Ci risiamo. La democrazia parlamentare italiana è al terzo collasso istituzionale in 30 anni: 1992 dimissioni di Cossiga ed elezione di Scalfaro; 2013 mancate dimissioni di Napolitano e sua rielezione; 2022 parlamento balcanizzato e rielezione di Sergio Mattarella. Due rielezioni del Capo dello Stato consecutive. L’eccezione che diventa la regola. Bene ha fatto nei mesi scorsi il Presidente riconfermato a esprimere la sua contrarietà a questa ipotesi. E’ vero che la possibilità non è espressamente vietata ma è anche vero che non è nello spirito della Costituzione. La durata del mandato eccedente di due anni rispetto a quella della legislatura indica proprio un tempo lungo che deve considerarsi non replicabile. Ora, è come se avesse detto: “io vi ho portato fin qui, proseguite da soli”. Ma il sistema politico non si è dimostrato in grado di fare da solo. Come se vivesse una sorta di prolungato stato di minorità. E non è una novità. Questa infatti è la terza legislatura consecutiva che si chiude con un governo del Presidente: nel 2013 il governo Monti, nel 2018 il governo Gentiloni, nel 2022 -2023 il governo Draghi. Tutti e tre governi figli di rotture dei precedenti equilibri politici e frutto di una ricucitura del Capo dello Stato. Esiste di fatto una coincidenza tra la maggioranza che sostiene il capo dello stato e la maggioranza di governo, e infatti ad aver rieletto il Presidente è proprio quella “maggioranza senza formule politiche” che era stata chiamata in causa un anno fa dallo stesso Mattarella che, in definitiva, ne è il vero e proprio garante. Quindi non il “garante della Costituzione” ma il “garante della maggioranza parlamentare”, in un’altra parola: il capo. Ma anche questo non è nello spirito della Costituzione perché appunto quello che sulla carta doveva essere il garante della Costituzione è il garante di una maggioranza quindi di un certo indirizzo politico. Un avvitamento da cui occorre uscire presto e bene. Ma prima di capire la direzione bisogna capire come abbiamo fatto ad arrivare qui.
IL FALSO MITO DELLA FISARMONICA
Il Presidente della Repubblica italiana è, sulla carta, il Capo dello Stato più forte tra i suoi omologhi alla testa di democrazie parlamentari. Compie le consultazioni, nomina il governo che quindi entra in carica, seppure solamente per gli affari correnti, anche senza un voto favorevole del parlamento, nomina parte dei giudici costituzionali, presiede il CSM; presiede il Consiglio Supremo di Difesa, può mandare messaggi alle Camere. Mentre il potere di scioglimento, come possiamo vedere, è diventato un potere residuale. Eppure per la dottrina era il principale potere del Capo dello Stato, di qui tutta la retorica sul “semestre bianco”. Il Presidente della repubblica federale tedesca ad esempio non ha nessuno di questi poteri, può nominare il governo solo se il Cancelliere ha ricevuto un voto favorevole da parte del Bundestag a scrutinio segreto. E’ avvenuto quindi che a causa dell’instabilità del sistema politico nazionale il Presidente della Repubblica si è trovato diverse volte a svolgere quelle che in gergo vengono chiamate funzioni di supplenza in luogo di un sistema dei partiti bloccato. La dottrina ha chiamato questa dinamica “fisarmonica” indicando un esercizio del potere che si amplia o si contrae a seconda della forza o della debolezza del sistema dei partiti. E’ una giustificazione che non convince. Bisogna chiarire infatti se questo movimento oscillatorio sia nella fisiologia o nella patologia del sistema politico democratico. Chi scrive ritiene che faccia parte della seconda categoria. Quello che nell’ambito civile è la certezza del diritto, in quello pubblico costituzionale deve essere la certezza dei poteri. Il mito della fisarmonica cozza pesantemente con il principio della certezza dei poteri.
