L’emergenza coronavirus nella Penisola ha portato con sé una serie di rilevanti conseguenze: l’ovvia preoccupazione per la salute pubblica, delle generose porzioni di pseudoisteria collettiva, molte discussioni sul ruolo della politica e della comunicazione nel gestire la situazione. Le prossime settimane saranno decisive per capire se le misure adottate a livello territoriale e nazionale siano state efficaci ma già da ora è possibile annoverare tra i tanti effetti del diffondersi del contagio un elemento che sembra passato inosservato ai più. Sui media e – tanto per cambiare – sui social network sono stati frequenti commenti dai quali sembrava trasparire una sorta di (magra) consolazione perché la maggior parte dei decessi registrati sino ad oggi hanno riguardato persone anziane. È scattato, di fatto, un meccanismo di rassicurazione collettiva secondo cui il terribile virus risulta fatale solo per i nostri vecchi, senza colpire, sostanzialmente, la parte sana della società, quella in salute e produttiva. Un sospiro di sollievo per molti, una pesante discriminazione per chi si trovi in là negli anni, la più ampia minoranza del Paese. Basti pensare che secondo gli ultimi dati Istat, siamo di fronte ad uno storico aumento della popolazione anziana, cresciuta di oltre mezzo milione dal 2015 a oggi: l’Italia, uno dei Paesi più anziani al mondo, conta quasi 14 milioni di persone ultra sessantacinquenni e si prevede che nel 2050 le persone anziane, che raggiungeranno i due miliardi, saranno l’assoluta maggioranza degli abitanti dei Paesi sviluppati. Aldilà di tutte le evidenti problematiche in termini di impatti sanitari e di welfare, che rendono palese come la questione dell’invecchiamento della popolazione rappresenti uno dei dossier epocali per il pianeta, è lecito affermare che ci si trovi davanti ad un classico caso di ageismo, fenomeno secondo il quale l’età assume carattere di stereotipo e la discriminazione si realizza nei confronti di individui o gruppi in base alla loro età avanzata. Al pari del razzismo o del sessismo, che prendono di mira determinate categorie di individui per il colore della pelle o il genere, l’ageismo si manifesta attraverso atteggiamenti pregiudizievoli, politiche o pratiche discriminatorie che creano o perpetuano credenze stereotipate avverso le persone anziane. È un termine ancora poco diffuso nella lingua Italiana, che la Treccani definisce come “forma di pregiudizio e svalorizzazione ai danni di un individuo, in ragione della sua età, in particolare [..] verso le persone anziane”. Eppure è un atteggiamento assai comune nelle nostre società, profondamente cambiate dalla metà del secolo scorso e ormai di fatto ritagliate su misura per individui in età produttiva, consumatori attivi, scattanti e in salute. La diffusione del virus non ha fatto altro che rendere manifesto il radicato retropensiero di taluni, per il quale la morte di un anziano è un prezzo tutto sommato accettabile, in quanto le potenziali vittime sono individui il cui valore specifico è inferiore a quello dei veri protagonisti della società contemporanea. Sentimento inconscio o meno, è emerso con chiarezza un carico pregiudizievole contro chi, nell’immaginario collettivo, è privo di ogni prospettiva nel futuro, è restio al cambiamento, rappresenta un peso da mantenere e assistere ed un danno per il lavoro dei giovani e degli adulti. Una categoria, magari, da privare del diritto del voto, essendo ormai attestata, secondo qualcuno, sulla conservazione che danneggia e frena lo sviluppo della comunità cui appartengono. Un vero e proprio paradosso, alla luce del fatto che le persone anziane assolvono esigenze economiche significative attraverso forme di lavoro non retribuito (ad esempio grazie ad attività di volontariato o all’assistenza gratuita per i nipoti) e in quanto attori economici, consumatori sempre più longevi. Il Rapporto ONU sull’invecchiamento della popolazione del 2015 evidenzia, fra l’altro, l’urgenza di eliminare ogni discriminazione in base all’età e promuovere e proteggere i diritti e la dignità delle persone anziane e facilitare la loro più ampia partecipazione nella società, anche alla luce della realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. La spersonalizzazione degli individui anziani, tra i gruppi sociali che più facilmente rischiano di essere lasciati indietro, rappresenta una discriminazione latente, spesso accettata con rassegnazione dalle stesse persone anziane, che vivono con passiva rassegnazione la loro condizione indotta di minorità. Gli impatti che l’epidemia di coronavirus ha causato sono e saranno diversi e con conseguenze ancora da valutare: evitiamo, almeno, di cadere preda di discriminazione odiose. Gli anziani, dopotutto, saremo noi.
28 Febbraio 2020