Il Sindaco della Spezia ha costretto Antonio Rezza a censurarsi per salvare il suo spettacolo. Ma i precedenti blasfemi in letteratura sono numerosi – da Joyce a Freud, passando per Umberto Eco e Oriana Fallaci, a cui l’amministrazione spezzina ha pure intitolato una via.
di Filippo Lubrano
Lo scorso fine settimana il pubblico della Spezia ha potuto assistere, con un ritardo più che decennale rispetto alla sua prima, allo spettacolo di Antonio Rezza, “7 14 21 28”.
Nel copione della pièce, a un certo punto Rezza impersona un operaio metalmeccanico schiacciato dalla routine del suo lavoro, e bestemmia. Per più di 10 anni, Rezza ha quindi liberamente bestemmiato nei teatri di tutta Italia. Tutti, tranne il Teatro Civico della Spezia. Quando l’ha fatto per la prima volta, infatti, nel primo spettacolo andato in scena venerdì scorso, tra il pubblico era seduto anche un vescovo. Che non ha gradito la blasfemia, e ha portato le sue rimostranze al primo cittadino. Il quale non ha perso un attimo per rilasciare un’intervista a Teleliguria Sud, emittente della chiesa locale, condannando il gesto, esigendo che non si verificasse nuovamente e “riservandosi comunque di tutelare nelle sedi opportune la dignità della città”.
Nelle due repliche dei giorni successivi, inclusa quella a cui ho assistito, Rezza ha quindi censurato il suo spettacolo, “per rispetto vostro, del pubblico, per scelta mia, non perché qualcuno me l’ha imposto”, fermandosi e rompendo per un attimo la quarta parete per spiegare la gravità di quella minaccia, “qualcosa che in 35 anni di carriera non mi era mai successo”.
Ora, mi rendo conto che rivendicare nel XXI secolo il diritto di un artista a bestemmiare in pubblico su un palco non sia esattamente un atto punk, nemmeno rock, e probabilmente nemmeno livello Ricchi e Poveri.
Il punto qui semmai è un altro: era noto a tutti che quello spettacolo includesse una bestemmia. Chi non ne fosse stato al corrente, poteva piuttosto facilmente verificarlo: la bestemmia è udibile per intero anche su YouTube. Il caso di Rezza non è assimilabile a quello dei calciatori che sbagliano un calcio di rigore, o a quello di Giorgio Canali o dei Green Day. La sua bestemmia non è stata pronunciata per errore, o per frustrazione: chi ha comprato quello spettacolo, chi ha deciso di metterlo in cartellone, stava comprando (anche) quella bestemmia. Col benestare dell’amministrazione e, si immagina, quantomeno dell’assessore alla cultura locale – che, nella fattispecie, corrisponde col sindaco stesso, da quando qualche anno fa ha sollevato l’allora assessore per un affaire mai del tutto chiarito pubblicamente.
Insomma: difficile lamentarsi di un prodotto, se fa esattamente quello che dichiara sulla confezione.
Nella dimensione provinciale il dibattito però ha subito abbandonato il cuore della questione per scendere sul piano morale, ed è stato immediatamente percettibile sui social il barometro dei cittadini, che per lo più hanno difeso la presa di posizione del sindaco. Un fenomeno facilmente pronosticabile, perché d’altronde è quest’etica dell’ipocrisia che contraddistingue da sempre il nostro Bel Paese: così come la prostituzione è formalmente illegale ma si tollerano le vie dei vizi (che nella cittadina ligure, peraltro, è ubicata proprio nella stessa via dove ha sede il corpo della Polizia Municipale), passi che a bestemmiare il Signore e la Madonna sia l’Uomo Qualunque per strada, ma sul palco no, non si può legittimare una blasfemia simile, neanche in nome dell’arte.
Ed è qui che vale la pena chiedersi: già, ma in nome dell’arte, non l’abbiamo già tollerata / legittimata in precedenza?
La domanda è retorica, ma la mia conoscenza in materia era limitata, e ho ritenuto opportuno partire da alcuni sfocati ricordi per compilare una prima analisi (grazie Google Books), seppur non esaustiva, del caso.
Dato che la coerenza è la prima cosa che si chiede al mestiere della politica, ecco dunque un breve compendio di alcuni autori che hanno ricorso all’uso della bestemmia in letteratura:
- “Della Istoria e della indole di ogni filosofia” – Agatopisto Cromaziano (anno 1766): probabilmente la prima bestemmia – anzi, la prima sequela di bestemmie – mai comparsa in un libro da Gutenberg in avanti: in un passaggio del volume si legge infatti “Io sono dunque propenso a credere, che tra l’interna e l’esterna dottrina vi fosse d’ordinario poca o niuna congiunzione, e porto anzi ferma opinione, che i Sacerdoti e i Sapienti d’Egitto si facessero beffe del Dio Cane e del Dio Bue, come a Roma Catone e Cicerone rideano del Dio Peto e del Dio Stercuzio”.
