La City dei TartariGli appunti di Napoleone

Cammino fra Green Park e Piccadilly Circus. Una vecchia abitudine ormai consueta, quando ho un po’ di tempo a mia disposizione, divagando e mappando il territorio di Londra, come un’esplorazione ps...

Cammino fra Green Park e Piccadilly Circus. Una vecchia abitudine ormai consueta, quando ho un po’ di tempo a mia disposizione, divagando e mappando il territorio di Londra, come un’esplorazione psicogeografica alla Ian Sinclair. Entro nei vicoli, nelle piccole strade piene di casette o dove si aprono giardini nascosti, o dove si trovano gallerie che vendono solo fiamminghi. Che sia Hampstead, Hackney o Mayfair, il rituale include anche sedersi a prendere un caffe’ in un posto locale. A Mayfair, fra i giovani arabi che fumano shish e parlano serrati in lingue levantine, verso East London, fra giovani europei che discutono in fr-it-inglese di mostre, esposizioni, colori.

Londra e’ un gioco di ruolo, un percorso simile ad un Monopoli di carne e ossa.

Nelle giornate del post-Brexit, sembra che tutto sia arroccato, tutto di nuovo nascosto dietro le mura e dietro i palazzi in ogni stile architettonico.

Lungo le sponde del fiume di anime di Mayfair, dove i capitali sono seduti silenziosi e operosi nelle sedi dei family office e degli hedge fund, alzo lo sguardo, in cerca dei flussi monetari, della liquidita’ che continua ad evaporare ed a solidificarsi, come in un gioco di ghiaccio, acqua e vapore. Il mondo dematerializzato del capitale finanziario aleggia sopra i negozi di lusso. Finanza iperveloce, aggressiva e le battaglie silenziose fra masse di capitali enormi un sentore appena nelle strade popolate di turisti e di individui che passano veloci, parlando al cellulare di opzioni e di incontri prossimi venturi. Da qualche parte, deve esistere il motivo per cui siamo cui. Per cui viviamo con il rapport fra debito e credito come unica forma di speranza tangibile, molto piu’ di amicizia, amore ed odio.

Entro in un negozio di libri rari in cui non ero mai stato, per la mia passione di osservare da vicino le prime edizioni e quelle rare, aprire le pagine di libri apparentemente fragili, con le dediche e le firme di Graham Greene, le prime copie dei libri di Virginia Woolf. Come se da qualche parte ci fosse rimasta una particella delle loro anime. O frammenti della loro pelle.

I commessi gentilissimi, con la speranza che mi decida a comprare qualcosa, ad investire in una prima edizione di Orwell, per poi osservarla negli scaffali di casa. I libri, porte misteriche sull’anima del mondo. La firma di Shachleton su una mappa dell’Artico. Libri antichi, carte pregiate e nessuno degli odori tipici dei negozi di libri di seconda mano. Tutto pulito, perfetto.

In una teca nell’angolo, una di quelle teche che dicono ‘noli me tangere’, con un contenuto che deve per forza essere prezioso, un quaderno in pelle nera, fogli gialli con delle linee ordinate e precise come un quaderno a protocollo ed una bella grafia in inchiostro, attrae la mia attenzione.

Napoleone I, leggo sul cartelllino davanti. Sussulto. Pagine autografe. Altro sussulto.

La data: 1791. Napoleone ancora giovane. Ancora non imperatore, solo generale dell’esercito rivoluzionario francese, di stanza a Valence nel sud della Francia. Due anni dopo la rivoluzione.

Sono appunti di suo pugno, scritti mentre leggeva La ricchezza delle nazioni di Adam Smith. Rimango a bocca aperta. Come un bambino di fronte ad un mistero eleusino rivelato con un enorme effetto speciale. Un bambino che da piccolo girava per l’Isola d’Elba immaginando Napoleone seduto da qualche parte, a pensare alle sue battaglie, nella quiete delle valli attorno Portoferraio.

Napoleone che commenta Adam Smith, la prima traduzione in francese del classico del 1776. Il futuro imperatore che invento’ la politica economica moderna a confronto con l’economista che invento’ il capitalismo come lo conosciamo ancora oggi.

Mi giro e chiedo al commesso se si tratti di uno scherzo. Di una ‘forgery’. Ride. No, risponde. Appena arrivato da un venditore francese. Tutto vero. Validato. Napoleone era un avido lettore e, in assenza di Piketty, leggeva Adam Smith. E si interrogava su cosa e come potesse usare quelle teorie, se gli fosse toccato un giorno occuparsi di certe cose. Che, magari, non pensava di rimanere un soldato tutta la vita. Probabilmente si immaginava politico, servitore della rivoluzione come uomo di potere.

Gli appunti sono serrati, densi. Leggo qualche parola in francese. Chiedo al commesso di poter vedere il volume. Lo tira fuori e mi permette di girare alcune pagine, con cautela. Tocco leggerissimamente l’inchiostro e penso che quella e’ la penna di Napoleone, quella e’ la sua anima. Quasi un contatto elettrico. Come un tunnel spaziotemporale dove io e Bonaparte ci diamo la mano, quella che non teneva nella fodera della giacca. Che, come un amico mi ha detto quando gli ho raccontato la storia, forse era un omaggio alla mano invisibile di Smith.

