Roma non è solo una grande città, nota in tutto il mondo per le sue bellezze architettoniche e per la sua storia plurisecolare. No.
Roma è anche una grande passione, fonte di ispirazione e di orgoglio continuo per tutti coloro che ci sono nati, che ci abitano e che la amano, e fonte di sofferenza nel vederla in lento e costante declino e degrado.
E tra tutti gli abitanti di Roma, oggi abbiamo deciso di intervistarne uno che questi pensieri li ha dentro di sé fin nel midollo. Una persona che pensando a Roma si riconosce nella famosa frase dello studioso cittadino Silvio Nigro, per il quale per “Roma, non basta una vita. Roma è troppo, o forse Roma è troppa”.
Lui è Carlo Iannone, 58 anni, cresciuto in zona Nomentana con la passione per la storia, i viaggi in Italia e all’estero, la musica classica e… ça va sans dire, Roma. Con una Laurea in Economia, oggi Carlo è manager di una grande impresa italiana del settore della consulenza e dell’informatizzazione per la quale gestisce importanti progetti di innovazione per la PA.
Con una splendida figlia e un matrimonio alle spalle, Iannone si riconosce nei valori europeisti, liberali, popolari e socialdemocratici, aderendo nel 2021 alla carta dei valori dell’Associazione Dream, e scegliendo di presentarsi come candidato per il Comune di Roma alle prossime elezioni di ottobre. Carlo vorrebbe riuscire a far diventare Roma un luogo migliore, con il sogno di vederla, un giorno, nel ruolo di capitale dell’Europa unita.
Ma andiamo a sentire direttamente dalla sua voce quelle che sono le sue idee, le sue tesi e come intende metterle in pratica.
Si parla spesso, da molti anni, di dare a Roma poteri e risorse adeguate. Quanto giudichi importante questo tema?
È un tema decisivo. Quasi tutte le città capitali nel mondo hanno finanziamenti ad hoc e un ordinamento speciale, sia pure con formule legislative e amministrative diverse. E la ragione è ovvia: la città capitale rappresenta il paese intero, ospita importanti funzioni direzionali ed economiche, sopporta oneri aggiuntivi rispetto alle altre città. Roma rappresenta una anomalia in questo panorama e le ragioni, in questo caso, sono meno evidenti: siamo un Paese policentrico e poco coeso, vi è una certa diffidenza verso un rafforzamento del ruolo di Roma in una parte delle classi dirigenti del paese. Questo succede soprattutto del nord, dove la politica nazionale non ha compreso che la nuova “questione romana” – così la chiama giustamente Walter Tocci in un suo recente libro – è questione nazionale, che dovrebbe interessare tutti gli italiani.
Si contano, in realtà, diversi tentativi di affrontarla, tutti naufragati, quando non si sono conclusi con compromessi al ribasso: è il caso della riforma del 2010, il cui risultato più evidente, per non dire l’unico, è stato rinominare il Consiglio comunale in “Assemblea Capitolina” e il Comune di Roma in “Ente territoriale Roma Capitale”. Tutta forma e niente sostanza. Chi promosse quella riforma, del resto, era Umberto Bossi, e questo spiega molte cose. La “questione romana” è stata spesso elusa o tradita dalla politica nazionale, nonostante i nobili intenti dei padri del Risorgimento (basterebbe rileggere i discorsi su Roma del piemontesissimo Cavour) e la Costituzione repubblicana, che prevede all’articolo 114 un ordinamento speciale per la città. Unica eccezione è stata il ventennio fascista, ma è eccezione che conferma la regola, visto che lo status speciale di Roma è stato immediatamente accantonato nel dopoguerra nell’intento di cambiare radicalmente pagina rispetto agli anni di dittatura e di guerra.
Ora sembra che le cose si muovano di nuovo nella direzione giusta, e speriamo che sia la volta buona. Roma è, oggi, un comune uguale agli altri 8.000 comuni italiani, ha le mani legate da un bilancio che, pur valendo il 10% di tutti i bilanci dei comuni italiani messi insieme, serve soprattutto per pagare stipendi e i debiti accumulati. Per materie importantissime dipende dalle decisioni della Regione Lazio, come l’ultimo piccolo comune di montagna e non dispone praticamente di nessun finanziamento ad hoc. I confronti con Parigi, Londra e Berlino, a cui i rispettivi governi destinano regolarmente miliardi di euro per investimenti e infrastrutture, sono imbarazzanti ed umilianti. Addirittura, Roma riceve meno finanziamenti ordinari pro-capite dallo Stato di altri importanti comuni italiani come Napoli e Milano.
Questa situazione ha avuto ed ha un impatto molto concreto sulla vivibilità della città e spiega, almeno parzialmente, perché Roma difetta di infrastrutture e di trasporti all’altezza e ha sofferto di un certo declino economico e sociale. Il nuovo sindaco e la nuova amministrazione devono porsi come interlocutori privilegiati del Governo e del Parlamento sulla “questione romana”, facendo proposte e operando una pressione forte e decisa, sbattendo i pugni sul tavolo, se serve. Gualtieri è persona qualificata ed autorevole per questo ruolo, ed è fondamentale che nella sua squadra ci siano risorse competenti e preparate dal punto di vista amministrativo.
