Possiamo distinguere quattro fasi del populismo: attacco, corsa, conquista, sovvertimento.
Nella prima fase (attacco) il populismo prende di mira il sistema e le istituzioni costituite con l’obiettivo di screditarli. Teorie del complotto, false notizie, toni infuocati, diffamazione e denigrazione della classe dirigente al potere. Con l’attacco si prepara il campo alla corsa.
Nella seconda fase (corsa) il populismo scende nell’agone e concorre alle elezioni forte del terreno preparato con l’attacco e della polarizzazione creata nell’elettorato. Gli elettori e le forze politiche al potere sono disorientati perché nella fase di attacco il populismo ha rivoluzionato gli schemi, il linguaggio e i posizionamenti, imponendo all’opinione pubblica temi esagerati e sballati rispetto al dibattito comune. Gli schieramenti politici ordinari vengono superati nella testa dell’elettore e nella polarizzazione che ne consegue il populismo trova voti che sono solo suoi, che non sono contendibili.
Nella terza fase (conquista) il populismo entra nelle stanze dei bottoni e posiziona uomini di fiducia nei settori chiave dell’apparato amministrativo. Lo abbiamo visto in Italia con il primo Governo Conte, da più parti definito – non a torto – il primo governo populista di un Paese membro.
Nell’ultima fase (sovvertimento) il populismo si infiltra nel potere giudiziario. La separazione dei poteri viene compromessa e comincia lo stato di eccezione: le massime regole costituite (a cominciare da quelle costituzionali) vengono rovesciate o derogate. Cadono i vincoli intrinseci all’esercizio del potere (la rule of law), il diritto di proprietà assume contorni più sfumati, perde di significato la tutela delle minoranze e la maggioranza coartata dalla nuova classe dirigente diventa la finta giustificazione democratica di ogni misura. Nell’atto finale del sovvertimento la nuova classe dirigente inizia a vivere sopra la legge e sopra tutto e tutti. È quanto accade in Venezuela e quanto sta cominciando ad accadere in Polonia.
In Italia deve far riflettere il recente caso di Sara Cunial, la deputata veneta novax, che, con la complicità di un collegio giudicante di favore presieduto dal compagno di partito Andrea Colletti, è riuscita a farsi ammettere in Parlamento anche senza greenpass.
La motivazione di Colletti (che in quel momento rappresentava l’istituzione parlamentare) deve far riflettere in modo particolare: “Non si può non permettere a un parlamentare di rappresentare tutta una parte di elettorato per una motivazione che non ha un carattere chiaramente sanitario”.
Due i concetti espressi con queste parole:
– per dare rappresentanza a chi la pensa in un certo modo (i novax e no greenpass) la rappresentante Sara Cunial deve poter comportarsi alla stessa maniera;
– il green pass non è una misura efficace da punto di vista sanitario.
Mi interessa di più il primo concetto. Si tratta non solo della celebrazione della democrazia diretta e dell’inutilità della intermediazione (se il rappresentante può e deve essere come il rappresentato, la rappresentanza non ha più senso). Si tratta anche di un atto tipico dell’ultimo stadio del populismo. La casta che si fa supercasta e che si permette di vivere sopra le regole.
Fuori dal parlamento i cittadini devono osservare la legge. In parlamento possono fregarsene.
Non un messaggio edificante.