Monopolio delle destre negli ultimi decenni, declinata verso lo straniero, con il covid la paura torna a essere un argomento usato anche dalla narrazione progressista.
Non esiste in ambito politico un argomento più intimo e personale della reazione all’emergenza sanitaria. Il modo in cui il singolo elettore si pone rispetto al covid-19 prescinde totalmente dalle posizioni ideologiche su cui invece generalmente si polarizza in maniera quasi automatica il dibattito quotidiano: pro-migranti a sinistra, anti-aborto a destra, e via discorrendo.
Tra le grandi fratture che la pandemia ha provocato, un ruolo poco discusso è quello dell’imprevedibilità con cui ha colpito i singoli individui nella loro postura pubblica rispetto al tema delle mascherine.
E così, ci troviamo davanti ad anarchici di mezza età che non escono di casa senza dpi, comunisti della prima ora che accettano restrizioni alle proprie limitazioni che non avrebbero tollerato neanche se fosse stata la salma riesumata di Lenin in persona ad imporgliele, e sostenitori delle forze dell’ordine di centrodestra che insultano i vigili per i controlli sul coprifuoco.
Come dire: l’etica potrà anche essere condivisa politicamente, ma l’ipocondria no.
Al di là di quanto accade a livello privato, però, quello che è interessante osservare sono i mutamenti nei terreni presidiati dai Partiti. Il primo fenomeno che salta agli occhi in questo momento è un’almeno apparente inversione rispetto ai ruoli a cui siamo abituati nell’arena politica, con la destra in prima linea a minimizzare l’emergenza sanitaria, per sensibilizzare invece su quella economica, e la sinistra che dopo i primi clamorosi tonfi del #milanononsiferma di zingarettiana e pisapiana memoria, si è riarroccata in posizioni di difesa estrema agli appelli di responsabilità e di salvaguardia delle vite umane più fragili. L’oramai celeberrima gaffe della social media manager (?) di Toti racconta molto invece di quali siano le priorità a destra, anche quella che si pensa moderata.
Sono ruoli inediti: chi giocava al rialzo con la percezione dei numeri dell’immigrazione (non esiste Paese al mondo che ha una distorsione più ampia tra il numero di immigrati che crediamo essere sul nostro territorio rispetto a quelli che effettivamente ci sono), oggi è protagonista del medesimo gioco, ma al ribasso, rispetto al rischio effettivo di contrarre il virus, o quantomeno di finire ospedalizzato – o peggio. È una svolta fondamentale, perché storicamente la paura è stata l’arma finale per vincere qualsiasi confronto politico: illumina parti del cervello che nessun’altra sensazione riesce a muovere, e si può dire senza nulla temere che sia l’emozione politicamente più forte per guidare i comportamenti delle persone. D’altronde, cos’altro potrebbe indurci ad accettare restrizioni così severe alle nostre libertà più fondamentali?
Quello che non cambia è invece il veicolo che viene utilizzato: le fake news, o comunque le notizie fortemente esagerate, sono bipartisan, e passano a seconda del colore politico da “gli asintomatici non sono contagiosi” gli studi di qualche laboratorio neonato mirati a generare ansie nel toccare qualsiasi superficie che potrebbe trasmettere il coronavirus a distanza di ore e giorni.
Chi ne esce esautorato di molta della sua autorevolezza, paradossalmente, è proprio la comunità medico-scientifica: una volta autorità super-partes (“il governo dei tecnici!”), oggi ogni fazione brandisce il suo medico-totem, che porta in dote i propri numeri e i propri rimedi della nonna dettati dall’agenda politica, e la spaccatura tra le classi di dottori mercenari prestati ai giochi di palazzo rischia di risultare insanabile anche nei lunghi mesi a venire.
Le accuse da una parte all’altra dell’arco costituzionale includono anche filosofi come Giorgio Agamben, che ha parlato di “emergenza immotivata” ed annunciato lo “stato di eccezione” di Carl Schmitt: una sospensione del diritto che finge di essere ancora diritto. Altrove, Shoshana Zuboff, l’autrice del saggio “Capitalismo della sorveglianza”, non ha esitato ad etichettare il virus come “Covid-1984”, geniale trovata di marketing per le tesi sensate ma velatamente paranoiche che caratterizzano la sua opera monumentale.
Nel mezzo, si inseriscono poi le sempre più numerose schiere di complottisti e no-vax, che anche qui rinforzano però i ranghi di credo politici ben diversi: sia a destra che a sinistra troviamo schiere di invasati che possono portare le prove che il virus sia originato in laboratorio, o che “è tutta colpa di Bill Gates”. Il tutto mentre del virus vero e proprio si capisce ancora relativamente poco, in confronto al numero di vaccini già pronti a essere inoculati.
È questo contesto di generale incertezza, che include il dubbio di quanto duri l’immunità così come le ambiguità dei DPCM che si assommano di mese in mese, che rende possibile al dottor Stefano Montanari di vendere online i suoi corsi per “svelare la verità” nella sua “Free* health academy”, come promosso su Byoblu.
Ed è con questo clima di fondo che ci apprestiamo a entrare nel 2021, l’anno che nell’immaginario di marzo per tutti noi voleva dire la fine dell’incubo. E che invece ci coglierà in sonni disturbati ancora a lungo.
*Free nella sua accezione di “libera”, evidentemente, non certo di gratis.
FILIPPO LUBRANO