C’è un convitato di pietra al tavolo dei decisori durante l’emergenza Covid-19 in Italia: le statistiche demografiche. Il governo ha sempre optato per politiche uniche, valide per l’intero territorio nazionale – lasciando lo spazio alle Regioni solo per leggere variazioni sul tema o ulteriori inasprimenti.
Se questo era assolutamente comprensibile durante la prima fase della crisi, con il picco di mortalità che ha travolto la gran parte del Nord Italia, l’irremovibilità dell’esecutivo ora, a due mesi di distanza, appare molto meno difendibile. Lo dicono i numeri sui decessi che l’ISTAT sta diffondendo a più riprese da inizio aprile[1]: SARS-CoV-2 non ha colpito omogeneamente né di territorio in territorio, né (ed è quel che ci interessa) all’interno della popolazione.
Perché ognun se ne renda conto, abbiamo isolato e riassunto i dati forse più significativi per capire come il virus vada ad infierire a seconda dell’età (ma anche del sesso) delle persone: quelli relativi alla provincia di Bergamo durante il mese di marzo 2020. Com’è stato scritto in lungo in largo e confermato da un autorevole rapporto congiunto ISS-ISTAT[2], è soprattutto qui che Covid-19 è uscito allo scoperto all’improvviso e con una furia nient’affatto mitigata, mandando in tilt – oltre al sistema sanitario locale – gli stessi meccanismi di rilevazione dei decessi e dei contagiati. Non a caso si sono dovuti aspettare (con un lag di oltre un mese) i dati ex-post delle cancellazioni dalle anagrafi, per dare una sostanza statistica a un bilancio che, comunque, era già sentire comune e motivo di polemica. Complessivamente, nel corso di quel mese terribile i decessi in provincia sono più che sestuplicati (+568%) rispetto alla media di marzo dal 2015 al 2019.
Non si dimentichi poi che la provincia di Bergamo, coi suoi 1.114.590 abitanti (al 1° gennaio 2019) è territorio popoloso, economicamente sviluppato e innervato da numerose direttrici di comunicazione con il resto del paese e d’Europa (si pensi all’aeroporto di Orio al Serio); né si sottrae, demograficamente, al destino di invecchiamento che coinvolge molti paesi occidentali. Per queste ragioni, i numeri che seguono non sono solo dotati di rappresentatività, ma anche di comparabilità (mutatis mutandis).
Figura 1 – Dati ISTAT, rielaborazione dell’autore.
I numeri, di per sé, sono eloquenti: SARS-CoV-2 si è accanito con particolare violenza sulle fasce più anziane della popolazione, senza però evitar di produrre aumenti astronomici nel tasso di mortalità tra classi che ai giorni nostri, nel quarto paese al mondo per speranza di vita (primo in Europa) secondo l’UNDP[3], vengono considerate e si considerano “di mezza età”. I circa 1.500 decessi di marzo tra gli uomini sessanta- e settantenni, a fronte dei circa 170 di media nel quinquennio precedente, lasciano senza fiato. Un altro punto fermo che dobbiamo citare è che, quale che ne sia il motivo, gli individui di sesso femminile, a parità d’età, sono stati falcidiati dal virus in proporzione minore rispetto a quelli di sesso maschile (ma non per questo meno spaventosa). Un terzo punto innegabile è che le persone con meno di 40 anni, pur attraverso le fasi più critiche della crisi sanitaria, non hanno subito alcun aumento di mortalità statisticamente rilevante a causa di Covid-19. Tutt’altro: sebbene i numeri esigui lascino spazio a un maggior margine di incertezza, è possibile ipotizzare che i giovani abbiano addirittura beneficiato della diminuzione di altre cause di morte, quali gli incidenti stradali e gli incidenti sul lavoro.
Questo era il quadro tratteggiato dai numeri. Ora, il corollario che ne discende è semplice: la strategia indecifrabile adottata dal governo italiano per la “fase due” – riaprire alle visite interpersonali trattando la popolazione italiana come un tutt’uno, dando al massimo dei blandi caveat sulla distanza da adottare “coi vostri nonni” – è un azzardo che rischia di venir condannato dalla storia. Mentre permaneva la massima rigidità attorno ai vari piani di riapertura di intere categorie professionali, oramai sul lastrico, veniva cassata senza complimenti la proposta della task-force di Colao di costringere gli over-65 allo smart working[4] o a tutele surrogate. Al contrario, la logica dei numeri suggerirebbe ciò che l’Università di Edimburgo ha definito “segment and shield strategy”: dividere la popolazione in differenti fasce di rischio sulla base delle condizioni sanitarie pregresse, garantendo a bambini e adulti sani maggiori e più rapide libertà, mentre per i più deboli l’allentamento del lockdown andrebbe diluito o protratto[5].
