Il libro
«Ho deciso di raccontarvi questa mia storia, my covid, perché stiamo vivendo immersi in un clima cupo di incertezza, preoccupazione, paura e rabbia. Io invece vorrei raccontare e trasmettere tutto l’opposto. Non sono un virologo, né tanto meno un tuttologo. Sono uno qualunque, che un giorno si è svegliato malato ed è finito in ospedale, in un reparto covid. Ciò che mi è successo in quei 13 giorni lì dentro è sorprendente. Apre una grande speranza per il futuro. E mi ha anche insegnato (o forse, semplicemente ricordato) come vivere al meglio il presente. Lasciandomi con un sorriso al posto della paura. Spero che questa storia vi faccia lo stesso effetto» (Giuseppe Cloza)
La mia lettura
Giuseppe Cloza io lo conosco da diverso tempo perché è l’autore di un libro, La felicità in questo mondo, che posso definire sicuramente il libro che ho regalato di più dal 2005 a oggi perché racchiude l’essenza del pensiero che è alla base del buddismo di Nichiren che pratico da sedici anni quindi quando ho visto che My Covid lo aveva scritto lui ho subito pensato che di certo non ci avrei trovato i pensieri di un uomo intendo a piangersi addosso o a gridare il classico “perché proprio io”!
Scritto in prima persona e con tono colloquiale, intimo, My Covid è il piccolo diario di una esperienza, Giuseppe racconta se stesso, la sua famiglia italo-nigeriana, il suo rapporto con la malattia e il pensiero della morte, racconta l’ospedale e il Covid con tutto quel che ci gira attorno.
Giuseppe Cloza racconta non solo l’evento che ha vissuto ma anche tutte le conseguenze, le dinamiche che ne sono seguite.
La malattia è sempre un evento che interrompe il “flusso routinario” della nostra vita, è una “rottura biografica” ognuno di noi reagisce a suo modo:
“La sera dell’ottavo giorno di febbre a 38,5 a casa […]convocai in camera Sofia […]Dato che la mamma con i computer va d’accordo più o meno come io alle prese con la pittura di un quadro surrealista, o in un’arrampicata di free climbing […] le insegnai come usare la banca online, le dettai tutte le password, le feci provare a fare bonifici e ricariche per non avere problemi. Le consegnai i bancomat con i codici. Le diedi istruzioni su come entrare nel mio computer (che al momento non volevo portare in ospedale) per poter eventualmente accedere a file importanti.”
E’ oramai un anno che ci raccontano di malati covid che muoiono nella più completa solitudine degli ospedali, non faccio fatica a immaginare cosa voglia dire uscire di casa lasciando la tua famiglia senza sapere se riuscirai a tornare …
“Lungo il corridoio in penombra mi affiorò un pensiero: “Quanto tempo ci vorrà?”. “Le temp est une invention des gens incapables d’aimer”. Il tempo è un’invenzione di gente incapace di amare. Così, prima ancora di arrivare al reparto, smisi subito di pensare al tempo.”
Un racconto da cui traspare un grande equilibrio, una bella capacità di tirare fuori le emozioni e i pensieri senza autocommiserazione e regalando agli altri una testimonianza sincera, senza capi d’accusa, senza clamore.
“Ascolto il ritmo dei beep, dalla cui frequenza intuisco l’andamento dei numeri, e continuo a ventilarmi, come per prepararmi a un’immersione: 95, 96, 97 a volte 98.”
“Ci sono quelli che stanno prevalentemente senza ossigeno, prossimi candidati al “walking test” per vedere se possono andarsene. Ti fanno fare una piccola maratona, senza ossigeno e con un cronometro in mano. Devi camminare su e giù in corridoio per 6 minuti a passo tranquillo con il saturi metro attaccato al dito. Se arrivi alla fine senza tosse e rantoli e il livello di ossigeno è decente, ti becchi subito un buco nell’arteria. Se il risultato è buono entri nella lista dei candidati alla dimissione.”
My Covid. Come ho imparato a sperare nel futuro e a vivere meglio il presente di Giuseppe Cloza
Giunti editore
Formato ebook € 6,99