- “Ulisse” – James Joyce: forse il caso più famoso a livello mondiale, in uno dei testi più influenti della letteratura di sempre: “Aveva un padre, quaranta padri. Non è mai esistito. Dio porco! Aveva due piedi sinistri. Era Judas Iacchia, un eunuco libico, il bastardo del papa. (Si china sulle zampe anteriori contorte, i rigidi gomiti piegati, l’occhio agonizzante sul collocranio piatto e guaisce al mondo muto.) Un figlio di puttana. Apocalisse”.
- “Tropico del Cancro” – Henry Miller: anche il grande scrittore americano fa ricorso alla blasfemia in un passaggio di quello che è considerato il suo capolavoro: “In ogni stanza c’è uno specchio dinanzi al quale egli sosta attento e mastica la sua rabbia, e da quel continuo mastichio, dal brontolio, dal borbottio, dal mormorio, dal porcoddio la mascella gli si sganascia e gli ciondola malamente, e quando si passa la mano sulla barba, crollano pezzi di mascella e lui ha un tale schifo di sé che pesta la mascella e la sfragna con i grossi tacchi”.
- “Casi clinici” – Sigmund Freud: il fondatore della psicologia moderna utilizza le bestemmie per riportare fedelmente e senza censura i pensieri dei pazienti (così come, analogamente, Rezza riporta il linguaggio dell’operaio): “Le due opposte correnti di sentimento, che avrebbero retto tutta la sua vita futura, si fondevano insieme in questo conflitto ambivalente sul problema religioso. Inoltre, questo scaturiva da questa lotta interiore sotto forma di sintomo (idee blasfeme, coazione a pensare “Dio-merda”, “Dio-porco”), costituiva dunque un vero e proprio prodotto di compromesso, come potremo confermare analizzando queste idee in rapporto all’erotismo anale”.
- “Il pendolo di Foucault” – Umberto Eco: uno degli autori più iconici del Novecento italiano bestemmia due volte in uno dei suoi libri più celebri: “E il cannoneggiamento sulle Cinque Dita? Dioboia se me lo ricordo. E quell’assalto alla baionetta alla vigilia di San Crispino? Diocane! Insomma, cose del genere. Poi, l’uno senza un braccio, l’altro senza una gamba, come un sol uomo avevano fatto un passo avanti e si erano abbracciati.“
- “Altri libertini” – Pier Vittorio Tondelli: non stupisce che uno degli scrittori italiani più provocatori del Novecento faccia spesso ricorso alla bestemmia: “Giusy controlla nella specchiera di fronte e vede il Bibo avvicinarsi. Si volta e l’altro lo raggiunge posandogli un braccio attorno alle spalle. “Cazzo Giusy, un’ora che aspetto ziocane. C’ho cinquanta carte, forza forza che scoppio.” Lo guarda attendendo la risposta. Giusy non fiata. “C’ho cinquanta carte porcodio, non farmele marcire… avanti, cazzo che aspetti?”
- “Tutte le poesie” – Pier Paolo Pasolini: anche qui, un nome che ci aspettavamo di trovare in questa lista. Il virgolettato qui è inequivocabile: “Porco dio, sì, porco dio / E PORCO DIO”.
- “Vogliamo tutto” – Nanni Balestrini: nel vocabolario proletario di uno dei massimi esponenti della poesia italiana del Novecento la bestemmia ricorre piuttosto di frequente, come in questo caso: “Allora scoprii l’importanza dei soldi e cominciai a chiedere più soldi a casa la domenica. Ma questi qua porco dio non me li potevano dare. Mi davano cento centocinquanta lire la settimana. Era già molto veramente non ce n’erano soldi in casa”.
- “Memorie di una ladra” – Dacia Maraini: La madame Premio Campiello non fa eccezione nel suo celebre romanzo, dove si legge: “Dice: vedremo cosa si può fare, per il momento rimani lì e rassegnati come vuole il Signore. Dico: il Signore non c’entra per niente, siete voi che lo volete! Porco Cristo, porca Madonna, comincio a bestemmiare a tutta bocca. Allora lei si alza, mi dà uno schiaffo sulle labbra e se ne va”.
- “Insciallah” – Oriana Fallaci: qui la bestemmia colpisce doppiamente, perché è coperta da una finta traduzione letterale dell’inglese “God dammit”, che si può tradurre più fedelmente e pacatamente con “Dannazione”, “maledizione” o al più, letteralmente “che tu sia maledetto da Dio”: “Help me! Get me out, help me! Aiutatemi, tiratemi fuori, aiutatemi!” “My legs! I lost my legs! Le mie gambe! Ho perso le mie gambe!” “Easy, easy! You’re hurting him, God dammit! Piano, piano! Gli fai male, porcoddio!”.
La presenza di Oriana Fallaci risulta particolarmente rilevante, non solo perché la scrittrice fiorentina da sempre riveste un ruolo particolare nel ristretto Pantheon delle intellettuali di destra, ma soprattutto dato che la stessa amministrazione spezzina le ha intitolato una via durante l’ultimo mandato. Dettaglio, questo, che all’epoca al Vescovo dev’essere sfuggito.
FILIPPO LUBRANO – Consulente di innovazione e internazionalizzazione (filippolubrano.it)