Partiamo dal fatto: domenica 26 gennaio si vota per scegliere il Presidente della Regione e rinnovare l’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna. Lo si fa ogni cinque anni dal 1970.
I due principali sfidanti sono Stefano Bonaccini, il Presidente uscente, e Lucia Borgonzoni la candidata dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini. I contendenti sono sette, ma la sfida vera sarà tra loro due: Bonaccini e Borgonzoni.
Premessa: conosco Stefano Bonaccini da quando ero uno studente dell’Università di Bologna, a occhio e croce sono passati più di 10 anni. Non posso definirlo un mio amico ma è una persona che stimo, negli anni siamo stati d’accordo e in disaccordo, ma cinque anni fa quando scelse di candidarsi per guidare l’Emilia-Romagna mi schierai dalla sua parte e cinque anni dopo, oggi, rifarei la stessa scelta.
Dicevamo, Bonaccini e Lucia Borgonzoni. Se da una parte, come uno di quei numeri 9 che si vedono nei campi di provincia dove il calcio è rimasto ancora un po’ romantico, non si è risparmiato uscendo sempre dal campo con la maglia inzuppata di sudore, con la testa fissa sull’obiettivo: fare e fare meglio per l’Emilia-Romagna, dall’altra si è scelto di non entrare nel merito delle questioni, chiedendo a gran voce un cambiamento razionalmente ingiustificato ma ben studiato per solleticare quel sottobosco “contro” che per vari motivi o ragioni oggi rivendica per se le leve del comando regionale quasi come un feticcio da esibire, non per fare qualcosa di meglio, ma semplicemente per dire ci siamo riusciti.
Il buon governo di questi anni ha prodotto risultati eccellenti, i numeri lo dimostrano, ma non basteranno. Non si vota solo con la ragione si sa (altrimenti racconteremmo storie diverse) e sotto attacco non c’è Stefano Bonaccini, che può convincere oppure no, o il Partito Democratico che qui, più che altrove, è quel tratto di continuità dal PCI, ai DS passando per il PDS, un fatto che non è da considerare una sciagura sia ben inteso ma una “filiera politica” capace di produrre sindaci come Giuseppe Dozza, Cesare Campioli, Alfeo Corassori, Renzo Imbeni, o a modelli di governance da aggiornare. No, l’attacco è più profondo e proprio per questo più duro.
Parafrasando l’indimenticato Edmondo Berselli quel gran pezzo dell’Emilia, terra di comunisti, motori e musica potrebbe tra poche ore risvegliarsi leghista. Già importanti centri lo sono diventati: Ferrara, Forlì, Sassuolo ed alle ultime elezioni europee, lo scorso 26 maggio, la Lega di Salvini nella nostra regione ha staccato – seppur di “soli” 56.817 voti – il PD.
Sono queste le questioni da riprendere in mano il “giorno dopo” ma prima c’è bisogno di una grande manifestazione d’orgoglio, di una difesa collettiva a quelli che sono i nostri valori comuni, alla storia dei nonni e dei padri di questa terra che ci ha resi quelli che siamo. Più che un semplice voto il prossimo 26 gennaio celebriamo la giornata dell’orgoglio emiliano-romagnolo, perché di questo si tratta. A chi ci spinge ad avere paura rispondiamo – democraticamente – che è vero sono tempi nei quali c’è da avere paura, sarebbe stupido non averla, ma che solo insieme abbiamo meno paura.
E così dopo 40 giorni di campagna elettorale, sui media vecchi e nuovi e nelle piazze, come si usava una volta e da tempo non si faceva più, a stringerci ogni giorno di più perché a gennaio fuori fa freddo e la campagna elettorale unisce, tra poche ore gli ultimi appelli al voto lasceranno spazio al silenzio.
Ne “I Barbari”, il suo saggio sulla mutazione, Alessandro Baricco scrive che è dall’alto che bisognerebbe guardare, proprio dall’alto abbiamo visto giorno dopo giorno le piazze salviniane farsi meno dense, vuol dire poco, ma è un fatto. Sempre in quel libro molte pagine dopo lo stesso autore scrive che ciò che si salverà non sarà quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.
Ecco, ridiventare noi stessi in un mondo nuovo, è questa la sfida, la vera sfida dell’Emilia-Romagna perché anche qui i colpi della grande crisi economica hanno lasciato i segni, perché una terra che da povera è diventata ricchissima ed ha accolto, negli anni, la famosa manodopera con gli stranieri che prima sono stati i meridionali, poi quelli che arrivavano dal Maghreb o dall’est europeo, oggi, col lavoro che in alcuni casi manca e con i giovani, spesso laureati, che se ne vanno all’estero è un po’ più incline ad ascoltare chi parla di chiudere la porta.
La ricchezza procapite in molti casi non ha corrisposto alla necessaria crescita culturale, il welfare è di alto livello ma i “nuovi poveri”, in aumento, restano esclusi da servizi che pur ci sono ma che o per pudore o per mancanza di informazioni non richiedono. E così convegno dopo convegno – con il Partito che ha visto via via perdere radicamento e ruolo nella società – è cambiato il linguaggio, sempre meno comune, e sono cambiati i rapporti tra centro e periferia.
Sono queste le questioni da riprendere in mano il “giorno dopo” ma prima c’è bisogno di una grande manifestazione d’orgoglio, di una difesa collettiva a quelli che sono i nostri valori comuni, alla storia dei nonni e dei padri di questa terra che ci ha resi quelli che siamo. Più che un semplice voto il prossimo 26 gennaio celebriamo la giornata dell’orgoglio emiliano-romagnolo, perché di questo si tratta. A chi ci spinge ad avere paura rispondiamo – democraticamente – che è vero sono tempi nei quali c’è da avere paura, sarebbe stupido non averla, ma che solo insieme abbiamo meno paura.
Salvatore Merlo sul Foglio qualche giorno fa scriveva che l’Emilia-Romagna è stata prima socialista, poi fascistissima e infine comunista, nelle sue parole si capisce che la storia – come per quegli amori cantati da Venditti – fa dei giri immensi e poi (rischia) di tornare. Tocca a noi scrivere una storia nuova, non è (più) il tempo della tattica, ma – se c’è – quello dell’orgoglio che non deve essere tifoseria ma prima di tutto senso di appartenenza ad una comunità, alla nostra comunità, a quei pilastri valoriali che sono il nostro DNA.
Con il cuore, e a testa alta, buon voto a tutti.