Proverbio dell’11 maggio Un asino vestito di seta è sempre un asino
Numero del giorno: 28,4 Calo produzione industria in Italia a marzo
Decido di rischiare il tutto per tutto: vado al bar. Il proprietario, giovane ardimentoso, ha costruito un percorso di guerra fatto di tavolini a zig zag sul marciapiede dove è palesemente proibito sedersi, ma tutt’al più si può poggiare la tazzina di cartone, con tanto di segnaletica con scritte rosso fuoco che intimano di “stare qui”, flaconi di gel su ogni tavolino, e avvisi che ricordano l’obbligo di mascherina e guanti prima di avvicinarsi al plexiglass da dove intravedo la barista con indosso un chador sanitario che mi fa dubitare improvvisamente della sua etnia. Poi mi chiede come prendo il caffé. Riconosco la pronuncia indigena e capisco che siamo diventati tutti talebani. E sospetto persino che piaccia.
Prendo il bicchierino bollente e mi allontano subito misurando falcate di un metro l’una per evitare chiunque mi stia attorno, che comunque non è ‘sto granché. M’arriva comunque la voce del giovane ardimentoso, vagamente querula mentre dice a qualcuno – ovviamente a distanza di sicurezza – che “così non gliela si fa”.
Dategli torto: prima spillava 600 caffé al giorno, ora se nessuno si frattura una tibia mentre fa slalom coi tavolini si e no una sessantina. E lui c’ha anche i dipendenti, e persino un pasticciere che non può fare più di tot cornetti perché gli avanzano. La gente ha imparato a farseli da sola durante la pandemia.
Sorseggio l’espresso che sa inevitabilmente di cartone caldo, e lascio di mancia il costo di un altro caffé. Non lo so ancora ma faccio parte di quei quattro italiani su dieci che, scoprirò più tardi, secondo una qualche associazione si sentono in dovere di dare una mano, in questo periodo. Chissà perché mi sembrano pochi.
Saluto il giovane che proprio non vuole saperne di farmi andare via, pure se si tiene a distanza, perché dietro di me non c’è più nessuno. Allora mi racconta che le sue due banche lo hanno chiamato proponendogli entrambe di fare quella praticuccia per i 25 mila euro che dovrebbero arrivare dal governo. Lui si è deciso, ma ancora non ha visto un euro. E intanto ha dovuto costruire il percorso di guerra, installare il plexiglass, procurare le mascherine e il chador sanitario…
Torno al lavoro e leggo qualcuno di Bankitalia dire che “nell’immediato è necessario uno sforzo eccezionale per sostenere la liquidità delle imprese colpite dalla crisi”. Penso al giovane ardimentoso, specie quando un’altra associazione vaticina che 270 mila come lui rischiano di chiudere i battenti. E dal cuore mi sorge un augurio:
A domani.