E(li's)booksIl fondamentalista riluttante libro vs film

“Lo status, come in ogni società tradizionale e classista, declina più lentamente della ricchezza” Il libro Ogni impero ha i suoi giannizzeri, e Changez è un giannizzero dell'Impero Americano. ...

“Lo status, come in ogni società tradizionale e classista, declina più lentamente della ricchezza”

Il libro

Ogni impero ha i suoi giannizzeri, e Changez è un giannizzero dell’Impero Americano. Giovane pakistano, ammesso a Princeton grazie ai suoi eccezionali risultati scolastici, dopo la laurea summa cum laude viene assunto da una prestigiosa società di consulenza newyorkese. Diventa cosi un brillante analista finanziario, sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo. Impegnato a volare tra Manila e il New Jersey, Lahore e Valparaiso, e a frequentare l’alta società di Manhattan al braccio della bella e misteriosa Erica, Changez non si rende conto di far parte delle truppe d’assalto di una vera e propria guerra economica globale, combattuta al servizio di un paese che non è il suo. Finché arriva l’Undici settembre a scuotere le sue certezze. È questo il primo sintomo di un’inarrestabile trasformazione. Il businessman in carriera, rasato a puntino e impeccabilmente fasciato nell’uniforme scura del manager, comincia a perdere colpi. La produttività cala e la barba cresce, quella barba che agli occhi dei suoi concittadini fa di ogni “arabo” un potenziale terrorista. E mentre gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan, il Pakistan e l’India sembrano sull’orlo di una guerra atomica, giunge per Changez il momento di compiere un passo irreversibile…

La mia lettura

Mi domandavo per quale ghiribizzo della storia dell’umanità i miei compagni di viaggio, molti dei quali nel mio paese sarebbero stati considerati buzzurri arricchiti, tanta era la loro mancanza di signorilità, si trovassero nella posizione di girare il mondo comportandosi come se ne fossero la classe dirigente”.

Questi sono i pensieri di Changez, pakistano, intelligente, brillante e affamato di successo, di rivalsa e integrazione.

Leggo per la prima volta un autore pakistano e devo dire che questa prima esperienza mi è piaciuta molto, ho trovato questo romanzo molto bello perché esprime in modo chiaro quelli che verosimilmente sono i pensieri di chi, straniero nel paese più potente al mondo, è costretto a fare i conti con le difficoltà dell’integrazione, con le proprie radici che rivendicano a gran voce una presa di posizione.

Il romanzo di Mohsin Hamid è sincero, il protagonista non nasconde l’entusiasmo per quello che l’opulenta America gli offre, vuole essere parte di quel grande paese, con impegno e dedizione si rende conto che ha le potenzialità per realizzare il sogno americano ed è così stordito da quello che gli sta succedendo a soli 22 anni che non ha il tempo di fermarsi a pensare, non vuole guardarsi indietro.

Nelle carrozze della metropolitana la mia pelle si situava regolarmente al centro dello spettro dei colori. Agli angoli delle strade i turisti mi chiedevano indicazioni. In quattro anni e mezzo non era mai stato americano; mi ritrovai ad essere immediatamente newyorkese”.

Di tanto in tanto vediamo Changez vacillare davanti a certi confronti, chi era la gente che lo circondava? E l’America, meritava davvero di essere il grande paese che era?

Quattromila anni fa noi, popolo del bacino del fiume Indo, avevamo città con strutture a griglia e vantavamo un sistema fognario sotterraneo, mentre gli antenati di coloro che avrebbero invaso e colonizzato l’America erano barbari e analfabeti. Adesso le nostre città sono ammassi insalubri e perlopiù privi di pianificazione urbanistica, mentre gli Stati Uniti hanno università dotate di capitali superiori al nostro budget nazionale per l’istruzione. Una così enorme disparità provocava in me un senso di vergogna.”

Ma ricordarsi di tutto questo faceva troppo male e a 22 anni non si può non essere felici di essere un praticante di una delle più prestigiose società finanziarie degli Stati Uniti.

