Tira aria di “rave party” alquanto allegro ma piuttosto lungo di molta politica, totalmente estraniata dalla realtà. E se i governi di unità nazionale dovrebbero essere concepiti per essere di tutti (come avviene in qualche modo con le grandi coalizioni alla tedesca) da noi invece diventano governi di nessuno.
Come per Mario Monti, un altro Mario (Draghi) sta vivendo quella solitudine dei numeri primi, un primus sine paribus in totale (forse infelice) isolamento a lavorare sui dossier più controversi. Parafrasando uno spot degli anni ‘90, i partiti dell’alleanza sono un buco ma con il vuoto intorno, i loro leader figure di lato, ombre grigie, poco pronti a capire la duplice occasione d’oro offertagli dalla storia, ovvero da una parte riconnettersi con i cittadini chiamandoli a partecipare, ciascuno secondo le proprie sensibilità, alla costruzione di una piattaforma programmatica per il futuro; e dall’altra mettere a terra concretamente quelle riforme strutturali sfruttando il piano di ripresa e resilienza (PNRR) finanziato dall’UE. Un fondo, definito da chi lo ha compilato come magnifico e di cui ci si riempie la bocca salvo poi dimenticare che se malauguratamente quei soldi non si spendono, semplicemente salta per aria la ripresa del sistema. Bla bla bla insomma.
Il contesto è comunque di “alienazione”, di scollamento sociale. Vediamo un pezzo di paese ( piccolo ma rumoroso ed in cerca di visibilità) che sta ostinatamente fuori dalle regole e dal buonsenso, che ha elaborato una sorta di sindrome della diserzione di cittadinanza attiva, che ha cementato un atteggiamento di opposizione alla lotta contro il Covid inventando dittature inesistenti, teorie scientifico-strampalate prive di evidenze, dati e analisi. Ma questo è l’effetto collaterale non secondario di una fuga della politica che per mesi si è detta e contraddetta anzichè marciare, per una volta tanto, unita contro la pandemia.
Conseguentemente, Tra chi governa e il paese non esiste una via di mezzo, una camera di decompressione, uno spazio di discernimento critico attraverso un dibattito tra i partiti capace di ascoltare la frustrazione traghettarla in mediazione possibile.
E’ come essere stati trasportati – senza intervallo – da un estremo all’altro: dalla cura della paura chiusi a lucchetto durante il lockdown alla paura della cura (prof. Locatelli) proprio adesso che non solo abbiamo i vaccini ma si può pensare ad un ritorno ragionato alla vita sociale. In entrambe le situazioni, estreme appunto, un pezzo di paese è rimasto nel suo atteggiamento passivo, convinto che fossimo dentro un reality. Un errore non aver fatto i conti con un pezzo d’talia – diciamocelo – egoista e cialtrona, quella dei click day per arraffare un bonus e poi menefreghista quando c’è da mettere in comune una quota di rischio per l’interesse generale. Questo pezzo di paese ha beneficiato, già prima del covid, del protettorato di una politica che tutto sommato alla fine dava piccole rendite di posizione per poi non rendere conto del dopo. Questa stessa porzione di paese si è trovata davanti a leader modesti, sprovvisti soprattutto di pensieri a medio e lungo termine. Adesso però i nodi vengono al pettine.
Le domande cruciali ci stanno davanti e non vediamo risposte sufficienti da nessuna partito di “peso”: nel campo dei giallorossi i cinquestelle sono fermi alla segreteria Conte (poca roba) mentre nel Pd ancora volano gli stracci dopo l’harakiri sul Ddl Zan. Vorrebbero farci credere che la colpa sia di Renzi (che certamente non è una vestale) ma, numeri alla mano, di diversamente renziani ancora ne hanno da trovare. La questione di fondo è ben altra ovvero l’assenza di una sintesi (forse impossibile) tra Conte e Letta, due debolezze che se si sommano ne creano una ancora maggiore. Nel centrodestra, a parte l’ovvia narrazione sull’antagonismo Giorgetti vs Salvini (ci voleva il libro di Vespa a dircelo? ), il problema è sistemico visto che dopo tre decenni di berlusconismo, l’unico candidato di quel campo rimane solo Berlusconi. La buttano sul fantasioso semi presidenzialismo de facto ma sappiamo che una cosa se non esiste de iure semplicemente non si dà. C’è tutto un mondo di conservatori democratici che ancora aspetta un centrodestra de-berlusconizzato ma dobbiamo aspettare il quarto millennio affinché ci si metta mano e quindi rassegniamoci al festival della mediocrità con tanti saluti al riformismo serio e autentico che serve al paese.
Quindi torniamo al rave party, ai partiti festanti che non hanno intenzione di lasciare il paese dei balocchi (il loro) storditi dai loro fallimenti e dai disastri di questi anni causati al paese reale (il nostro). Pensano ancora con categorie vecchie, con piccole rendite di posizione sulle pensioni (lega), su sussidi più redditizi degli stipendi (M5S), sulle mancate riforme degli ammortizzatori sociali (Pd), sul sostegno strutturale e non a pioggia al tessuto imprenditoriale (Forza Italia), senza una proposta seria su giovani, istruzione e ricerca, valore al merito, lotta agli sprechi. Nel mentre i salari restano bassi, le tasse non si tagliano equamente e l’evasione fiscale galoppa ai limiti dell’insopportabile. Poi però si dirà, fra qualche mese, che il demerito è di Draghi?
Bisognerebbe a mio avviso sbaraccare questa Woodstock dell’incoscienza e dell’inavvertenza in forza dell’urgente appello sapienziale a fare in fretta poiché, c’è un tempo per sradicare e un tempo per piantare.