Secondo un principio della legislazione scolastica in fatto di protezione, è presupposta la “culpa in vigilando” allorquando davanti da una situazione di rischio, l’educatore deve prevenire la situazione di pericolo per i suoi alunni. E in caso di danno l’onore della prova è quello di dimostrare l’impossibilità oggettiva da parte dell’adulto a prevenire il fatto e a garantire la sicurezza dello studente.
Questa presunzione di “responsabilità” si può estendere per analogia a quanto sta accadendo nelle regioni “rosse” dell’emergenza coronavirus nelle quali verrà prorogata – opportunamente aggiungo io – la chiusura delle scuole per altri sette giorni.
Certo, in queste ore non c’è un approccio univoco tra i governatori (Zaia le riaprirebbe, Fontana no, Bonaccini forse) ma – trasversalmente – la comunità scientifica è concorde sul fatto che il virus in fase di contenimento suggerisce anzi impone da parte delle amministrazioni uno stop prolungato di alcune attività (come la scuola) per monitorare il trend di comunicazione del contagio (si dice se il rapporto passa da 1 a 2 oppure si può osservare una decrescita felice dei soggetti positivi), cioè se il contagio si stabilizza o diminuisce. A ciò si aggiunge un elemento non secondario ovvero se come può reggere la stessa infrastruttura sanitaria (richiesta di ricoveri, terapie intensive, carico di lavoro del personale etc).
Da qui – dicevo – la cautela “in vigilando” che oltretutto è dal mio punto di vista una declinazione sostanziale del diritto alla salute costituzionalmente garantito; un’urgenza che, nella scala delle priorità, dovrebbe superare tutte le riserve di carattere economico senza che per questo annullarle. Vero è che analisti competenti parlano di perdite sul piano della crescita ma da qui a cancellare come nulla fosse il principio cautelativo mi sembra una contro-narrazione inaccettabile. Come è accaduto per altre situazioni, mettere in contrapposizione salute ed economia mi sembra un esercizio scorretto ma i fenomeni vanno regolati secondo il buonsenso e una scala di priorità.
In altri termini, mentre i fatti che regolano l’economia sono responsabilità condivise di tutto il tessuto sociale, il diritto alla salute e la tutela per i cittadini ammalati non è un optional per una democrazia matura. Se – anche per periodi brevi,medi o lunghi che siano, dovesse esserci una situazione di criticità tale da determinare e giustificare limitazioni ad alcune consuetudini sociali allora non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ciò detto il nostro paese (e non solo noi) era del tutto impreparato quella che da oggi in poi possiamo chiamare la globalizzazione dei batteri e molti italiani erano scioccamente convinti che bastasse avere uno smartphone top di gamma coreano o americano (fatto peraltro in Cina), chattare senza sosta senza guardare dove si cammina o magari mangiare giapponese all can you eat o ancora viaggiare low cost in mezzo mondo per sentirsi global. No, tutto questo ci ha resi molto provinciali.
Per tutti noi è uno stress test sociologico significativo: ci stiamo accorgendo sempre più che globalizzazione vuol dire sopratutto interconnessione fra le nazioni, intreccio di fenomeni basati sul rapporto azione-reazione con annesso impatto sul mercato, la geopolitica ma anche sullo stato dei diritti inalienabili come appunto la tutela della salute. Nel caso del coronavirus sappiamo che il virus era già nel nostro paese dal mese di dicembre nel pieno degli scambi costanti commerciali tra Cina e italia. Per cui al diavolo la sciagura dell’anno bisestile ma l’empirica conseguenza del tempo presente.
Ed è vero che questo stesso virus è presente già negli altri paesi che non stanno avendo la stessa lungimiranza della sanità italiana la quale sicuramente farà scuola al mondo per la quantità di dati accumulati in questo momento e le risultanze che condividerà con il mondo scientifico. Ma questo è il corollario di un tema più grande, quello appunto della viglanza e della cautela che si presuppone deve avere uno stato democratico nei confronti dei suoi cittadini.
Si è detto per mesi lo slogan prima gli italiani e – per una volta tanto – la politica sembra essere sovranista senza per questo prendere una tessera di partito.
Surreale … ma non male.