Ho sempre pensato che un vero ricercatore è colui che scava nel “non detto”, avvalendosi di un pizzico di rettitudine intellettuale, buona etica e profonda passione. Antonina Nocera è dentro questo spazio! Lo dimostra il suo tentativo, arduo e ben riuscito, di accostare due figure della letteratura apparentemente distanti: Dostoevskij e Sciascia.
Ho già avuto modo di discutere, proprio all’interno di questa rubrica, a proposito di una monografia di Nocera. Si trattava di un volume che concludeva la sua prima ricerca su Dostoevskij, in cui emergeva ad esempio l’acuta raffigurazione del “Cristo-bambino” in merito a uno dei grandi protagonisti dei romanzi dostoevskiani: il principe Myskin. Ho aperto questa parentesi perché ciò che ho notato da subito, leggendo il suo nuovo studio, è la differenza di scrittura: nella prima opera, Angeli Sigillati: i bambini e la sofferenza nell’opera di F. Dostoevskij, si rivelava comprensibilmente più tesa e magari molto attenta alle voci variegate della critica; nella nuova, invece, si riscontra una calma stilistica e contenutistica, che sussume in sé la tensione di chi insegue la pace dopo la consueta burrasca degli interrogativi intellettuali ed esistenziali, e già questo dovrebbe indurre i curiosi ad affacciarsi senza riserve alla lettura di Metafisica del Sottosuolo (Divergenze, 2020).
In questo piccolo e agile testo, Nocera fa interloquire con scrupolo filologico i due eminenti artisti della penna entro le dinamiche del romanzo poliziesco, ove la colpa, il delitto, il peccato, il castigo, la banale serietà del male condensano il sostrato in virtù del quale lo scrittore russo e quello siciliano si scambiano indizi di vita interiore nel buio che alimenta la trama nichilistica del diciannovesimo e ventesimo secolo.
In particolare, l’autrice analizza Il contesto di Sciascia e I fratelli Karamazov di Dostoevskij, con qualche intelligente incursione in Delitto e Castigo.
Non entro mai troppo nel merito di ciò che invito a leggere, e non lo farò neppure questa volta. Vorrei però un attimo concentrarmi su una affermazione, che riporto testuale, per poi cercare di rievocare la dimensione della fede in entrambi gli scrittori.
Nocera scrive: “Se il misticismo dostoevskiano, la metafisica e il suo profondo afflato emergono in tutta la loro potenza, in Sciascia sembra che questo percorso sia affrontabile solo facendo appello a un nichilismo parodizzato, mancando certamente l’appiglio religioso che, nell’autore russo, era nutrito sì nel crogiuolo del dubbio, ma anche da una piena accettazione del messaggio cristiano”.
Dalle opere del Dostoevskij maturo trapela, in effetti, un’evidente attenzione verso il mistero della croce. La sua vocazione ortodossa lo spinge a buttarsi dentro lo sguardo di Cristo in esplicita contrapposizione alla via cattolica e romana che, a suo dire, si sarebbe un po’ addormentata entro il tessuto della società borghese, moderna, industriale, capitalistica e di riflesso relativistica. Il genio russo, com’è noto, premia ad oltranza il “vuoto” che sgorga dal suono della croce, il granello che sfiora il confine tra cielo e terra, fra trascendenza e immanenza. In un certo senso, la sua fede è trascendenza pura, ma rinnovata grazie a un peculiare approfondimento del suolo e sottosuolo che potrebbero dimorare nel cuore di ogni essere venuto alla terra. Dostoevskij non ha tempo per le sovrastrutture di vario accento e per le finte capriole dell’estrinseco, ma solo per la carne e le ossa di un uomo che liberamente può incontrare Cristo e così avverte il respiro dell’eterno; mentre se lo rifiuta, rischia di sprofondare in una lunga notte governata dalle molteplici maschere dell’Übermensch.
Anche in Sciascia, però, irrompe in qualche modo la trama della fede, seppur di una fede particolare, segreta, forse un po’ controllata. Di certo, nello scrittore siciliano è assente un’adesione al cristianesimo in una chiave trascendentale o dogmatica; inoltre, il tema dostoevskiano della libertà cristiana e spirituale con la sua cornice escatologica, manca nel grande dubbio di Sciascia. Ma il suo amore per i paragrafi evangelici, il suo essere “profondamente cristiano nell’anima”, come tra l’altro rivela la figlia Anna Maria in un’intervista su Famiglia Cristiana, la sua protesta contro un cattolicesimo fenomenico e “pagano” che avrebbe oscurato il linguaggio dell’amore, la sua ribellione interiore contro un ordine formalizzato che ferisce i nobili propositi di chi sfugge alle regole burocratiche per un istante (infinito) di verità, questi aspetti, a mio avviso, sarebbero senz’altro piaciuti al suo “non tanto amato” Dostoevskij.