E(li's)booksLa mia lettera al mondo di Emily Dickinson. Intervista al traduttore Andrea Sirotti

Dallo scorso 22 novembre in libreria La mia lettera al mondo in una edizione di Interno Poesia. Il volume è curato dal traduttore Andrea Sirotti che ho avuto modo di intervistare. Il libro L'amat...

Dallo scorso 22 novembre in libreria La mia lettera al mondo in una edizione di Interno Poesia. Il volume è curato dal traduttore Andrea Sirotti che ho avuto modo di intervistare.

Il libro

L’amata e universalmente riconosciuta Emily Dickinson pubblicata in un’edizione che riunisce il meglio della vasta produzione poetica della celebre poetessa americana. La mia lettera al mondo, antologia con testi a fronte tradotti e curati da Andrea Sirotti, offre uno sguardo inedito, meno accademico ma più vero, sulla scrittura e i temi squisitamente dickinsoniani: l’amore, la morte, il silenzio, la natura, l’altro, l’America, il mondo letterario. Come osserva lo stesso Sirotti nella postfazione, tale inedita traduzione “aspira a farsi portatrice di una fedeltà, ma non al significato e nemmeno alla forma, quanto piuttosto all’assertività e l’autorevolezza di una voce poetica unica”

La mia intervista ad Andrea Sirotti

La prima domanda molto banale, ma è un mio vezzo farla sempre ai traduttori di grandi opere: cosa si prova a misurarsi con Emily Dickinson?

Quando Andrea Cati di Interno Poesia mi ha proposto il progetto, ho subito pensato che sarebbe stato un compito difficile. Dickinson è una delle autrici più popolari in Italia, una tra le più pubblicate e tradotte in assoluto. Sarebbe stato arduo, infatti, confrontarsi con i molti autorevoli traduttori venuti prima di me e con tanti poeti e poetesse che, con grande autorevolezza, hanno incrociato con Emily le armi della sfida poetica.

Avevo i requisiti necessari per farlo? Sarei riuscito a far qualcosa di nuovo e diverso dalle ottime versioni che circolano (ne cito solo due che amo molto, benché molto diverse tra loro: quelle di Nicola Gardini per Guanda e quelle di Silvia Bre per Einaudi).

Ma poi è prevalso in me il senso di sfida e la curiosità di misurarmi con qualcosa di nuovo rispetto ai miei vent’anni di militanza al servizio della poesia contemporanea angolofona. E il “classico” che mi veniva proposto era sicuramente nei miei gusti e nelle mie corde. Si trattava di trovare il mio personale approccio a Emily, senza seguire troppo da vicino strade già percorse; e qualche idea a riguardo l’avevo già.

Quindi non ci ho più pensato molto, ho ringraziato e mi sono messo al lavoro.

“Una traduzione che aspira a farsi portatrice di una fedeltà” così hai scritto nella prefazione riferendoti al tuo lavoro di traduzione. Vuoi spiegare in breve ai lettori cosa intendi dire?

“Fedeltà” è un termine che ricorre spesso quando si parla di traduzioni. Credo che la traduzione debba tendere alla fedeltà rispetto a certe caratteristiche irrinunciabili della poetica dell’autore. Non si tratta quindi di fare traduzioni fedeli al senso letterale, o allo stile, né si vuole cercare di prendere posizione nella classica dicotomia (invero un po’ sessista!) fra la traduzione “bella infedele” e quella “brutta fedele”; ma piuttosto cercare di cogliere i tratti più peculiari della voce poetica e riprodurli in un italiano che possa aspirare, senza arrossire, a figurare nel libro stampato alla destra dell’originale.

Nel caso di Emily, in particolare, il tentativo è stato quello di rendere al meglio l’assertività, l’originalità e la limpidezza della sua voce poetica.

Quella di Emily Dickinson è poesia-culto, quali aspetti la rendono così moderna?

Per me la sua modernità sta proprio in ciò che sembra più anacronistico in tempi come i nostri. Vale a dire la sua fiducia visionaria nella capacità della parola di trasformare la realtà. La sua «convinzione poetica» (contrapposta alla banale «prosa») che permette di creare linguaggio senza banalizzare o appiattire il pensiero.

Moderni, e molto, sono anche il suo caparbio rifiuto del conformismo e di accettare supinamente le regole del mainstreammaschile e borghese.

Io adoro sentir parlare dei “trattini” di Emily Dickinson. Che ruolo ha la punteggiatura nella traduzione?

Nella poesia di Emily Dickinson, come è noto, il suono è altrettanto importante del silenzio.