Occorre puntare anche sul ruolo internazionale di Roma? E se sì, come?
Roma ha una naturale vocazione internazionale. È una della città più note al mondo, carica di simboli, con un patrimonio storico e artistico senza pari. Pochissime città al mondo, forse nessuna, sono state per così tanto tempo “al centro della storia” come Roma. Atene, ad esempio, lo è stata 2500 anni fa e per alcuni secoli. Parigi e Londra lo sono state dal medioevo in poi, così come, in oriente, Pechino. New York lo è stata dal XIX secolo.
Questa naturale vocazione internazionale va sviluppata e coltivata con forza dalla nuova amministrazione. Gualtieri, con la sua esperienza internazionale, è certamente in grado di farlo. Anche questo, come quello delle riforme, è un tema con riflessi molto concreti per i cittadini in termini di nuovi posti di lavoro, infrastrutture, vivacità culturale e sociale della città. Ci sono diversi modi per perseguire la vocazione internazionale della città:
- Grandi eventi. Sono convinto che la rinuncia alle Olimpiadi 2024 da parte di questa amministrazione sia stata un gravissimo errore, che ha tolto opportunità e ha fatto danni enormi, anche di immagine, in cambio del nulla che abbiamo visto in questi 5 anni. Non è più il tempo degli eventi faraonici e di spese folli, ma Roma si dovrebbe candidare sempre per ospitare futuri eventi internazionali, sportivi, artistici (evitando altre figuracce come quella dell’esclusione dalla prossima edizione dell’eurovisione) e di business, nell’ottica della sostenibilità.
- Promuovere Roma come sede di istituzioni internazionali. Roma avrebbe tutti i requisiti per essere la capitale della nuova Unione europea. Qui, oltre che in Grecia, sono le radici culturali e storiche dell’Europa, qui è nata nel dopoguerra la Comunità Europea. A Roma c’è una importante agenzia ONU, ci sono già due corpi diplomatici, essendoci le rappresentanze presso la Santa Sede. Mi rendo conto, naturalmente, che Bruxelles è un punto di equilibrio e di “neutralità” fra i principali paesi europei e che sono decenni che ospita le principali istituzioni europee, ma Roma potrebbe e dovrebbe almeno essere candidata ad ospitarne alcune. Incomprensibile, per me, l’appoggio incondizionato dato di recente a Milano quale sede di importanti agenzie europee ignorando del tutto Roma. Ma la colpa, purtroppo, è anche della debolezza e dell’inadeguatezza del sindaco uscente.
- Turismo internazionale di qualità, per fare di Roma una metà privilegiata come lo era alcuni decenni fa. Questo obiettivo si persegue insieme agli altri, migliorando infrastrutture, servizi e l’offerta culturale della città, ad oggi molto decaduta.
Oltre a puntare sulle riforme e sulla vocazione internazionale, come si contrasta il declino economico della città?
Pur non avendo una vocazione industriale in senso tradizionale, né da capitale della finanza, Roma deve restare un centro economico vitale e attrattivo. Ne ha tutte le potenzialità. Va fermata la fuga di giovani talenti, di banche e importanti sedi di aziende. La città deve reagire con fermezza quando si parla di spostamento della Rai o di sedi istituzionali o di altri centri economici a Milano o altrove. Addirittura, per anni si è paventato un insensato spostamento dei ministeri. Invece, occorre lavorare per invertire totalmente questa tendenza. Ho la fortuna di lavorare per una grande impresa italiana che ha a Roma la sede principale, che ha migliaia di dipendenti nel mondo e che è partner di riferimento di importanti enti e amministrazioni pubbliche in progetti di innovazione digitale. Roma deve proteggere le sue eccellenze, nell’informatica, nella chimica, nella farmaceutica, nella ricerca, nell’industria dell’audiovisivo, sfruttando la sua centralità geografica, il suo eccellente aeroporto internazionale.
In concreto, occorrono iniziative di attrazione degli investimenti produttivi e una forte azione di promozione della città. Per questo serve un sindaco preparato ed autorevole, certo, ma sono convinto che serva anche una struttura permanente (un’agenzia, ma non necessariamente) fatta di professionisti, esperti di amministrazione e della realtà economica e produttiva della capitale che si occupi di questo a tempo pieno. Nel programma di Gualtieri c’è questa proposta e, qualora dovesse diventare realtà, mi piacerebbe contribuire personalmente. Concludo sottolineando che il tema è comunque legato a filo doppio agli altri due di cui ho parlato. Se Roma acquisisce poteri e risorse analoghi a quelli delle altre grandi capitali, se sfrutta la propria vocazione internazionale, conseguentemente diventerà una città più attrezzata, moderna, più vivibile, più stimolante, e sarà naturalmente più attrattiva per le imprese. Saranno cioè le imprese e le realtà produttive a venire da sole qui.
Mi si lasci inoltre dire che questa città merita molto di più, e va governata con grande coraggio, con competenza, passione e ambizione.
E questa è una cosa di cui ci auguriamo un po’ tutti quanti insieme a Carlo Iannone, la città di Roma ne avrebbe davvero bisogno per un suo completo rilancio!
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