?
Chi avanza nelle praterie del disincanto con la speranza inquieta di un bimbo?
Chi sconfigge il suo nichilismo e dà adito a una seconda vita, a un secondo evento, a un secondo accadere in sospeso?
Chi si fa parlare dal Kairos (il nuovo tempo) e rifiuta le consuete bugie del Chronos (il grigio della routine)?
Chi prova a giocare tra il finito e l’infinito, andando oltre la penna, oltre la tonaca, oltre una cattedra, oltre un mestiere, oltre una superficie fenomenica che non permette la preghiera in ascesa o in discesa verso l’immensamente altro?
Chi fa il maleducato con i punti neri del mondo, e riempie la pagina bianca del suo istante con l’inchiostro dei buoni?
Chi disprezza, sul serio, le perversioni dei “dottori della legge” e ama ad oltranza nei labirinti che nessuno vede?
Chi non si ama, perché non ha tempo per il ‘se stesso’, ma solo per il tu (Tu)?
Chi ti vede? Chi ti sente? Chi muore per il volto …?
Questo e altro chiedo a me, per primo.