Carissimo Orazio,
Immagina potessimo partire con la macchina, in un viaggio attraverso tutti i paesi, in un mondo senza frontiere, pass, zone gialle, rosse, bianche, verdi. Un mondo pieno di ponti e traghetti pronti a portarci ovunque ci sia un luogo in cui approdare, un pianeta non diviso in esagoni, zone, o reso pixel, senza colori che indichino, in maniera statistica, ma realistica, la probabilita’ di diventare vascelli di virus, prodotti in laboratorio o dalla grande sfida di ritorno della Natura a tutto quello che le abbiamo fatto. Una Natura, od un Mondo, che scopriamo appena appena passivo/aggressivo.
E ci prepareremmo al grande viaggio con accortezza, visto che staremmo appena uscendo da due anni di fragilita’ agli arti ed al cuore. Due anni di silenzio, o caos multidirezionale, di isolamento, con frenesie placate appena quanto basta per non sbarellare, la corsa sugli argini dei fiumi, sulle spiaggie, la sciata clandestina e gli esercizi di respirazione improvvisati, una specie di mindfulness imparata su Tik-Tok, sul terrazzo di casa o nei lembi di giardino.
Ti devo svelare, pero’, che sono anni che, quando parto, cerco di avere tutto a posto, non solo il pieno di benzina, le gomme giuste (che poi solo Iddio sa perche’ le gomme di neve siano necessarie solo a nord di Valdarno, come se nel nostro Meridione non nevicasse mai e non ci fossero le cime piu’ alte degli Appennini e il vulcano piu’ alto d’Europa).
Non chiamo l’ACI, come il Furio di Carlo Verdone, che non so se esiste ancora il numero verde dell’ACI. Anzi, ne sappiamo molto di piu’ delle direzioni e forza dei venti. Ma, prima di ogni partenza da un punto della distribuzione in cui sono oggi, controllo le possibili direzioni e vie per arrivare a destinazione. Come se ogni partenza dovesse essere una esplorazione del territorio, un tentativo di mappare l’attorno a me, piuttosto che giungere. Come ogni decollo, in cui cerco dall’alto luoghi visibili, piscine, monumenti, fiumi e grandi palazzi, immaginando che li visitero’. Pur sapendo che non ne avro’ mai il tempo. Se non quello in cui immaginarmi a nuotare in un mare azzurro appena intravisto dall’oblo’. O “le luci nel buio di case intraviste dal treno” e dalla macchina.
Non perche’ non ci sia una meta, ma perche’ sono partito decenni fa e non arrivero’ mai. Dato che l’assunto, caro Orazio, é che sono sempre in casa, il mio viaggio una trasmigrazione fra vari luoghi che sono della stessa materia cosmica di cui sono fatto io. Non si parte, si evolve, ci si trasforma, si diventa. E la sorpresa e il clamore, e lo stupore di diventare altro a se’ quel sentimento che si solidifica e si cementa solo nel muoversi. Come se solo nel movimento, nell’essere altrove permetta al cambiamento di sedimentarsi. Temporaneamente.
Ma questo non impedisce che, prima e durante il viaggio, non sia sempre accorto, a come si muove il traffico, a come la luce del Sole colpisca i miei occhi o a fare in modo che il parabrezza non si offuschi di brina o vapori. Mi muovo, viaggio, osservando gli altri, le macchine che svirgolano fra le corsie, i camion, cominciando a distinguere come si muovono e sballottano, a seconda che siano pieni o vuoti. E sto sempre pronto alle emergenze, a lasciare la macchina, sapendo bene dove siano portafoglio e cellulare. E come fare in modo di evacuare la macchina se ci fosse uno sportello impossibile da aprire. Chi chiamare, cosa fare. Non perche’ sia una forma di ansia, ma di controllo, leggero, nel momento in cui, in un viaggio, ci si abbandona all’altro, al destino comune. Le strade sono il luogo dove diventiamo societa’, dove diventiamo fluire e scambio, permanenza nel poter esserci ora qui e domani altrove. Che Adamo ed Eva, fuori dal giardino, dovettero costruire un sentiero, e le strade sono la base di tutto il nostro sentirsi di appartenere, a nodi focali, a luoghi mitici, alle nostre Rome personali, dove tutte le strade un giorno porteranno. O, forse, la strada é l’unico posto che esiste. Come sapevano i nativi australiani che percorrevano i territori cantando le storie di ogni luogo, le leggende archetipiche, di fuoco, vento, acqua, sole e desiderio.
Quindi, partiremo, sapendo di avere in testa un contingency plan, un piano C, o D, alternative e spazi in cui rifugiarsi. Accortezze da tenere. E, anche se tutto il mondo diventasse bianco, avremo da parte delle maschere e del gel, saremo prudenti, vero Orazio? Perche’, se una cosa la abbiamo imparata in questi due anni, é di aver ripreso a rispettare noi stessi e gli altri, per paura di contagiarli. E, diciamocelo, di contagiarci noi stessi. Abbiamo imparato ad essere pronti a tutto, che quando si viaggia puo’ essere tutto a servirci, acqua, un bagno, del cibo, del calore. Un abbraccio. Gel e mascherine, che troveremo fra anni nei nostri cassetti, sperando di riderci sopra a questi anni pieni di ansia e di incertezza. E di rispetto degli altri, vorresti aggiungere, mentre esaminiamo lo spazio in macchina per le valigie.
Perche’, qualunque sia la bellezza che ci aspetta, qualunque possa essere la forza del vento a Caianello, qualunque possa essere la coda al Brennero, o nei dintorni di Marsiglia, carissimo Orazio, dobbiamo partire pronti. Avere da parte quella riserva mentale che ci permetta di rispondere al 99 per cento degli scenari avversi ed immaginarci, purtroppo, che quella coda della, distribuzione della malaventura, sia ingrossata, a causa del malessere sociale, della incapacita’ di pianificare le emergenze che magari non accadono, ma se dovessero accadere, oh beh. Saremo/Saremmo pronti.
Poi, si parte uguale. Non ti preoccupare. Si parte e si prova a nascondere quella incertezza densa come una melassa di paure ancestrali dentro al lato oscuro delle emozioni. Un pungolo a ritornare sulla strada, anche breve, per quel momento in cui, prima di arrivare nel luogo dove tutte le strade arrivano nella Gerusalemme/Roma/Aggiungi Luogo Celeste, o nel vuoto dei raggi cosmici quando il pianeta esplodera’ con tutte le nostre ceneri e le microplastiche degli oceani, in un kaboom che avrebbe entusiasmato Marinetti. O Blixa Bargeld, quel momento in cui prenderemo una macchina od un treno per attraversare le frontiere con un bel sorriso solare ed ebete di chi riesce a stupirsi con poco.
SOUNDTRACK – If I could see the world, Trey Anastasio