INDIRIZZO POLITICO
Se il Capo dello Stato è diventato, di fatto, il vero capo della maggioranza parlamentare, è lui e soltanto lui il punto di equilibrio del sistema politico, lui e soltanto lui è il titolare dell’effettivo indirizzo politico della Repubblica italiana. Ma essendo il Capo dello Stato politicamente irresponsabile, questo comporta un effettivo corto circuito nella vita democratica del paese. L’indirizzo politico, ovvero l’individuazione e il perseguimento dei fini politici cui deve tendere la democrazia italiana, è una funzione costituzionale di cui sono titolari il Governo e il Parlamento legati da un rapporto di fiducia. Questo dice espressamente il testo della legge fondamentale. Il Capo dello Stato invece non può essere sfiduciato. A questa osservazione generalmente si obbietta che il Capo dello Stato, quando interviene, lo fa perché chiamato per funzione a realizzare l’”indirizzo politico costituzionale” ed obbligando la Costituzione al rispetto dei trattati internazionali, di fatto il Presidente della Repubblica in Italia diventa il garante dei trattati internazionali, ovvero il garante degli obblighi europei assunti dal nostro paese, il garante del vincolo esterno. Solo che l’adempimento del vincolo esterno non può essere un esercizio tecnico burocratico, è anch’esso politico. Lo dimostrano questi anni di pandemia che hanno fatto completamente saltare la rigidità dei parametri fissati nei trattati. Ma non solo, la nomina imposta al Parlamento di due Presidenti del Consiglio: Mario Monti e Mario Draghi non può essere liquidata come un intervento di mera esecuzione dell’indirizzo politico costituzionale. Sono atti puramente politici e compiuti al di fuori delle consultazioni, che sono la consuetudine costituzionale che caratterizza la democrazia parlamentare italiana. Non è un caso che nessun’altra democrazia parlamentare europea conosca o abbia conosciuto governi tecnici.
CONCLUSIONI
Si può essere sinceramente lieti della rielezione del Presidente Mattarella per le qualità umane e spirituali che ha espresso e che esprime ma si può essere parimenti lieti della sua rielezione come momento rivelatorio delle disfunzioni istituzionali e costituzionali che porta alla luce, come momento rivelatorio di uno stato di eccezione.
I diversi tentativi che si sono susseguiti dagli inizi degli anni ’90 e che dovevano portare l’Italia ad essere una “democrazia dei cittadini”, ovvero una “democrazia governante”, ovvero una “democrazia decidente”, si sono dimostrati effimeri trionfi di sociologia politica privi di mettere solide radici nella società e nel diritto. La sociologia politica ha fallito perché non è mai diventata diritto, diritto costituzionale, si è sempre limitata alla legislazione elettorale. I tentativi di riforma costituzionale che si sono succeduti sono falliti perché sono stati percepiti più come referendum sui promotori che non come occasione per una rinascita della vita democratica nazionale. Fatto sta che l’Italia sia rimasta nel profondo una democrazia dei partiti anche se questi soggetti vivono da oltre trent’anni una sorta di regressione per cui dall’essere i “moderni Principi” sono diventate “le moderne ancelle” del sistema politico. Un episodio come la rielezione del capo dello stato dimostra tutta la loro inadeguatezza.
Stiamo dove ci trovavamo 30 anni fa. E’ il momento di apprendere dalle sconfitte e di fare verità. Da questa crisi non si esce con un Capo dello Stato illuminato ma che sulla carta è politicamente irresponsabile. Da questa crisi si esce solo cambiando nel profondo la forma di governo. Ci sono due strade: o prendere atto che l’evoluzione storica ha dato al Capo dello Stato la titolarità dell’indirizzo politico, e quindi assecondare questa evoluzione politicizzando questo fenomeno con una elezione diretta, rendendo quindi il Presidente contemporaneamente capo dello Stato e capo dell’esecutivo, oppure prendere atto che i poteri del Presidente italiano sono venuti piano piano a svuotare quelli dei partiti e quindi si decide di “germanizzarlo”. Questo comporta una ristrutturazione del sistema politico in direzione di una legge elettorale proporzionale con sbarramento e del cancellierato, ovvero un sistema dove non esistono le coalizioni ma i partiti si assumono comunque le proprie responsabilità. Delle due l’una ma bisogna mettere mano alla costituzione e cambiare nettamente la forma di governo. Lo deve fare questo Parlamento. Lo deve fare presto. Nell’anno che ci separa dalle prossime elezioni magari anche eccedendo la durata naturale del mandato per consentire la celebrazione di un referendum confermativo. Per ricostruire una democrazia funzionale occorre prendere atto che viviamo in uno stato di eccezione.