Va detto però che anche in quei paesi dove si è fatto strada un dibattito per limitare la libertà di movimento degli anziani, o per organizzarla secondo scaglioni o fasce orarie, gli effetti concreti sono stati scarsi e contraddittori. Gli esempi eccellenti a riguardo sono la Germania[6], la Spagna[7], la Francia (che ha fatto marcia indietro su basi “puramente politiche”)[8] e il Regno Unito[9]. Pur avendo basi scientifiche, evidenziate nettamente dalle statistiche demografiche, la discriminazione dei provvedimenti per fasce d’età (per quanto sarebbe una “discriminazione positiva”, a scopi cautelari) è un corpo estraneo nelle democrazie liberali, fondate sulla ricerca del consenso. Il rischio che nessun decisore vuol correre è quello di coagulare un ampio bacino di dissenso tra gli anziani, già suscettibili a una narrazione assieme conservatrice e libertaria (ci prendono di mira, restringendo le nostre libertà fondamentali)[10]. Tuttavia, come sottolinea un ottimo articolo del Washington Post, non si tratterebbe solo di fantasmi elettorali: optare per questo tipo di “segregazione soft” non sarebbe una scelta facile, né senza conseguenze tangibili sulla psiche e sulla salute, né sostenibile per lungo tempo sotto il profilo giuridico e costituzionale[11].
Non si tratta solo di questo, però. Se da un lato i principali governi europei si sono mostrati restii ad isolare più a lungo gli anziani, dall’altro non hanno nemmeno dato la priorità ai provvedimenti sull’infanzia, sulla scuola, sull’ingresso nel lavoro, sul precariato e sui neogenitori. Sebbene sia ormai accettato che le donne e i più giovani abbiano patito la maggior vulnerabilità (in termini di welfare e lavoro) in rapporto alla minore entità dei rischi che hanno corso, ben pochi si sono spinti nel concreto a privilegiarli nella ripartenza, ridando fiato alle famiglie senza moltiplicare fin da subito il pericolo di nuovi contagi tra gli anziani. In Europa, solo la Danimarca e la Norvegia avevano approntato, ai primi di maggio, piani di ritorno alla normalità basati sulla riapertura di asili, scuole primarie e centri per l’infanzia[12].
Così, tutto sommato, l’Italia è in buona compagnia? Forse sì. Ma a uno sguardo più vicino, mentre l’attenzione mediatica in modalità “caccia all’untore” si è spostata da runners ed escursionisti alle comitive pigramente stravaccate sui Navigli, l’assenza stessa nel dibattito pubblico della questione generazionale, oltre ad impedire l’elaborazione di compromessi praticabili, dà il polso di un paradosso molto più grave. Quello di un paese incapace di adattarsi a una visione dell’emergenza che sia mirata e variabile a seconda del contesto geografico e demografico; quello di un paese che per tamponare un’erosione della ricchezza acquisita (che comunque era già in atto[13]), non intende facilitare il ritorno alla creazione di nuovo reddito da parte delle fasce d’età più attive ed energiche; né evita di esporre al rischio maggiorato di una nuova ondata di Covid-19 proprio le fasce di riferimento del consenso elettorale e della tenuta del welfare tramite risparmio e pensioni.
Michele Soldavini
[1] https://www.istat.it/it/archivio/240401
[2] https://www.istat.it/it/files/2020/05/Rapporto_Istat_ISS.pdf
[3] https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_life_expectancy
[4] https://www.fanpage.it/politica/fase-due-il-piano-colao-per-ripartire-over-65-a-lavoro-da-casa-negozi-aperti-dall11-maggio/
[5] https://www.ed.ac.uk/covid-19-response/latest-news/two-tier-approach-could-begin-lockdown-end
[6] https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/18/germany-ease-lockdown-harder
[7] https://elpais.com/sociedad/2020-05-01/guia-practica-para-usar-la-calle.html
[8] https://www.europe1.fr/politique/confinement-des-personnes-agees-une-decision-politique-pour-eteindre-la-polemique-3962741
[9] https://www.theguardian.com/society/2020/may/05/longer-lockdown-for-over-70s-would-allow-fewer-restrictions-for-rest-of-uk-scientists-suggest
[10] https://www.voanews.com/covid-19-pandemic/european-governments-face-gray-revolt
[11] https://www.washingtonpost.com/world/europe/germany-eases-restrictions-coronavirus-old/2020/05/01/77ffa5a4-857c-11ea-81a3-9690c9881111_story.html
[12] https://www.ft.com/content/af754259-381d-45fd-9ae9-584d414f78d4
[13] https://www.lavoce.info/archives/65706/se-crolla-il-mito-del-risparmio-degli-italiani/