Secondo quanto si legge nell’ultimo report condotto dal centro studi itinerariprevidenziali.it, oltre la metà delle famiglie italiane (il 57%) dichiara (per il 2020) un reddito medio di 10 mila euro lordi l’anno. Sì avete sentito bene: metà della popolazione “dichiara” di stare dentro le due fasce di reddito (quella 0-7.500 e 7.500-15.000), il che vuol dire che paga solo il 2,31% di tutta l’Irpef, circa 4 miliardi a fronte, però, della ricezione di tutti i servizi di welfare pagati dal resto della comunità (solo il servizio sanitario costa al sistema 50,4 miliardi di euro); per non parlare di tutti gli altri servizi forniti da Stato, regioni, comuni, comunità montane, e via dicendo.
Anche un non-economista (ovvero io) capisce che qualcosa non quadra se pensiamo che a questi primi sconcertanti dati se ne accostano altri ma di tendenza opposta. Facciamo qualche esempio emblematico: l’agenzia dei monopoli (ADM) certifica un flusso di denaro di circa 125 miliardi sul gioco legale (gratta e vinci, lotterie, scommesse etc), un volume di risorse superiore alla spesa sanitaria. E secondo i dati Aci, il parco circolante in Italia nel 2019 è di 52.401.299 unità, composto da 39.545.232 auto. Solo il Lussemburgo ha più macchine di noi nella Ue anche se il 56% delle vetture nel nostro Paese ha tra 5 e 20 anni di anzianità che costano in manutenzione più del nuovo (rispetto all’anno precedente si registra un aumento dell’1,4%). Ci sarebbero anche 6.896.048 motocicli e 5.775.006 veicoli commerciali e industriali. Non male per un popolo di poveri no?
Che il nostro fosse un paese bipolare lo sapevamo da tempi pre-pandemici ma va chiarito che non intendo scomodare categorie politiche e partitiche ma – molto più terra terra – sto pensando all’etica fiscale collettiva. Vogliamo tutto dallo Stato ma non diamo quasi nulla in cambio, continuiamo ad essere spettatori passivi di un sistema già al collasso ma solamente non vogliamo rendercene conto. Ci piace arrovellarci infatti sul cielo stellato della politica sopra di noi (la sinistra, la destra, i centri etc.) ma di possedere una legge “civica” dentro di noi neanche a parlarne. Di conseguenza, si finisce per fare a parole i riformisti ma a farlo (nei fatti) il di-dietro degli altri.
Ne è prova il dibattito avvilente sull’ultima finanziaria con la maggioranza che si azzuffa sul tesoretto di 8 miliardi senza uno straccio di progetto strutturale e a medio-lungo termine. la Lega vuole togliere l’Iva sui «beni essenziali», i 5 Stelle vogliono allargare la platea dei beneficiari della «flat tax» al 15%, il Pd propone di ridurre le tasse sui ceti-medio bassi, Forza Italia e anche la Lega chiedono di cancellare l’Irap. Tutte ricette che garantiscono un consenso istantaneo, producono un applauso ma non rispondono ad un quesito cruciale: chi paga il welfare in questo paese quando c’è da pagare?
Siamo socialmente ed economicamente immobili, bloccati: basti pensare che la pressione fiscale nel 1999 era del 41,1 ed oggi sta al 41,9 (quindi ferma al palo) mentre l’evasione-elusione cosiddetta “bianca” (al netto cioè dei denari prodotti dalle mafie) è sempre cresciuta fino alla cifra mostruosa di 110 miliardi. Una montagna di risorse sottratte alle future generazioni, equamente divisa in grande evasione e piccola. Per i grandi che fuggono all’estero si aprono le inchieste della magistratura ma per i piccoli i controlli sono a macchia di leopardo e i dati del monitoraggio non dialogano fra di loro. In questo gioco dei “tre server” i furbi gongolano e la collettività piange miseria.
Uno scandalo che non può andare avanti così e – tornando alla manovra di fine 2021 – ci piacerebbe uno scatto riformista da parte del governo che eviti lo spreco inutile di un taglio a pioggia del tesoretto senza incidere sulla leva della crescita.
L’assegno unico ai figli che riordina le detrazioni (partirà a marzo 2022) è già un passo positivo ma la questione delle aliquote (soprattutto l’irrisolto scalone 27-38% ) è un punto su cui dare risposte. Se non si ricostruisce un nuovo paradigma basato da una parte su una spesa socialmente sostenibile (che lo stesso Draghi ama chiamare “debito buono”) e dall’altra parte con il diritto al contrasto delle furberie di tutti i tipi, fenomeni che come la zizzania crescono più del grano e che mortificano gli sforzi fiscali dei pochi contribuenti rimasti a pagare per tutti gli altri.
L’egoismo fiscale – ricordiamolo – ha sempre un costo e le vittime sociali del “poco e subito” sono sempre i giovani lasciati indisturbati a smanettare il loro smartphone sulle ultime tendenze dei loro influencers.
E domani?