Con un post pubblicato su facebook, il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha fornito l’attesa risposta al quesito che tutti gli aspiranti avvocati si ponevano, sulla possibilità di svolgere le prossime prove scritte per l’accesso alla professione forense, programmate teoricamente per metà dicembre.
La risposta è negativa, vista l’impossibilità, nell’attuale situazione sanitaria, di organizzare esami in cui migliaia di persone rimangono per più di 7 ore rinchiuse nello stesso spazio, ammassandosi in fila per entrare e uscire. Tutto rinviato alla primavera 2021.
Ma facciamo un passo indietro. Ogni anno una cifra indicativamente attorno ai 20.000 praticanti avvocati sostiene l’esame di abilitazione. Lo scritto richiede 6 o 7 mesi per la correzione, e per il successivo orale si possono attendere altri 4 o 5 mesi. Solo l’esame in sé richiede un anno (se lo si passa al primo tentativo), che si aggiunge ai 18 mesi di pratica forense in cui la maggior parte dei praticanti non riceve uno stipendio. Se lo stipendio arriva, spesso ammonta a un misero rimborso spese.
Lo scorso esame del 2019 ha già suscitato pesanti malcontenti da parte dei giovani che lo hanno sostenuto, per via dei ritardi da parte del Ministero di trovare misure alternative per la correzione delle prove scritte nel corso della pandemia. Nel frattempo, i praticanti avvocati sono rimasti appesi al filo dell’incertezza fino alla fine dell’estate, prima che venissero pubblicati i risultati delle prove scritte (con mesi di ritardo).
Eppure, le difficoltà già riscontrate non sono bastate per studiare soluzioni alternative riguardanti l’imminente esame scritto del 2020, nonostante mai la situazione abbia suggerito che la seconda ondata del virus non avrebbe posto gli stessi problemi della prima. E così, dopo che per numerosissimi altri ordini professionali sono state introdotte, quest’anno, modalità alternative per l’accesso alla professione (una sola prova orale abilitante, ad esempio), dai molti gruppi e associazioni che riuniscono praticanti e giovani avvocati è giunta la richiesta, e l’aspettativa, che ciò si prevedesse anche per l’accesso alla professione forense. Così non è stato.
Sullo stile scelto dal ministro Bonafede per annunciare tutto ciò non si potrebbe che stendere un velo pietoso, oltre al sentimento di profonda amarezza e delusione che lascia il contenuto del comunicato. Nonostante i tentativi di ricevere risposte istituzionali (è stato presentato un question time alla Camera dei Deputati), il Ministro Bonafede ha scaricato il problema, con l’estrema leggerezza e superficialità di un post su facebook, sulle spalle di giovani precari che dovranno aspettare ancora molti mesi, fino a data da destinarsi, in una situazione di incertezza e in condizioni professionali non certo rosee.
Insomma, dopo un lungo e tortuoso percorso di studio e un anno e mezzo in cui l’indipendenza economica è spesso un miraggio, gli aspiranti avvocati si sono visti privare, con una imbarazzante nonchalance istituzionale, dell’unico appuntamento annuale utile per sostenere la (prima) prova d’esame e intraprendere l’esercizio della professione forense.
Il rammarico sta nel fatto che la soluzione adottata dal Ministero della Giustizia non è una soluzione, contrariamente alle misure straordinarie previste per le altre professioni.
Come ricorda la nostra Carta costituzionale: qual è il compito della politica se non quello di rimuovere gli ostacoli trovando adeguati rimedi?
In questo caso, il rinvio dell’esame sine die aggrava la condizione di decine di migliaia di giovani, spesso di età in cui, nel resto d’Europa, si inizia a mettere su famiglia, tardando ulteriormente il loro ingresso nel mondo del lavoro. Tutto ciò, peraltro, in un contesto in cui la necessità di misure alternative era prevedibile, e vi era il tempo per elaborarle.
Come mai per gli aspiranti avvocati non si è voluto prevedere, in via straordinaria, una prova orale a distanza e in tutta sicurezza, governata da criteri oggettivi e meritocratici, proprio come già previsto per tutte le altre libere professioni? Il post del Ministro Bonafede non lo spiega.
In un momento storico già incerto e delicato, risulta poco comprensibile la disparità di trattamento che gli oltre 20.000 giovani aspiranti avvocati stanno subendo in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione, portavoce del principio di uguaglianza. Come la Costituzione ci insegna, affinché detto principio non rimanga soltanto scolpito o impresso sulla Carta, è necessario “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il post di Bonafede lascia un destino alquanto incerto per tutti i giovani praticanti avvocati che sperano di ottenere delle risposte concrete da una politica che dovrebbe intercettare le esigenze dei cittadini guardando equamente al futuro delle nuove generazioni. Le quali chiedono dignità, quella stessa dignità che gli aspiranti avvocati si impegnano a tutelare domani nelle aule di giustizia con lealtà, onore e diligenza.
Vincenzo La Licata
Leonardo Stiz