Ho conosciuto Imen Jane quando era ancora “solo” Imen Boulahrajane una ragazza della provincia di Varese con tanta passione per la politica. L’ho conosciuta subito dopo la sua maturità, allo scientifico, in quel vivaio agli albori del renzismo che era l’associazione FutureDem. L’ho invitata ad innòva, la kermesse organizzata da Fondazione Ora! di cui sono co-Presidente, per parlare di emancipazione femminile e pari opportunità.
Ho visto la sua crescita – soprattutto mediatica – ho visto il dilatarsi dei tempi di risposta ai messaggini, ho ricevuto dei gentili “no, grazie” a successivi inviti ad iniziative che ho organizzato perché la sua agenda era diventata ormai ingestibile.
L’ho vista di persona a novembre dello scorso anno, a Bologna, ad un evento nazionale del Partito Democratico dove lei era tra i relatori e l’ultima volta, in tv ad EPCC su Sky, dove più imbarazzata e meno sicura del solito davanti ad un Monopoli gigante dove tra il serio (poco) e lo scherzo (molto) diceva la sua sull’economia post covid-19.
Se ancora non sapevate chi fosse Imen Jane dopo l’articolo pubblicato su Dagospia (il cui titolo meriterebbe la chiusura immediata del sito) e il clamore mediatico che ha suscitato difficilmente il suo nome non vi dirà nulla. In sintesi la venticinquenne varesotta ha mentito sul suo titolo di studio, presentandosi come economista quando in realtà è una studentessa di Economia e amministrazione presso l’Università Bicocca di Milano in ritardo con qualche esame.
Insomma più che la Ferragni di piazza Affari – alla quale in diverse interviste ha detto di ispirarsi – una novella Affi Fella, che per chi non segue il fantastico mondo di Uomini&Donne è una ex tronista che nascondeva il fidanzato nell’armadio di casa fingendo di essere single pur di partecipare al dating show di Canale5 – ammaliata dalla tanta visibilità mediatica.
Partiamo da un punto: era chiaro agli osservatori più attenti che più che di un economista Imen Jane (questo il suo nome d’arte, si sarebbe detto nickname nei primi anni di internet) fosse un’interessantissima comunicatrice capace di creare una community di seguaci (followers) parlando in maniera semplice dei temi che più l’appassionano: economia e politica internazionale.
Tanto che Forbes, per le sue capacità comunicative, non di certo per gli studi economici, l’ha inserita nella lista dei trenta under30 più influenti in Europa.
Nel mondo di internet la capacità di trovare strategie comunicative efficaci per un pubblico giovane raggiungendo una platea di circa 300mila followers diventando in poco tempo una delle personalità più seguite equivale ad una laurea, per di più con il massimo dei voti.
Per questo sono convinto che tante ragazze e ragazzi l’avrebbero seguita ancora più volentieri sapendo che non era una millantata economista bensì una studentessa di economia come tanti di loro, che con passione e impegno riesce a raggiungere risultati che vanno ben oltre il pezzo di carta.
Le bastava dire la verità, aggiungere l’aggettivo aspirante alla smania di definirsi economista, le sue parole avrebbero avuto comunque peso e rilevanza per il suo target di riferimento. Come ha scritto la blogger Selvaggia Lucarelli il problema della vicenda è stato il doversi inventare una laurea per acquisire autorevolezza e visibilità sul web. La vera notizia non è che Imen sia, al momento, solo diplomata. È che è vecchia.
Ed è un problema generazionale, non di certo solo personale. La laurea ahimè, da noi, è ancora uno status-symbol: «Mi sono laureata in Economia ed amministrazione d’impresa e da subito mi sono resa conto di quanto l’università sia una specie di “bolla”. Finiti gli studi è probabile che tu non sappia nemmeno cos’è un 730!» dichiarava a Donna Moderna nel 2019.
Per quanto la conosco Imen è una ragazza piena di passioni, di interessi, che si informa e sono convinto che il suo obiettivo non è mai stato – e non lo è tuttora che a testa bassa concluderà gli studi a tempo di record per poter sventolare in mondovisione il pezzo di carta con tanto di selfie con i professori – quello di fare una carriera accademica, ma di fare comunicazione e imprenditoria come stava cominciando a fare con IS Media srl, la società che promuove il canale social “Will”, che spiega le notizie di politica e economia tramite card, stories e i video su InstagramTV, dal gennaio 2020 e capace di raccogliere finanziamenti per 1,2milioni di euro.
A questo punto le domande da porsi sono principalmente due: la prima, da semplice influencer su Instagram, da chi non ha titolo per offrire nozioni ma soltanto semplici opinioni personali, sarebbe stata invitata a parlare di economia addirittura da una delle più grandi banche d’affari del mondo come Goldman Sachs? La seconda, Will ha basato la sua identità sulla chiarezza e sulla trasparenza puntando tutto su Imen Jane in quanto personaggio capace di incarnare i valori del progetto. Riuscirà, in quanto brand (debole) a resistere ed andare oltre alla forza mediatica (prima in positivo, ora certamente in negativo) di Imen Jane?
Il dibattito in queste ore si è concentrato sul titolo di studio che non c’è. Parliamo di una venticinquenne che si è fatta prendere la mano sull’uso della parola economista e che da Cassano Magnago, 21mila abitanti 40km a nord di Milano, provava a seguire l’insegnamento di Steve Jobs agli studenti dell’università di Stanford “stay foolish stay hungry”.
Il problema non quello che ha detto o fatto intendere. Il problema è che è esaltare come modello di impegno, capacità e dedizione chi – giustamente dal suo punto di vista – dice metto da parte l’università per mesi per andare in prima fila a sentire Putin che fa la conferenza stampa oppure rincorrere Michelle Obama e dirle sei il mio idolo e tante cose che erano più stimolanti che fare informatica e statistica II, fa perdere di credibilità e valore allo sforzo immenso che fanno tanti suoi coetanei tra tirocini, pubblicazioni, stage non retribuiti, esami e deprimenti colloqui nei quali ogni tanto spunta una domanda sulla curva di Phillips per un contratto a termine da 500 euro al mese.
Tralasciando tutti gli aspetti più delicati, e il tifo da stadio che come sempre si crea in questi casi si tratta della storia vecchia come il mondo tra chi ha successo ed opportunità e chi li cerca, spesso senza trovare ne l’uno ne le altre. Auguro ad Imen di riprendere il suo percorso di comunicatrice ed imprenditrice e a tante ragazze e ragazzi di riuscire a fare quello che li appassiona davvero, senza bisogno di anteporre al loro nome un titolo (vero o presunto).
Ma soprattutto mi auguro che le istituzioni e i partiti, possano essere capaci di premiare il saper fare (indipendentemente dal titolo), i “casi mediatici” (sui social e non) ma anche di andare oltre e offrire opportunità e visibilità ai tanti (troppi) che si impegnano ed hanno cose da dire ma che restano sempre, purtroppo, nelle retrovie. Ci state dicendo: “Ehi ragazzi, volete un sistema meritocratico? Andate via”. Era il 14 dicembre 2016, a scrivere queste parole, sui social, proprio Imen. Facciamone tesoro.