Anno nuovo, vecchie e cattive abitudini che restano. Purtroppo. La recente notizia della concessione dei servizi ferroviari a Trenord, da parte di Regione Lombardia, per i prossimi dieci anni non è una sorpresa. E non me ne straccerò le vesti. È semplicemente la conseguenza della situazione italiana, in cui le liberalizzazioni restano un business model da tutti sbandierato come altamente sostenibile, anche per i servizi pubblici a rilevanza economica, ma poi da nessun messo in pratica.
Tuttavia, recentemente mi sono trovato d’accordo con l’assessore ai trasporti per Regione Lombardia, Claudia Maria Terzi – forse questa è la vera notizia! – per quanto detto durante un suo recente intervento Tv, nel corso del quale ha sottolineato che le gare non si fanno per pulirsi la coscienza e che, se gara deve essere, deve essere gara vera. Come darle torto? Da sempre infatti le imprese (private) che rappresento promuovono il diffuso ricorso a gare contendibili nel ferro e nella gomma, in quanto convinte – grazie alla loro esperienza sul campo – che la sana concorrenza sia il sistema più adeguato per creare efficienza in un settore che potrebbe contribuire alla crescita economica del Paese.
D’altra parte, siamo anche i primi a dire che se le liberalizzazioni le fai solo a metà – o un quarto, o un decimo, o meno ancora – restano incomplete. Quindi immaginarie. Di conseguenza, sarebbe meglio non farle, perché – come insegna la saggezza popolare – una pezza è peggio del buco. Gare fatte a macchia di leopardo, che non abbracciano l’intero mercato, bensì che vanno soltanto a intaccare la poca efficienza del sistema fanno peggio di una gestione in cui l’unico soggetto è il pubblico.
In generale, nella “liberale” Italia, negli ultimi vent’anni, le gare sono state pochissime, per niente contenibili e in pratica solo nella gomma. Sul ferro infatti il modus operandi è chiaro. Si parte dall’assunto che le dimensioni dei bacini non sono oggetto di discussione e il gioco è presto fatto. Chi mai ha le spalle tanto larghe – se non le major del Tpl in Italia e in Europa – da accollarsi la gestione di un lotto così esteso come, per esempio, quello lombardo, che conta quasi 5 miliardi di euro di servizio, per un totale di 840 mila passeggeri al giorno? Non è un caso che, praticamente dal tempo dei Romani antichi, nei servizi ferroviari regionali le gare si contino sulle dita di una mano. La quasi totalità delle regioni ha assegnato la concessione a Trenitalia, facendo leva su un coacervo di regolamenti e norme che, in confronto, le quartine di Nostradamus sono di una cristallina chiarezza. Un labirinto giuridico, in pratica, dal quale le imprese private, con la loro razionalità lineare, spesso non riescono né a entrare né a uscire. Un castello kafkiano, nelle cui segrete viene custodita la formula per conservare inalterati quei meccanismi consolidati (e ossidati) che non lasciano spazio a una qualunque eventualità di concorrenza esterna.
Ma è sulla gomma che la creatività burocratica ha dato il meglio di sé. Ed è qui che le parole della Terzi – se gara deve essere, deve essere vera – trovano la loro piena efficacia. Non sono vere infatti le gare dove si può qualificare una sola azienda o al massimo due. Perché questa non è concorrenza, ma lottizzazione. Né sono gare vere quelle dove l’arbitro è di parte, caso tutt’altro che raro in Italia, compresa la grande Lombardia. Giusto pochi giorni fa, si è aperto il processo penale contro gli arbitri della gara TPL della Provincia di Pavia. Per carità, da noi vige la presunzione di innocenza, ma intanto un magistrato inquirente e uno giudicante hanno pensato valesse la pena guardarci dentro. E ancor meno può definirsi gara il project financing Milano Next. Che c’è di strano se Milano mette insieme un mega progetto – precisiamo per correttezza – pubblico, per assegnare alla propria azienda il servizio per i prossimi 15 anni? In fondo cosa fanno le altre grandi città italiane? Fanno sicuramente peggio: vedi qualità del servizio e debiti a Roma o Napoli. Ergo, di fronte a una Milano, modello per il resto del Paese – sebbene sia sempre più ideologicamente un modello – che agisce in questa direzione, nessuno ha pensato fosse il caso di alzare il dito in nome non tanto della concorrenza, bensì della coerenza. Ad Atm infatti piace fare le gare a Copenaghen o altrove, ma guai a entrare nel suo giardino. Siccome a casa tua vuoi vivere in pace, ti inventi qualsiasi cosa pur di evitare il confronto con altre realtà imprenditoriali. Per la serie, altrove tutti siamo liberali, qui da noi vade retro Satana!
Così stando le cose, abbiamo due soluzioni: 1. Stato e Regioni decidono che il Tpl è affar loro, e se lo fanno; 2. Ci prendiamo tutti un congruo periodo di tempo per preparare le cose come si deve e svoltare seriamente per un libero mercato. Questo perché, come abbiamo detto anche alla nostra ultima assemblea, le gare per pulirsi la coscienza è meglio non farle. Creano danni irreparabili e peggiorano l’efficienza del sistema, che peraltro non è certo un benchmark internazionale. Emendamento inappellabile alla nota 1: il Tpl diventa tutto pubblico, ma ci facciano il piacere di indennizzare le poche aziende private sopravvissute alla sovietizzazione del comparto. Questo per riconoscenza del servizio prestato e affinché noi, togliendoci di mezzo, si possa far altro. Senza alcun disturbo.