Il senso delle parole è immerso in un liquido amniotico di pause e reticenze. I trattini rappresentano proprio questo. Il momento in cui la voce tace e si fa avvolgere dal silenzio, imprevedibilmente, anche per un breve attimo non sintattico. È all’interno di quell’involucro vuoto che, alchemicamente, la parola si concentra e si distilla. D’accordo con l’editore, abbiamo cercato di rispettare questa caratteristica, magari decidendo di spostare occasionalmente le pause in modo che si conformassero al “respiro” della lingua italiana.

Il poeta americano Billy Collins ha scritto una poesia intitolata Spogliando Emily Dickinson, se dovessi tu spogliarla ma dei cliché che la riguardano e mostrarci la poetessa delle “metafore ribelli” che poesia sceglieresti?

Molto arguta quella poesia, grazie per averla ricordata, Elisabetta. La mia traduzione, in effetti, si propone proprio di “spogliare” Emily. Non tanto, come immaginava Collins, dai suoi castigati indumenti puritani, ma piuttosto da tutto il cascame sentimentale ottocentesco che così spesso è passato nelle traduzioni italiane, per riportarla a una sua nudità espressiva, intensa e originaria, sgombra da tutti gli orpelli e dai ricami del poetichese. Anche per liberare l’autrice dal ruolo di fragile poetessa confessionale, frustrata e dolente, in cui la vulgata (non solo letteraria) l’ha tradizionalmente relegata. Il mio intento è stato quello di provare a presentare una Dickinson nuova, sia offrendo alcuni testi poco presenti nelle antologie precedenti, sia proponendo una versione più aggiornata e attuale delle poesie più celebri.

Per esemplificare il concetto sceglierei due poesie, una per ogni gruppo. La bellissima (e per certi aspetti modernissima) poesia n° 854:

«Scaccia l’aria dall’aria – / dividi la luce se osi – / s’incontreranno / mentre cubi in una goccia / o palline di forma / stanno – / Le membrane non annullano / gli odori tornano pieni / forza la fiamma / e con impeto biondo / sulla tua impotenza / il vapore guizza.»

E tra i “cavalli di battaglia”, proporrei la 288, l’epitome della Dickinson più beffardamente antisistema:

«Sono nessuno! Tu chi sei? / Sei – nessuno – anche tu? / Allora siamo in due! /Non dirlo! Ne parlerebbero in giro – lo sai! // Che brutto – essere – qualcuno! / Esposto – come una rana – / che gracida il tuo nome – per tutto giugno – / a un plaudente pantano!»

C’è un tema che accomuna le poesie di La mia lettera al mondo?

Mi verrebbe da dire che il tema è… la vita. Il che, ovviamente, significa tutto e nulla.

La nostra scelta antologica è in realtà costituita da un mix fra poesie note e arcinote e poesie meno popolari e antologizzate. Non abbiamo seguito un criterio tematico. In queste poesie sono rappresentati un po’ tutti i temi dell’ispirazione dickinsoniana: l’amore, la presenza della morte, il ruolo della scrittura e della lettura, il senso del divino e della natura, il rapporto con l’alterità, la solidarietà tra le creature.

Non c’è da parte nostra una linea critica particolare o l’intenzione (attraverso la scelta dei testi) di trarre delle conclusioni di un certo tipo sulla figura dell’autrice o sulla sua poetica. L’obiettivo principale per noi, come ho già detto, è stato quello di offrire al lettore una Emily meno convenzionale, che suonasse più nuova nella sua veste italiana (si è parlato di «spogliare Emily», ma il punto è stato piuttosto su come rivestirla!).

Di sicuro, essendo solo 60 testi su un corpus di quasi 1800 poesie si può parlare solo di un piccolo assaggio ma, ci auguriamo, significativo.

Ultimissima richiesta: vuoi fare un piccolo “spot” rivolto a ragazzi che non hanno ancora letto Emily Dickinson? Perché leggere La mia lettera al mondo?

La Dickinson va letta e riletta perché è estremamente attuale. Perché continua a parlarci in tanti modi diversi (quanto sono diverse le traduzioni). Perché il suo linguaggio e i suoi sentimenti raramente suonano arcaici o desueti.

Lo spot migliore che si può fare, credo, è citare le sue parole. Ad esempio in questa breve poesia, la 719, chiunque può trovare assonanze con emozioni e situazioni universali e contemporanee:

«Un vento del sud – ha il pathos / di una voce personale – / come quando s’ode agli approdi / l’accento di un emigrante. // Un cenno ai porti – e ai popoli – / e a tante cose ancora da capire – / tanto più belle – perché lontane – / e perché straniere.»

Emily vuole dirci proprio questo: abbiamo «tante cose ancora da capire», e i suoi versi sono lì per aiutarci a farlo.

Emily Dickinson – La mia lettera al mondo – Interno poesia 2019

Curatore Andrea Sirotti pg 144 € 10,00

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