Spariti da anni dall’agenda politica da troppi anni, il mondo della gioventù sono ricomparsi per una breve frazione di tempo qualche giorno fa all’interno dei lavori parlamentari. Non a torto , scrive Claudio Cerasa sulle pagine de Il Foglio, si afferma chiaramente che la meglio gioventù del nostro paese è una generazione presa (cito) per il “culo”, chiamata in causa solo per opportunismo e non per ragioni di sostanza.
Un emendamento alla riforma (ennesima) di revisione costituzionale costituzionale parifica l’età di diritto al voto per le due camere al diciottesimo anno di età (rispetto ai 25 attualmente in vigore per eleggere i senatori). E per converso, l’equiparazione si applicherebbe anche in senso passivo con la possibilità di essere eletti avendo 25 anni (anziché 40 come oggi ). fin qui l’aggiustamento tecnico che se vogliamo è una buona cosa ma nel complesso ai nostri “figli” vengono destinati che due spicci rispetto agli “over”, ai loro padri e nonni. E la cosa appare più stridente e contraddittoria proprio in questi anni dei “ggiovani” al potere, i nuovi e rampanti leader dai quali ci saremmo aspettati una trasversale convergenza sulle questioni giovanili (dalla trasformazione del lavoro alla crescita demografica passando per il merito e la giustizia sociale, la cultura green e dei diritti fino al dialogo transculturale). Ci saremmo aspettati qualcosa di più persino dalle stars del momento come le Sardine che ispirano tenerezza, voglia di cambiamento di linguaggio, stile ma ancora tutto troppo modale, accidentale e nulla di sostanziale e, nel caso delle nuove generazioni, esplicitamente trasversale visto che i destini di una giovane coppia di Catanzaro o Milano sono gli stessi. La presa in giro vede tutti carnefici nei vari Salvini, Renzi, Di Maio, Speranza, Di Battista o Meloni, Boschi e Carfagna. Non una presa di posizione che sia una, non una proposta controcorrente, non una traiettoria contraria al pensiero geriatrico dominante, non un progetto politico che ponga fine all’esilio dei giovani nell’agenda dei governi. Nulla, un paese egoisticamente vecchio, fatto per vecchi e già garantiti come dicono i numeri dell’Istat.
Secondo l’ultimo report, la spesa per le pensioni arriva a 300 miliardi di euro ( oltre il 16% del Pil) contro, tanto per fare un paragone macro, l’1,38 dedicato alla ricerca e allo sviluppo, un settore squisitamente ad appannaggio degli under 40 e un ampio spettro di settori e competenze. Allargando la riflessione ai bisogni economici in tempo di crisi, con il 31,5% dei giovani che si trovano in condizioni di deprivazione economica, quasi dieci punti percentuali in più rispetto alla media degli ultra sessantacinquenni (22%). Bastano questi numeri per rifiutare in solido la mole di sciocchezze da talk show quando l’ulcera dei giovani viene perforata da reportage di anziani che fuggono verso Spagna. Portogallo, Ungheria oppure Thailandia alla ricerca della quarta età con infradito,costume e pareo, fisco agevole e ingratitudine. Deve pensarci lo stato – affermano – mica noi che abbiamo lavorato.
Una sorta di chiagni e fotti con cartolina esotica di accompagnamento, dimenticando che lo stato siamo noi, sempre e comunque, nonostante gli alti e bassi della storia. Non è una novità il fatto che la coperta è corta ( e da molti anni) ma a tanti italiani piace dimenticarselo per poi trovare – attraverso la morale della delega – un colpevole a seconda delle circostanze. Per cui da un lato pretendiamo diritti ma dall’altro non ci piace trovarci nel bivio di una scelta che include qualcosa ma ne esclude un’altra. Ma è il tempo il nemico di tanti over 20 in italia: il tempo di un istruzione competitiva, il tempo di creare e mantenere una famiglia, il tempo per unire carriera e vita affettiva. No, si ha paura del tempo e le nuove generazioni sono perlopiù annichilite dal principio di realtà e costrette alle acrobazie per tirare avanti. Alla fine del mese – infatti – sono più i giovani a stringere cinghie e denti per arrivare in pareggio al successivo stipendio finito ancor prima di essere accreditato in banca. La realtà – piaccia o no – è che il tempo non è più un’opportunità ma qualcosa che si restringe ai loro occhi recando loro stress, deficit volitivo, ansia, depressioni, sfiducia nelle istituzioni.
Altro che mito del pensionato in crisi: i nostri giovani devono diventare la “pietra d’inciampo” per una politica distratta oltre il sopportabile. Spero che la politica ci caschi su queste pietre e rialzi la testa.