Anelli di fumoSe Paterlini incontra Harvey Milk

Stile semplice e dritto al cuore per la biografia sul politico gay di San Francisco

La copertina della biografia di Milk

Leggo i libri di Piergiorgio Paterlini da quando ero adolescente. La penna di questo collega de l’Espresso è una delle più necessarie, soavi e tenere; finora non ha mai deluso.

Noi nati negli anni Settanta associamo al nome di Paterlini il long e best-seller Ragazzi che amano ragazzi, uscito per la prima volta per Feltrinelli nel 1991 e poi premiato da quindici differenti edizioni e non so bene quante decine (centinaia?) di migliaia di copie vendute. Fu una epocale raccolta di lettere scritte da adolescenti ancora molto analogici, che raccontavano al curatore cosa significasse per loro scoprirsi o sentirsi gay. Il tutto quando il termine in Italia si usava ancora assai poco, in favore di parole più cliniche (omosessuali) o dialettal-derogatorie: da finocchi a busoni, passando per froci e tutto il resto.

Quel testo ebbe il merito di cogliere uno Zeitgeist dell’Italia della fine degli anni ’80 primi anni ’90. Anche per questo le varie edizioni hanno avuto l’intelligenza di aggiornarsi per riprodurre, nel proprio specchio, le immagini cangianti di generazioni di adolescenti via via meno sprovvedute, più digitali, meglio accolte e dunque meno spaventate dal proprio orientamento sessuale.

Sull’onda di quel meritaterrimo successo editoriale, Paterlini ha poi pubblicato molti e diversi altri titoli. Quello che recensiamo oggi è una biografia di Harvey Milk (1930-1978) Il mio amore non può farti male. Vita (e morte) di Harvey Milk (Einaudi Ragazzi, 2018, 142 pagine, 11€) scritta in prima persona e indirizzata a quel pubblico di adolescenti che, oggi, potrebbe non aver mai sentito parlare del primo e più grande uomo politico gay statunitense, e forse non solo statunitense.

Paterlini fa parlare Milk un po’ come Platone fa parlare il suo Socrate: alla fine della lettura non sappiamo ben distinguere dove finisca la penna dell’autore e dove inizi la verità del personaggio storico, ma tutto sommato non è poi così importante.

Milk fu quanto di più vicino possibile io associ all’idea di “rivoluzionario”: non un Don Chisciotte lancia in resta contro tutto e tutti, ma un politico testardo, caparbio e avveduto, che seppe dare rappresentazione politica e giuridica alla sua comunità gay in un’epoca ben meno tollerante di quella odierna. Per ottenere i risultati importanti che raggiunse – fra l’altro, una legge che puniva la discriminazione sul lavoro su base dell’orientamento sessuale – capì subito che non poteva rappresentare solo la “sua” minoranza. Avrebbe dovuto preoccuparsi dei bisogni di tutti gli abitanti della città, magari anche partendo da aspetti apparentemente triviali, come la famosa campagna contro le cacche dei cani per strada.

Milk, negli anni Settanta della San Francisco dei figli dei fiori, fu comunque un arcobaleno inaspettato. Faticò molto per farsi eleggere al Consiglio comunale della città: tre elezioni. Trovò per amico e collaboratore un sindaco italo-americano, George Moscone, che aveva già trascorsi politici di livello nazionale e che capì come pochi altri lo spirito del tempo che Milk rappresentava. Lo capì tanto da condividere con il suo consigliere diverse battaglie, ma anche la morte. Furono entrambi assassinati dalla pistola di un ex consigliere comunale, Dan White, all’interno dello stesso municipio di San Francisco.

La biografia di Paterlini non ha l’ambizione di raccontare tutto di Harvey Milk. Vuole solo tratteggiare ad ampie pennellate il personaggio. Far intravedere al lettore la poliedricità di questo politico visionario, che cinque pallottole poterono fermare nella materialità della sua persona, ma non nell’energia che scaturì per il movimento LGBTQ.

Poche parole anche per la sua vita privata, fatta di fidanzati sempre molto più piccoli della sua età e drammaticamente irrisolti, quando spesso anche immaturi. Tutti, tranne uno che morì suicida, sono stati poi uccisi dalla epidemia di AIDS negli anni ’90. Spesso senza aver raggiunto quegli appena 48 anni dello stesso Milk.

E in fondo, anche in questo triste dato anagrafico si può capire il dramma di due generazioni.

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