Oggi vi racconto di Chav: Solidarietà coatta di D. Hunter
Il libro
Se incontraste oggi D. Hunter potreste scambiarlo per un bibliotecario uscito a fare shopping. Ma un tempo per gli sbirri, le persone per bene e la stampa lui era un chav, un coatto.
In queste pagine racconta la sua giovinezza nel sottoproletariato di Nottingham, quando per campare ha lavorato come sex worker, spacciatore e ladro. Cresciuto in strada, costretto a subire abusi, patisce violenza, impone violenza. Ma dopo i vent’anni riesce a rompere il ciclo. Ricoverato forzatamente in ospedale psichiatrico, comincia a leggere, e rimane folgorato dall’opera di altri due reclusi: Antonio Gramsci e Angela Davis. Sulla soglia dei quarant’anni scrive un memoir in cui racconta la propria vita, ma traccia anche i limiti dei movimenti politici che pretendono di parlare a nome della working class.
La mia lettura
Definire Chav crudo è riduttivo, D. Hunter ha deciso di sputare il rospo e raccontare non solo la sua vita ma anche la sua famiglia, la lunga serie di fallimenti, di dipendenze, la violenza perpetrata in modo crudele e continuativo tanto da pensare subito che è un miracolo saperlo ancora vivo e non in una fossa comune di un cimitero o condannato all’ergastolo per essere diventato un serial killer.
Chav è un memoir che ha però l’obiettivo di inserirsi nel filone della letteratura sociale e di denuncia perché quello che Hunter vuole fare è puntare l’attenzione sui “lumpen” .
“I nostri corpi sono intrisi di connotazioni di classe, e i corpi delle persone senza capitale valgono meno”
Hunter passa dal racconto della sua vita al racconto di chi, come lui, fa parte di quella fascia fragilissima e abbandonata di cittadini britannici.
La parte più “politica” di Chav è frutto di considerazioni basate su esperienze vissute in prima persona che non hanno la “forza” di un approfondimento sociale, storico, economico, ed è comprensibile, quello che ho notato è che la spinta emotiva che riesce a trasmettere quando racconta di se stesso si perde nel momento in cui vuole richiamare l’attenzione e convincere il lettore a supportare una lotta che abbia caratteristiche più universali e spinga ad una solidarietà genuina e possibilmente irruenta.
“Ho trovato difficile far parte dei movimenti sociali in cui i miei compagni avevano l’aspetto, si muovevano e parlavano come i miei giudici, i miei assistenti sociali e le vittime dei miei furti”
Trovo straordinario lo sforzo di quest’uomo e mi vengono i brividi a saperlo sempre in bilico a combattere i suoi demoni, a svicolare ogni volta che si sente sotto assedio in una società che per lui è sempre stata ostile, mi sono domandata che effetti può avere, socialmente, la sua testimonianza e quali conseguenze fra le persone che lo eleggono portavoce dei propri disagi e bisogni.
Incarna, Hunter, il vero esempio di sottoproletario marxiano, il Lumpenproletariat, come dicono i tedeschi, e non lo dico in senso negativo, semplicemente, leggendo questa testimonianza ho avuto l’impressione di fare un salto indietro nella storia, la sua “ingenuità politica” e il modo in cui propone la lotta si porta dietro gli stessi “bug” del passato … ma “la storia siamo noi”, non c’è niente da fare.
Sono contenta di aver letto Chav perché è una testimonianza unica e voglio anche credere nella possibilità non di redenzione perché è un termine sbagliato nel caso di Hunter, ma di riscatto, un riscatto sociale vero e soprattutto voglio augurargli ogni bene.
Chav: Solidarietà coatta – D. Hunter
Alegre editore
Traduzione Alberto Prunetti
Prefazione Wu Ming 4
Pagine: 160 € 15,00