Napoleone ed Adam Smith. Nel momento preciso in cui la prima rivoluzione industriale stava gia’ cambiando il mondo per sempre, si era innestata la rivoluzione francese. Le macchine stavano eliminando lavori umili, schiavitu’ mentre la borghesia spazzava via i privilegi millenari dei nobili. E si aprivano altre ferite nel mondo, altre incertezze. Quel passaggio dal lavoro manuale alle fabbriche con telai a vapore, un passo enorme nell’evoluzione dell’antropologia umana.

Ancora, Napoleone e Smith non sapevano che discendevamo dalle scimmie e che probabilmente, un giorno, avremmo creato, novelli dei mortali, macchine perfette pronte a sostituirci. Un altro passo importante per quella scimmia che, come cantavano i Pixies, ha deciso di andare in Paradiso.

Quel momento epocale dove, da un lato, nascevano le economie di mercato come le conosciamo oggi, gli investitori, la piccola e media impresa come forma di dominazione mondiale. Dopo le compagnie delle Indie, i mercati azionari. Perche’ la rivoluzione industriale ed i traffici permettevano di serializzare, di rendere numeri e cifre ogni cosa. Di scommettere su mercati del grano a livello globale.

Dall’altro lato, nascevano i grandi stati sovrani e le politiche economiche, il debito degli stati diventava un motore di crescita. Gli stati come la Francia dell’Impero Napoleonico. Perche’ Bonaparte usava il modello romano, dell’imporre non solo truppe e dazi, ma portava con se’ un’idea latina del diritto, del ruolo dello Stato nella vita dei cittadini e dello sviluppo economico. Uno stato centralizzato, con la creazione di banche centrali e di corpi intermedi che controllavano lavoratori e imprenditori.

Da un lato, le enclosure e gli investitori piccoli e medi delle industrie inglesi, la crescente influenza dei traffici verso le nuove terre. Dall’altro, le campagne di educazione, di bonifica, gli interventi pre-Keynesiani del Napoleone dei codici civili, delle liberta’ civili dentro le grandi regole della societa’ che il Corso immaginava, leggendo Adam Smith. Criticandolo, forse, con le sue azioni.

Quel momento storico in cui il futuro era talmente di fronte agli occhi di tutti, con telai di Manchester che sbuffavano vapore, che ci si doveva immaginare una serie di relazioni sociali nuove. E Napoleone, negli appunti che sfoglio con una cura inaudita, non le manda a dire. Chiude i suoi appunti con un ironico ‘I contadini ed i manovali sono molto piu’ intelligenti della crescente classe di artigiani’.

Mentre finisco di leggere la frase, la coda dell’occhio osserva un ragazzo incollato al suo smartphone che, passando davanti alla vetrina, sbatte contro un palo. Mi immagino Napoleone, evocato dal pulviscolo di inchiostro e di qualche scaglia della sua pelle sulla carta ingiallita, che mi guarda e sorride. E dice ‘Connard!’.

Il progresso tecnologico, un processo di eliminazione delle cellule grigie, di semplificazione delle strutture del mondo, ad un livello che tutto sembra facile, tutto sembra possibile attraverso delle app. La tecnologia ci avrebbe sostituito lentamente, con un sovrappiu’ di persone nel mondo per le quali avremmo dovuto creare nuovi lavori, burocrazie eccelse e mirabili. Lo stato avrebbe dovuto sopperire alla mancanza di richieste di lavoro manuale, alla continua riduzione di lavoro come input dei processi produttivi.

Sfioro un’ultima volta la pagina con l’inchiostro ocra rosso usato dal giovane Napoleone. Il commesso rimette tutto a posto. Gli chiedo, quanto costa? SI gira ed indica una Lamborghini parcheggiata fuori, la indica e mi dice ‘piu’ o meno quanto quella’. Sorrido.

MI torna in mente l’espressione usata da Adam Smith e da Napoleone per definire l’Inghilterra, un paese di bottegai. E, forse, in quelle pagine ingiallite dal tempo, si trova quel legame fra la frase di Adam Smith e l’esclamazione di Napoleone, per definire un sistema economico costruito per asservire i bisogni dei commercianti, dei mercanti e non del popolo. Un paese di bottegai, un mondo diviso fra stati nazioni diventati sempre piu’ botteghe di dimensioni enormi, dove tutto sta tornando viscoso, dove persone ed idee avranno sempre piu; difficolta’ a circolare, per poi toccare ai beni di consumo. Mentre, da qualche parte, capitali passano, corrono, sfuggono e si rintanano nelle stanze qui sopra. Un mondo dove una Lamborghini costa come un pezzo di storia universale.

Un mondo di scimmie evolute che, invece di arrivare in Paradiso, sono arrivate al centro commerciale. Mentre, sopra queste pagine, forse queste stesse il pilastro del mondo ambivalente, pubblico/privato, corporate/sovrano in cui viviamo.

Soundtrack

[Nel 1962, Sergio Endrigo pubblica una canzone scritta con Pasolini, intitolata Il soldato di Napoleone. Quando, durante il boom economico ed i grandi cambiamenti e le trasformazioni, tutto era possibile. Qualche anno dopo, pubblica una canzone per bambini che ancora oggi, in macchina, ascolto e canto a squarciagola.]

Sergio Endrigo – Il soldato di Napoleone

Sergio Endrigo – Napoleone

https://www.youtube.com/watch?v=8Pl4UXFMv-4

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