Vogliamo stare alla forma del quesito referendario? All’ammiccamento populista sul taglio delle poltrone? Pensiamo che questo referendum sia il “18 Aprile di Luigi Di Maio”, quasi un remake de “il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, nella marxiana consapevolezza che la storia da tragedia si ripete in farsa? Ok, allora votiamo NO, in scienza e coscienza possiamo assestarci lungo la nostra bella linea del Piave e resistere, resistere, resistere, finché l’invasore populista non è “scacciato, vinto e battuto”.
Tanti auguri!
Scopriremmo però che “dietro la collina non c’è più nessuno”, che i populisti non sono di fronte a noi ma semmai dietro e intorno. E che questo referendum, come forse ogni altro referendum, non è fatto per separare la zizzania del SI, dal grano del NO, perché tatticismi, opportunismi, doppiezze, ipocrisie vigliaccherie sono dappertutto. Tutti hanno in mano un bastone da mettere nelle ruote altrui, ma nessuno sa veramente dove vuole andare.
E allora che fare? Prendere qualche lezione dalla storia, per esempio; capire che una classe dirigente politica è tale anche quando sa sfruttare a proprio vantaggio la forza altrui, come insegnano nelle arti marziali, ma a condizione di avere un obbiettivo, un progetto. E’ più o meno quello che fece De Gasperi del 1946, quando ottenne la vittoria della repubblica sulla monarchia solo in minima parte grazie al suo elettorato democristiano ma invece in massima parte, grazie a quello social comunista.
Oggi un partito come il PD, potrebbe provare a giocare la stessa partita: sfruttare un voto, quello per il SI, che in buona parte non gli appartiene, per dare un senso costituente e riformatore alla legislatura, per restituire dignità e credibilità alle istituzioni, che poi non è altro che un modo per combattere in profondità, alla radice, ogni tentazione antipolitica e populistica.
Certo ci vuole un disegno, ci vuole coraggio, vuol dire prendersi un rischio. Ma la politica è anche questo, anzi la politica è sopratutto questo: è ambizione di governare i processi e non di amministrare lo status quo. Ora è evidente che con la vittoria del NO tutto si ferma, anzi si congela, mentre con la vittoria del SI, non foss’altro per la necessità di mettere mano ai regolamenti parlamentari, si avvia un vero e proprio processo costituente.
E’ evidente però che per avere la credibilità di avviare un simile processo non si può balbettare, non ci si può mostrare arrendevoli o subalterni, e questa fino ad ora, e purtroppo, è l’impressione che ha dato il PD. Che pure invece ha il merito oggettivo di aver impedito un disegno di smantellamento della democrazia parlamentare rappresentativa avendo costretto il Movimento 5 Stelle a stralciare dall’agenda politico parlamentare sia il disegno di legge che introduceva il vincolo di mandato, sia quello che introduceva il referendum propositivo senza vincolo di materia. La verità è che stiamo girando tutto un altro film e che la partita vera non è la resa al populismo, ma la creazione delle condizioni per un suo esaurimento e quindi per un suo superamento.
Altra condizione favorevole che deve essere valutata è quella di poter dare al lavoro di riforma costituzionale un carattere collegiale. Il fatto che non ci sia un capo del governo che si intesti le riforme, proprio come avvenne durante i lavori della Costituente, potrebbe produrre quelle condizioni di libertà ed autonomia tali da favorire accordi di buon senso che quindi potrebbero arrivare ad ottenere due terzi dei consensi parlamentari e quindi non dover dare più luogo a referendum confermativi. Sarebbe un’assunzione di responsabilità di tutta la classe politica che eleverebbe di molto il senso e il rispetto per le istituzioni.
Lo slogan della riforma Renzi-Boschi era appunto “basta un sì”, ma quella era una riforma organica e complessiva del sistema bicamerale. Qui siamo su un altro piano. Un piano inclinato, che però la lungimiranza, la determinazione, il coraggio della politica può riequilibrare. Votare Sì significa attraversare questo piano inclinato, intraprendere questo cammino che senza dubbio comporta molti rischi e nessuna certezza di successo. Per questo non basta un Sì. Ci vuole la politica, un partito e una classe dirigente degna di questo nome.