Il Medioriente è una zona complessa, e da pochi giorni è ancora più complessa. Uccidere una figura carismatica, per una parte rilevante di quel mondo che va dall’Iran al Mediterraneo, passando per Iraq, Siria, Libano e Palestina, è stata la più arrogante e superficiale scelta di Donald Trump.
Qasem Soleimani non era un paladino della democrazia. Soleimani era un militare, un grande stratega, l’uomo che più di ogni altro ha sconfitto l’Isis, grazie alle migliaia di uomini, volontari, organizzati e inquadrati nelle brigate Al-Quds. E questo dato, è bene ripeterlo, non va dimenticato. Soleimani è l’uomo che ha sconfitto l’Isis, l’uomo che ha convinto migliaia di persone a battersi e a morire (insieme ai Curdi) contro i fanatici islamisti di Daesh, con l’obiettivo – realizzato – di creare una vasta area di influenza politica iraniana. E invece che far lavorare la diplomazia (come aveva fatto per altri versi Obama, con l’accordo sul nucleare del 2015) il principe del sovranismo, Donald Trump, ha preferito far fuori l’uomo più rispettato in Iran.
Con Soleimani muoiono un ventennio di summit sulla pace, accordi diplomatici – stiamo parlando dell’area geopolitica più importante al mondo – discussioni, dibattiti, analisi e prospettive. E l’ipocrisia, o la stupidità, di un Presidente americano, ancora una volta, ha fatto finta di non saperlo, lasciando l’Europa e il mondo col cerino in mano. Esattamente come nel 2003, quando G.W. Bush invase l’Iraq.
La morte di Soleimani spiega perché Trump (quello che gridava “America First”, e oggi fa fuori un generale iraniano) abbia firmato, pochi mesi fa, un contratto di vendita di armi per 360 miliardi di dollari con l’Arabia Saudita. Parliamo del paese che più di ogni altro (insieme a Israele) odia l’Iran. Il paese da cui provenivano la maggioranza degli attentatori delle torri gemelle, il paese dove l’attuale principe ha fatto sequestrare e uccidere pochi mesi fa un giornalista nell’ambasciata saudita in Turchia, e lo stesso paese che durante la campagna elettorale 2016 venne usato da Trump per attaccare Ilary Clinton, ripetutamente, sostenendo che vi fossero stretti legami affaristici tra la candidata e la famiglia saudita.
Questo, molti americani, quelli a cui vuol parlare Trump in campagna elettorale, difficilmente lo capiranno. E neanche lo sapranno mai. Si limiteranno a valutare: “Era un cattivo? Sì”. Allora nessun rimpianto. È questa l’amara verità. Il sovranismo e i suoi epigoni mondiali (Trump, Bolsonaro, Erdogan, Salvini…), sbandierano la semplicità e ignorano la complessità. Nelle loro campagne elettorali quotidiane non vanno oltre la dicotomia “buono o cattivo”. Salvo poi vendere armi per i propri interessi, veder bruciare l’Amazzonia per i propri interessi, invadere il Rojava per i propri interessi e fare dello sciacallaggio in ogni situazione complessa. Sempre per i propri interessi.