Silvana Turchi è una costumista cinematografica, teatrale e pubblicitaria, alla passione per i costumi e le scenografie ha unito quella per la scrittura ed ecco il suo romanzo: A 1000 km dai ricordi .
Il libro
In una piccola cittadina francese, Rachele, una pittrice famosa per i suoi ritratti scomposti, perde il marito a seguito di una malattia. La scomparsa è devastante, e ritrovare l’amore per la vita pare un’impresa impossibile. Nulla e nessuno, neanche i due figli sembrano in grado di riempire quel vuoto che la morte le ha scavato nel cuore. I ricordi affiorano in modo tempestoso e non fanno che accrescere la sua sofferenza. Il presente è offuscato dal passato e il futuro diviene inimmaginabile, l’unica via d’uscita dal dolore è rimuovere il lutto e fingere che nulla sia successo. Inizia così un viaggio senza meta, affidato al fato, portando con sé la sola cosa che sopravvive nel profondo della sua anima: il talento artistico. La misteriosa imprevedibilità della vita la condurrà tra gli “ultimi”, nell’oblio esistenziale del popolo dei dimenticati, che prima la proteggerà dai ricordi, poi la traghetterà verso la presa di coscienza e la rinascita. Silvana Turchi, attraverso un romanzo introspettivo al femminile, affronta il tema della perdita e del peso della memoria ricostruendo le complesse dinamiche familiari del rapporto genitori/figli. Il desiderio di rinascita diviene un viaggio fisico e dell’anima in cui la vita si apre verso nuovi mondi e l’unica risposta al dolore è l’arte di riscoprire noi stessi sempre diversi.
La mia lettura
“Mi sentivo imperfetta e mancante. Avevo perso la mia quercia, l’uomo che con la sua solidità mi aveva permesso di ridere e sognare. La sua morte mi era sembrata la punizione per non averlo ringraziato abbastanza. […]Il suo ultimo respiro mi aveva fatto oscillare in un vuoto freddo e sordo. Mi domandavo come aveva potuto lasciarmi e come avrei fatto a vivere senza il suo battito che aveva regolato il mio tempo come un orologio.[…] Mi sentivo intrappolata in una vecchia cornice, l’ospite di una vita non mia. Soffocavo, dovevo uscire, andarmene, abbandonare tutti, sparire da Matilda e Theodore come la peggiore delle madri. Non potevo chiedermi come si sarebbero sentiti, cosa avrebbero fatto. Non potevo guardare il passato e avevo bisogno di tempo per progettare il futuro. Mutilata com’ero, mi sembrava di vivere in un racconto tagliato a metà.”
Rachele è una donna con una sua personalità, lo intuiamo da come l’autrice la racconta attraverso gli altri eppure sembra che abbia passato la vita a realizzarsi nell’appartenenza ad un altro, a suo marito Jaques, morto il quale ha visto se stessa annullarsi completamente, incapace di trovare un sua posizione nel mondo sceglie l’autoisolamento con particolare riguardo alla rete sociale primaria di riferimento.
Viene spontaneo chiedersi che tipo fosse Jaques, scriveva poesie alla sua donna, si prendeva cura di lei, ma che coppia era quella di Rachele e Jaques? Quanto evoluto era il loro rapporto? Era equilibrato?
Le risposte alle mie domande non le trovo nel romanzo perché l’autrice non lascia che io viva in qualche modo il rapporto tra i due protagonisti, Jaques è morto ma è presente dall’inizio alla fine della storia nella disperazione cieca di lei.
La sparizione di Rachele ci porta a conoscere i due figli, i vicini di casa, nuovi personaggi che entrano a diverso titolo nella storia e nonostante il dolore che ha cambiato la vita a tutti …
“La morte repentina di Jacques era una ferita che rendeva tutti più fragili e sensibili”
nascono anche nuovi sentimenti, dalla morte la vita dunque.
L’elaborazione del lutto di Rachele porta il lettore a compiere un viaggio tra i senzatetto di Roma, città che, leggevo qualche tempo fa sul giornale, “ospita” un terzo dei senzatetto d’Italia, se conoscete Roma lo sapete bene. Nell’umidità dei barconi sul Tevere si consuma la vita di emarginazione di cui è vittima il gruppo sociale a cui Rachele si lega, all’interno del gruppo coesistono motivazioni di autoesclusione, incompatibilità culturali, difficoltà di comunicazione, diffidenze e Silvana Turchi lo racconta bene.
Una storia nella storia, la nuova vita di Rachele fornisce il pretesto narrativo per addentrarsi in un racconto sulla dimensione affettiva e relazionale e le caratteristiche “urbane” del fenomeno dei senzatetto dove centrale è l’esclusione abitativa.
L’oblio in cui si è volontariamente rifugiata Rachele è amplificato dal fatto che non parla italiano …
“Sulla carena arrugginita e piena di squarci […], risaltava ancora leggibile il nome dell’imbarcazione: “Amnesia”. […] Da quell’esplosione di carta galleggiante apparve un singolare individuo dagli occhiali massicci e dalle brache cangianti che, gettandomi le braccia al collo, si presentò come “Babet il libraio”. […] Lo seguii a bordo, facendomi largo tra i fogli umidicci […] mi trovai in un mondo fatto di acqua, di libri e di carta. […]Non mi era chiaro né il senso, né il nesso che univa quei libri: “I Racconti” di Kafka, “Siddharta”, “Notti sull’acqua”, “Il Purgatorio”, “Trattato della vera devozione a Maria”, “Il cammino semplice di Madre Teresa”, “Emma ed io”, “La voce della verità di Ghandi”. Mi sentivo confusa e impreparata, sorrisi. Una cosa però traspariva da quell’insieme di titoli: tutti avevano a che fare con il viaggio, il dolore e il perdono.”
Il ricordo per Rachele è dunque abreazione e l’arte rimane invece l’unico strumento di “riparazione” ed elaborazione, il linguaggio figurativo è più primitivo, più vicino alla dimensione inconscia, bello aver affidato all’arte il compito di “oggettivare” il grande dolore di Rachele portandolo all’esterno, fuori dal suo cuore.
I luoghi della storia e anche il mondo dell’arte sono vicini al vissuto dell’autrice (vive in Francia e ha vissuto a Roma) che quindi li racconta con trasporto in questa storia di sentimenti, di perdita e scoperte.
Silvana Turchi – A 1000 km dai ricordi – L’Erudita edizioni – Pp 194 € 22,00