Antonio Lombardi ha scritto un ottimo libro su Gustavo Bontadini. Se dovessi consigliare un lavoro su questo importante filosofo ai tanti che purtroppo, in Italia e all’estero, lo ignorano, mi sentirei di indicare proprio Il volto epistemico della filosofia italiana. La Neoclassica di Gustavo Bontadini (AM Ed., 2018).
Il giovane studioso riesce a insediarsi con agilità ermeneutica e forte preparazione storiografica e culturale entro le dinamiche che accompagnano l’impegno teoretico più serio e problematico della prima parte del secolo scorso, quello rivolto all’Assoluto, a Dio, a un’Idea che deve pur sempre fare i conti con l’eredità del pensiero moderno.
Bontadini, ci ricorda Lombardi, rientra nel filone epistemico della filosofia italiana in modo originale: idealista e realista; riluttante al dualismo gnoseologico che da Cartesio giunge fino a Kant, anche se scorge nell’andamento moderno uno sviluppo imprescindibile di ciò che chiama l’“Unità dell’Esperienza”; addirittura neo-scolastico e neo-parmenideo. Non a caso l’autore del libro si dedica, fra le altre cose, a un confronto avvincente tra Bontadini e il suo celebre discepolo Severino.
Insomma, si discute di un filosofo che apprezza e condivide i punti nevralgici che caratterizzano le varie epoche: dai greci e dal tomismo recupera, con gusto inedito, il principio metafisico, il “positivo” che non può non essere; dalla modernità, come si è detto, riceve l’attenzione analitica verso il quadro esperienziale, il questo d’ispirazione hegeliana, ciò che accade nel qui, il divenire che notoriamente imbarazza i figli e nipoti di Parmenide; della contemporaneità di matrice neo-idealista fa suoi gli strumenti metodologici che gli permettono di emanciparsi da presunti ritardi del pensiero classico, soprattutto quello greco. La sua libertà di giudizio gli suggerisce, inoltre, di accostare Husserl a Gentile.
Solo che i suoi contemporanei, pur respingendo con enfasi quel presupposto incentrato su un noumeno irraggiungibile dal mio conoscere, hanno disegnato una piatta identificazione fra il Tutto (la metafisica) e la progressiva totalità empirica, il cui risultato sa di pigro immanentismo.
Bontadini sostiene semplicemente che oltre l’esperienza c’è Dio. Egli, infatti, distingue la vita dall’Assoluto. La prima è, ancora una volta, il divenire che appare e scivola nei pericolosi labirinti del non è o non è più; mentre il secondo è Altro dal medesimo rapporto di complicità che lega, ad esempio, il tratto sintetico dell’appercezione allo stupore del nuovo, la mia possibilità di conoscere all’ora del mutamento, i miei occhi caldi e la mia fredda mente alla spettacolarizzazione dell’Essere.
Il pensiero tocca i destini vivi (non rappresentativi) dell’esperienza nel suo quadro unitario, ma deve poter indicare l’Essenza che anticipa il divenire, in quanto la ragione deve confermare il senso religioso dell’Atto puro.
Il tempo disorientante e “urgente” della vita, del resto, non può essere principio assoluto, perché il nulla, cioè la radicale alternativa all’Essere, non può partorire lo strano essere del divenire. Solo l’Incontrovertibile, solo l’Essere, ciò che appunto non può essere eccepito, può allargare lo spazio del reale entro cui l’attimo fuggente trova provvisorio riparo.
Con il suo Teorema di Creazione – il Creatore che crea e contiene in fondo la potenzialità dell’imprevedibile pronto a vestire i panni del fenomeno –, Bontadini crede di aver risolto molteplici aporie che hanno disturbato, fin dall’origine, il profilo speculativo proiettato verso l’Eterno.
Lombardi è dentro tali questioni, e con sensibilità e insolito spirito critico, come peraltro si evince verso la fine del volume, offre un intelligente contributo teoretico di cui bisogna tener conto.
L’Assoluto, quello vero, a mio avviso può essere colto soltanto con il cuore rinnovato e in perenne conversione. È un atto di fiducia, di attesa, di respiri, di suoni che viaggiano nell’altrove, persino oltre quell’ulteriorità tracciata con impulso teologico da Bontadini stesso. In questo oceano si naviga con il linguaggio del simbolico, anziché con la penna fredda del razionale. Si tende ad “ascoltare” un po’ di più il profumo misterioso del vento e si esplicita meno.
In ogni modo, se consideriamo il ritmo pornografico dell’oggi, con i suoi pensierini deboli, i suoi neo-realismi dell’esteriore, i suoi analitici dell’effimero, i suoi spiccioli nichilismi e rispettivi assassini di Dio, occorre senz’altro prestare attenzione a un filosofo che, a modo suo, ha vissuto la tensione.