Anche il più indolente fra gli euroscettici (lo sono stato anch’io in alcuni momenti) è costretto a rivedere le proprie posizioni di fronte al riformismo “gentile” della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. E c’è chi vede in questa svolta anche la complicità di Paolo Gentiloni, Commissario agli Affari Economici, il quale – dicono di lui – possiede quel modus operandi dei costruttore di pace (un paravento che non fa ombra lo definiva Francesco Rutelli), dalla fuga paziente e “felpata” capace di trasformare un orso polare delle Isole Svalbard in agnello mansueto. Sarà vero? Non si sa ma di certo la Gentilonizzazione delle Istituzioni europei si sta rivelando provvidenziale e costruttiva.
Quante decine di volte ci si è chiesti dove fosse finita l’Unione Europea di fronte alle questioni più calde della contemporaneità (le nuove migrazioni economico-umanitarie nel Mediterraneo , l’allargamento delle disuguaglianze sociali per una globalizzazione incontrollata e selvaggia senza le dovute protezioni sociali per i ceti medio-bassi; ma si pensi anche ad una certa regressione democratica negli anni dell’allargamento ad Est dell’Unione, oppure amcora alla certificata crisi climatico-ecologica del pianeta con le drammatiche conseguenze di dissesto in molte zone europee). Dossier – alcuni per nulla risolti – nati soprattutto per la mediocrità di orizzonti politici e la scarsità di risultati ottenuti delle ultime presidenze Barroso (2004-2014) e Juncker (2014-2019) entrambi non capaci di lasciare il segno durante il loro mandato.
Oggi è un’altra storia ma possiamo dire che un nuovo corso (discreto) è appena avviato in Europa alle prese con la lotta alla pandemia di CoVid 19. E questo corso porta il nome di Ursula Von Der Leyen, con il suo passo elegante e non patinato, con un atteggiamento mai enfatico e molto anti-diva ( su questo Christine Lagarde dovrebbe forse prenderne esempio) e con i suoi toni rassicuranti e decisi. La presidente Von Der Leyen fa suo e di tutti gli stati europei modello Italia, le cui determinazioni in ambito di contenimento e protezione sanitaria – dapprima snobbate – sono diventate praticamente un paradigma di protocollo d’azione per Spagna, Francia, Germania, Danimarca e – fuori dalla UE – Regno Unito e (da pochissimo) gli USA.
… Dobbiamo lavorare insieme e aiutarci reciprocamente. Il virus non ha confini e l’Unione europea è più forte quando mostriamo piena solidarietà.
Va ribadito che leader politico mostra la sua adeguatezza nel qui ed ora del suo mandato e ciò che stiamo vivendo è in qualche modo imparagonabile rispetto a poche settimane fa ma è indubbio che l’impostazione inclusivo-riformista di Ursula von der Leyen è un cambio di paradigma politico ed economico per tutto il continente:
Anzitutto sul piano quantitativo, i 750 mld di euro per fronteggiare l’emergenza sanitaria sono giustamente proporzionati a quanto già stabilito dalla Federal Reserve americana (1.000 miliardi di dollari ) e dicono gli ordini di grandezza di quanto serve ai paesi in affanno. In più, la sospensione del patto di stabilità è la potenziale nascita (su proposta del premier Conte) dei corona-bonds ovvero titoli europei (wow), emessi e coperti direttamente dalla BCE con uno scopo specifico di sostegno e potenziamento del welfare sanitario europeo con un’ampia possibilità di spesa in progetti, medici e ricercatori, sperimentazione e innovazione sui vaccini, macchinari, materiali e infrastrutture piccole e grandi. I corona-bonds sarebbero il prototipo di titoli europei per la condivisione in entrata e uscita di risorse economiche mirate a tutti gli stati membri per la salute di tutti gli europei i quali – agli occhi del virus – sono tutti uguali, senza frontiere che tengano.
Ma Ursula Von Der Leyen fa sopratutto un salto qualitativo di esercizio della leadership oltre i numeri fin qui descritti.: con quel “siamo tutti italiani” fino all’affermazione “siete un modello ed un esempio meraviglioso” – accompagnato però da fatti concreti (e qui il salto politico) cioè dalla sospensione delle regole di bilancio – è un, manifestazione non soltanto di ciò che si fa ma anche di ciò che si è quando si rappresenta in modo inclusivo il concetto di Europa. Sappiamo che gli antichi consigliavano al politico di avere sinergicamente sia grande carisma che tecnica (khárisma kai τέχνη ) in un delicato mix di comunicazione e azione, senza per forza scartare una dimensione rispetto all’altra. Più brutalmente, c’è un abisso tra le finte promesse – ad esempio – davanti al dramma dei morti in mare (non vi lasceremo soli) e la concretezza di interventi di questi giorni a Bruxelles.
Un approccio valoriale e pragmatico di questo livello dimostra da un lato la miseria dei sovranisti-nazionalisti scomparsi dai radar del dibattito; e dall’altro si è confermati dal fatto che le questioni vanno affrontate non a-criticamente compulsando la calcolatrice tra freddi numeri decimali ma avendo chiaro la carne viva dei cittadini facendoli sentire parte della comunità continentale globalmente intesa. Del resto, al virus non importa nulla di poliziotti al confine e di cortine lungo le frontiere.
L’emergenza #Coronavirus probabilmente era troppo grande per la tecnocrazia europea (niente tartine, niente acqua tonica, niente summit di maniera) e il perseverare dell’inerzia avrebbe certamente portato alla disgregazione della UE. Basti pensare poi che la stessa Europa nasce sulla promessa della pace tra i popolo del continente e cresce sul principio di solidarietà tra le nazioni. Se il Coronavirus è una guerra sovranazionale – seppur atipica e asimmetrica – allora Ursula Von Der Leyen era chiamata cogitatione, verbo et opere a fare qualcosa.
Siamo sulla buona strada e – come direbbe Winston Churchill – L’Europa prova a vedere un’opportunità nel pericolo anzichè vedere il pericolo in ogni opportunità.”