Il mio pezzo dell’altro giorno sul contatto (da preservare) e il contagio (da evitare e contenere) ha portato la mia coordinatrice pedagogica a chiedermi il favore di scegliere una parola da condividere insieme ai miei colleghi e alle mie colleghe, giorno per giorno. Serve sempre per darsi quella “struttura” che al momento manca e che è messa a durissima prova dalla situazione che stiamo vivendo. Proprio perché in questi giorni le scuole sono chiuse e visto che gli/le insegnanti di tutta Italia stanno facendo uno sforzo indicibile per garantire una continuità didattica ad allievi e allieve, a loro dedico la parola che ho scelto per oggi. Visto che ci riguarda tutti e tutte. Non solo alla categoria professionale in questione, ma all’intera umanità, visto che la scuola è un’esperienza comune.
Tale termine – ci ricorda, e lo cito ancora, Marco Balzano nel suo libro Le parole sono importanti – deriva dal latino SCHOLA, a sua volta riconducibile ad un omologo greco skholé che stava ad indicare l’ozio. Sì, il tempo libero. Non perché gli antichi considerassero l’istruzione qualcosa di simile a un hobby, suggerisce il sito Una parola al giorno, ma per una ragione molto più pratica: solo le classi dominanti, le élite insomma, potevano permettersi il “lusso” dell’istruzione. Solo chi non aveva la necessità di lavorare, infatti, aveva il tempo di dedicarsi alla cura del sapere.
Il legame con l’ozio ci aiuta a recuperare anche questo termine, divenuto nel frattempo negativo. L’OTIUM infatti era il tempo che, sempre le élite, dedicavano allo studio e all’approfondimento. E ciò avveniva dopo le occupazioni – o NEG/OTIUM, ciò che “nega l’ozio” – che coprivano la prima parte dell’esistenza delle classi dominanti (pensiamo, ad esempio, alle sole attività militari a cui erano chiamati i romani).
Recuperiamo, perciò, il significato profondo di queste due parole: ci portano al privilegio di poter scegliere tra una vita dominata dalla necessità ad una vita più consapevole. OTIUM, ancora, ha un etimo che riconduce allo star bene. La scuola, in ultima istanza, ci fa star bene. Non è un piacere immediato ed effimero, come ad esempio un buon caffè al bar. Ci predispone al bene perché ci dà gli strumenti per costruire il futuro che vogliamo immaginare per noi. Strumenti che chiamiamo, con un’altra parola ancora, “cultura”. E se vediamo il significato primigenio di quest’ultima, troveremo un riferimento al “coltivare”.
La scuola, che oggi potremmo definire come “tempo libero” dalle incombenze dell’età adulta, ma anche momento di libertà dell’essere se proiettato nel futuro, aiuta a “coltivare” noi stessi/e, a costruirci cioè una cultura. E lo fa tramite il sapere. Sì, sapere. Dal latino SAPIO, con due significati fondamentali: “aver sapore” (quindi esser “sapido”) e “aver senno, intelligenza”. Anche nell’italiano di oggi, il termine “sapere” ci riconduce alla sfera della cultura, ma anche a quella del gusto (pur con le dovute modifiche di senso). Una persona che sa, sa di qualcosa. La troviamo interessante, ha un sapore (o sapere) in più rispetto a chi quella cultura non ha. La scuola, insomma, non solo fa tutto ciò che ho già scritto, ma rende anche più gustose le nostre vite.