E’ recentissima la notizia – totalmente inedita – che le celebrazioni pasquali in Vaticano si svolgeranno sine populo al fine di garantire il contenimento epidemico, configurando questa pasqua come la prima a porte chiuse in una sorta di apparente e per alcuni sconcertante distonia con le parole bibliche del salmo 24 introduttive di quella che è la settimana più importante per il culto cristiano:
Sollevate o porte i vostri frontali/porte antiche, alzatevi/ed entri il re della gloria/
Lift up your heads, you gates! Be lifted up, you everlasting doors, and the King of glory will come in!
(שְׂא֤וּ שְׁעָרִ֨ים ׀ רָֽאשֵׁיכֶ֗ם וְֽ֭הִנָּשְׂאוּ פִּתְחֵ֣י עוֹלָ֑ם וְ֝יָב֗וֹא מֶ֣לֶךְ הַכָּבֽוֹד )
Certo, si prova ad esorcizzare con un canto nel balcone, una suonata di tromba, un drappo colorato ma c’è qualcosa di più profondo in questa vicenda; e se persino l’anno liturgico è costretto a scegliere tra Sense and Sensibility a favore del primo, vuol dire che siamo di fronte ad un cambiamento radicale, anche dopo l’emergenza in atto. Un cambiamento che traccia definitivamente una linea di demarcazione tra un prima e un dopo Coronavirus rivelatosi nella sua cruda drammaticità.
Se fosse il titolo di un film alla Sorrentino lo chiameremmo la Grande Certezza dopo anni di dubbi, e sciocchezze a buon mercato: la certezza è che è solo un evento di portata planetaria e globale come la pandemia ha potuto provocare una rivoluzione morale, economica e sociale tale da rimettere in discussione le coordinate elementari dell’esistenza come lo spazio e il tempo. Tutto quanto finora stabilito, infatti, è sospeso o cancellato a data da destinarsi, e si sta ripensando tutto ab imis fundamentis direbbero i latini. Dalle Olimpiadi alle scadenze Fisco, passando per l’esame di maturità (chi propone a fine settembre) fino alla ricostruzione di intere filiere industriali verso il mercato interno (mascherine, agroalimentare, attrezzature ospedaliere etc) è tutta una riscrittura del tempo.
E per quanto lo scrittore e teologo contemporaneo francese Henri de Lubac la pensava al positivo – l’esistenza come trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto – questa restrizione del vivere inquieta non pochi di noi sul valore del tempo come per il filosofo Agostino d’Ippona (Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo (il tempo) a chi me lo domanda, non lo so più”).
I giorni sono forse uguali per un orologio, ma non per un uomo!
Sì, quell’essenziale invisibile agli occhi – che è appunto il nostro tempo sottrattoci dalla contingenza – è una delle cose che stiamo riscoprendo nella quarantena, soprattutto nelle piccole cose. Insieme alla limitazione dello spazio – il non uscire dall’abitazione se non per urgenti necessità – il tempo si è ri-dilatato nella nostra coscienza riconquistando la sua connotazione anzitutto qualitativa e di conseguenza anche il suo valore “quantitativo” cioè il suo peso nel nostro quotidiano. Abbiamo fatto caso al tempo del lavoro da casa (lo smart working fino a qualche settimana fa era sconosciuto nella pubblica amministrazione), il gusto del gioco con i propri figli piccoli, la lettura di un buon libro, il serial per arrivare a fenomeni di socialità 2.0 compensativi come un concerto via social, un risiko a distanza, un monopoli via skype e altre creative soluzioni.
Ma il fatto culturale e sociologico più sorprendente è che l’agenda e il diario degli eventi non sono più a nostra disposizione, e non cambiamo impaginazione. Tutto è un monotema con variazioni, non è possible cambiare argomento, stiamo dentro il Coronavirus e la battaglia a vincerlo senza soluzione di continuità. A differenza di altri periodi nei quali si era abituati a dimenticare passando di hashtag in hashtag per il gusto di un giro disinteressato nell’effimero, il buon uso del tempo costringe (finalmente?) molti italiani a fare una scelta di cessione dell’io a favore di un noi più importante. Ciò detto, sono totalmente inaccettabili i numeri del Viminale che ci parlano di oltre 7000 denunce in violazione dei limiti attuali: Sappiamo – ad esempio – che a Bologna venti studenti stranieri sono stati denunciati dalla polizia per aver partecipato a una festa. Dopo una segnalazione, gli agenti, alle 22.30 di venerdì, hanno raggiunto un appartamento e hanno identificato e denunciato i partecipanti all’evento, tutti di nazionalità straniera e studenti della John Hopkins University. Ma si segnalano passeggiate disinvolte sul lungomare di Catania, di negozi aperti clandestinamente, di giovani rampanti intrattenuti con prostitute nella tormentata bergamasca (incredibile ma vero) come ancora di feste di compleanno in Campania perché – dichiarava un padre in macchina -”quelle non si possono non fare”.
Ecco cosa vuol dire consumare agli altri il tempo in tempo di pandemia. E’ un furto – cari trasgressori – che potrebbe costarci la vita. E’ come avere un Trump o un Boris Johnson nel condominio, nel proprio quartiere, e ad occhio non mi sembra una gran figata ma piuttosto una iattura.