Ma altrettanto sincero è stato il protagonista, Il fondamentalista riluttante, quando ha ammesso:

Vidi crollare prima una e poi l’altra delle torri gemelle del World Trade Center di New York. E allora sorrisi. Si, per quanto possa apparire deprecabile, la mia prima reazione fu di notevole compiacimento. […] In quel momento i miei pensieri non erano per le vittime dell’attacco […] ero colpito dal simbolismo della cosa, dal fatto che qualcuno fosse riuscito a mettere in ginocchio gli Stati Uniti in modo tanto smaccato. […] Ma certo questo sentimento non le sarà del tutto sconosciuto. Non prova gioia di fronte alle immagini televisive, così diffuse in questo periodo, dagli armamenti americani che radono al suolo le infrastrutture dei vostri nemici?”

Qui è la svolta nei sentimenti di Changez, un evento così catastrofico con le terribili conseguenze che si portava dietro, fu la scossa in grado di svegliarlo, fu la cosa che gli servì a ricordargli chi era veramente.

Mi è piaciuto molto il modo in cui l’autore ha raccontato “il dopo 11 settembre”, la rabbia cieca che si impadronì degli americani, una rabbia “crescente e compiaciuta” tutta indirizzata verso la casa di Changez, verso il Pakistan.

Mohsin Hamid descrive l’invasione di uniformi e bandiere come qualcosa di rétro, e rétro erano le parole come “dovere” e “onore” che risuonavano nelle Tv e sui giornali, tutto rimandava indietro il tempo e gli americani si scoprivano nostalgici, rimpiangevano i tempi in cui credevano nel proprio predominio, nella propria moralità, volevano riprenderseli.

Bastò farsi crescere la barba durante le festività natalizie trascorse in Pakistan, bastarono gli sguardi spaventati dei passanti, dei colleghi che amici non erano mai stati, bastarono le volte in cui si sentì urlare contro, senza ragione “Arabo del cazzo” per sentire il sangue montare fino alla testa, per cominciare a desiderare di essere se stesso, per capire che si trovava nel posto sbagliato, lontano dalla famiglia, dalla sua gente.

Il pensiero della guerra in Afghanistan e l’invasione di paesi più deboli , quello che l’India proponeva di fare con il Pakistan, lo facevano soffrire, lo turbavano e lo facevano sentire fuori posto.

Il personaggio di Changez è bello, credibile, i suoi dubbi sono comprensibili e leggendo è impossibile non mettersi dalla sua parte, non capire i suoi dilemmi.

Le scelte che il personaggio fa sono scelte sofferte ma giuste, condivisibili, tutto il romanzo è raccontato dal protagonista che, seduto in un bar a Lahore parla con un americano per esporre le sue ragioni, sempre argomentate, mai con atteggiamenti compiaciuti, mai condiscendenti, mai strizzando l’occhio a chi potrebbe provare sgomento davanti a tanta sincerità di sentimenti.

Un romanzo bello, una voce quella di Mohsin Hamid ironica, fresca, una prosa che non risente di nessun nazionalismo mi è piaciuto così tanto che ho comprato subito Exit West, l’altro suo romanzo.

Ma veniamo al film, lo trovate su Prime di Amazon, regia di Mira Nair, The reluctant Fundamentalist, l’attore che interpreta Changez Khan è Riz Ahmed, inglese figlio di immigrati pakistani, molto bravo, la sua faccia è esattamente quella che vorreste per questo personaggio che è una via di mezzo tra un secchione sfigato e il ragazzo che tutte le donne vorrebbero avere.

La sceneggiatura ha stravolto quasi del tutto la storia, quei pensieri di complotto, quell’arroganza americana appena accennata, analizzata con rispetto dall’autore qui è invece protagonista. Il punto di vista pakistano cede il passo ai pregiudizi, alla rabbia e al desiderio di vendetta degli americani che in quel ragazzo tornato nella sua città per stare vicino al suo popolo per non doversi considerare un moderno giannizzero, vedono solo un potenziale terrorista.

Guardare il film non significa conoscere la storia che Mohsin Hamid ha scritto, è un’altra cosa, si perde ogni sentimento, ogni sfumatura dell’amore che il protagonista prova per la sua terra, io mi sono incuriosita leggendo di Lahore nel romanzo, non sarebbe mai successo guardando il film.

La sintesi dunque la immaginate facilmente … leggete il libro!

Il fondamentalista riluttante – Mohsin Hamid – Traduttore: Norman Gobetti

Editore: Einaudi – Pagine: 140 p. € 7,50 tascabile su IBS

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