Il mio primo lavoro, quello che mi paga lo stipendio ogni mese, è il mestiere dell’insegnante. Ho il privilegio, seppur oneroso, di insegnare lingua e letteratura italiana in una scuola straniera. E provo, durante le mie ore di lezione, a spiegare perché la traccia di chi è stato/a dietro di noi è importante per il presente e per capirne le dinamiche profonde. In questi giorni, in seconda media, ho spiegato Boccaccio e si è parlato di peste. I legami con l’attuale psicosi di massa su coronavirus sono stati inevitabili. E Boccaccio ci insegna, proprio nel suo Decameron, che l’alternativa alla morte e alla destrutturazione sociale conseguente all’epidemia sta nella celebrazione della vita che l’allegra brigata mette in scena, costruendo appunto un’idea di società basata sulla bellezza. Vedremo cosa accadrà, tra qualche mese, con i capitoli relativi alla peste ne I promessi sposi. Ma sto tergiversando.
Paolo e Francesca, il cui canto mi commuove e mi spezza sempre la voce quando leggo in classe le parole di Dante, è un formidabile strumento per parlare di diritti: primo tra tutti, quello di poter scegliere liberamente la persona da amare. E non solo. È un trampolino di lancio, la storia di Francesca da Polenta, per toccare punti del presente fondamentali, a cominciare dalla violenza sulle donne e sulla loro libertà che, ieri come oggi, grava sull’autodeterminazione della popolazione femminile. Sia a livello individuale, sia su un piano collettivo. Ma, di nuovo, sto andando oltre ciò che mi preme dire in questo “sfogo” – e me ne scuso sin d’ora – da pomeriggio piovoso di fine inverno.
Nell’arco degli anni spesi nella scuola mi sono imbattuto più volte nei discorsi di qualche collega mentre si parlava di letture. E, più nello specifico, di letture adatte alle bambine o ai bambini, o più propriamente da assegnare ai maschi e alle femmine. Ora, conoscendo queste persone, io so che hanno sempre in buonissima fede (nella stragrande maggioranza dei casi). Forse per reminiscenze adolescenziali, per cui Piccole donne (cito a caso) è piaciuto di più de Il libro della giungla, ragion per cui il proprio vissuto è diventato misura di tutte le cose. Eppure, io penso che proprio il nostro vissuto andrebbe vagliato e rivisto, come punto conclusivo di un processo che ci ha convinto che c’era qualcosa di più adatto a noi per quello che portiamo tra le gambe (e non mi risulta che si legga col pene o con la vagina, ma sarò io che sono fiero alfiere del “gender”).
Non credo, in altre parole, che Dante e Boccaccio si rifacessero necessariamente a un pubblico rigorosamente maschile, in ragione di argomenti più adatti a uomini che a donne (con tutti i limiti, sia chiaro, intrinsechi in un sistema culturale costruito da e per uomini, nel senso di maschi). Così come non credo che il dramma di Francesca – per tornare sull’argomento – sia un dramma “al femminile”: semmai, è un dramma del femminile, nella misura in cui la nostra società è stata ed è tuttora sessista, maschilista e patriarcale. E, di conseguenza, è il dramma di un’intera umanità che si riversa su una parte di essa (e che per questo riguarda tutti e tutte noi). Ed è in questo la grandezza della letteratura, soprattutto quella dei grandi: parlare a tutti e tutte noi, con un linguaggio che non muta nel suo messaggio (mentre è destinato ad essere mutevole nella sua conformazione linguistica, ma questo è un discorso a parte) rendendolo sempre attuale al tempo stesso.
Io ci provo, e ci proverò sempre, a far capire che invece di parlare di letture “per”, dovremmo parlare di letture da proporre “a”. Che ragionare così come si è sempre fatto non è altro che il riflesso di una superstizione culturale, che si teme di infrangere semplicemente perché così si è sempre fatto. Per tradizione, insomma. Ignorando, tuttavia, che la tradizione non è che una novità ad un certo punto cristallizzatasi, per cui può benissimo – e in certi contesti deve – essere messa in discussione.
E in seguito a questo, di letture scelte “da” ragazzi e da ragazze non in base al loro sesso biologico, ma in virtù di ciò che li fa sognare ad occhi aperti (o che in alternativa, li inorridisce a partire da una copertina o dalle prime righe del libro prima adottato e poi abbandonato). Per questa ragione, personalmente non darò mai libri da leggere in base all’identità di genere di allievi e allieve. Darò, invece, libri da leggere e basta. Anzi, meglio ancora: di libri che è importante leggere. Poi ognuno/a si faccia la sua idea di come cucirselo addosso quel testo (o un altro ancora) e il messaggio in esso contenuto. Oppure, in alternativa, di lasciarlo in un angolo oscuro del proprio oblio. Che scegliere cosa leggere, come e soprattutto decidere di abbandonare una lettura, fa parte dei diritti di lettori e lettrici. Di leggere qualsiasi cosa, possibilmente senza sguardi viziati in partenza, anche.