Un anno fa, il 21 aprile 2019, Volodymyr Zelensky ha vinto il ballottaggio contro Petro Poroshenko alle elezioni presidenziali in Ucraina. Un trionfo in parte annunciato per l’attore convertitosi alla politica sospinto dal favore di buona parte degli oligarchi e un tonfo altrettanto previsto per il capo di stato uscente, dopo il disastro di cinque anni alla Bankova passati lasciando il paese nel baratro. Dopo dodici mesi e dopo le elezioni legislative che la scorsa estate hanno portato il nuovo partito del presidente ad avere la maggioranza assoluta alla Rada, è possibile tracciare un primo bilancio dell’era Zelensky.
Le speranze, dopo la delusione di Poroshenko, sono state ovviamente da subito altissime e prevedibilmente non sono state soddisfatte, cosicché Zelensky si trova oggi in una posizione difficile, considerando il fatto che anche il suo partito non si è dimostrato così solido come avrebbe potuto essere, cosa anche questa prevedibile, alla luce dei criteri di formazione dell’ampia squadra e dei meccanismi che da sempre regolano la politica ucraina, dove contano più gli equilibri tra i poteri forti dietro le quinte che la volontà del parlamento.
In sostanza, come già scritto altrove (anche nel mio libro Ucraina 2009-2019, Appunti da un paese che non c’è più) Zelensky ha avuto inizialmente tre possibilità per affrontare la presidenza e il suo dominio del parlamento (situazione in questi numeri che nessun capo di stato ha mai avuto in Ucraina): spazzare via il sistema oligarchico, farsi fagocitare da esso, scendere a compromessi. La scelta è stata inevitabilmente la terza e anche qui non c`è tanto da stupirsi. Aver pensato, o ancora pensare, che avesse potuto o possa andare diversamente è stato ed è ingenuo. Basta conoscere un minimo il sistema ucraino per evitare di raccontare favole e creare illusioni.
Sul versante interno: politicamente è evidente che Zelensky non è più forte come prima, ma va sottolineato che anche all’inizio non era forte di suo: è arrivato alla Bankova per un colpo di genio del solito manipolo di oligarchi che stufi di Poroshenko hanno avuto la brillante idea di mandare avanti un “homo novus”. I conti però si fanno sempre con l’oste e i soliti noti (Kolomoisky, Akhmetov, Pinchuk etc. ) sono quelli a tirare le fila. Zelensky ci ha messo del suo (amici e Quartal 95), nel giro però di pochi mesi sono già stati fatti cambiamenti nell’amministrazione e nel governo, oltre che in parlamento, dove dietro la facciata ci sono una dozzina di gruppi che rispondono a referenti diversi. L’onda verde si è trasformata in goccioline.
Economia: dopo le crisi del 2008/2009 e 2014/2015 l’Ucraina non è ancora arrivata a livelli di oltre dieci anni fa. Il paese è sempre appeso agli aiuti del Fondo monetario internazionale, i cui programmi, come ai tempi di Yushchenko-Tymoshenko, Yanukovich-Azarov, Poroshenko-Groisman, vengono regolarmente congelati perché le riforme strutturali arrivano a singhiozzo. C’è poi la guerra nel Donbass che rende impossibile di fatto un’austerità che farebbe crollare tutto il paese nel baratro, a cui si aggiunge adesso la crisi coronavirus per cui non si vede nessuna luce alla fine del tunnel.
Sul versante internazionale: il conflitto nel sudest del paese prosegue sottotraccia, i morti dal 2104 sono oltre 13mila, il processo di pacificazione è bloccato, e gli accordi di Minsk, rilanciati lo scorso dicembre dal quartetto normanno, sono rimasti sulla carta. Zelensky sta cercando una sorta di compromesso con Mosca, ma da una parte è incalzato dall’opposizione radicale nazionalista (dentro e fuori il governo, da Avakov a Poroshenko), dall’altro è sempre il Cremlino che ha il coltello dalla parte del manico. I tentativi di sbloccare l’impasse e rilanciare il dialogo interno, con il Donbass occupato e con le regioni dove l’opposizione meno dogmatica è più forte, si scontrano anche con la posizione degli alleati occidentali, Usa in prima fila, che prediligono la strategia del muro contro muro con la Russia nella cornice della nuova Guerra fredda sulla più ampia scacchiera internazionale.
In definitiva: bilancio interno per forza di cose tra luci ed ombre e Zelensky non è riuscito a trovare ancora una soluzione per mettere la parola fine alla guerra nel Donbass. Colpe sue ed esterne, nel solito mix già visto nei casi dei vari presidenti e governi. La politica ucraina è fatta di equilibri tra gli oligarchi e tra gli interessi di Russia e Usa: difficile fare uscire il paese dalla perenne crisi se non ci saranno allineamenti su questi fronti. Insomma Zelensky non può fare miracoli e può solo cercare di evitare di combinare i danni che hanno fatto tutti i suoi predecessori schierandosi da una parte o dall’altra e seguendo gli interessi degli uni senza offrire qualcosa agli altri.