Il personal branding aumenta la comunicazione in maniera più definita, migliora il racconto di un’azienda, valorizza il dialogo tra imprenditori, utilizza nuovi approcci, presenta le innovazioni quasi fossero delle peculiarità da conoscere, evidenzia le professioni emergenti. A seguito del cambio di paradigma sociale ed economico del XXI secolo si affacciano quelle nuove modalità per promuovere un’azienda, senza tralasciare le professioni. Ed è proprio il personal branding a rappresentare a pieno titolo la differenza che stravolge gli approcci della comunicazione perché valorizza la competenza: condizione necessaria per evidenziare un proprio skill. Gianluca Lo Stimolo, Founder & CEO di Stand Out, la prima agenzia di comunicazione specializzata in strategie e servizi integrati di personal branding, approfondisce il concetto di personal branding declinato per le imprese e, più in generale, per l’economia italiana del XXI secolo.
Che ruolo assume il personal branding nell’economia italiana?
«La comunicazione di persone e individuale sta rivestendo sempre più un ruolo di tutto rispetto. L’origine è da ricercarsi da un lato nell’ingresso prepotente nelle abitudini degli italiani dei social network, che hanno posto l’attenzione di ogni individuo, indipendentemente dal livello socio culturale, sulla propria reputazione; dall’altro la consapevolezza diffusa del fenomeno delle fake news spinge, ogni giorno di più, imprenditori e professionisti a “metterci la faccia”, per farsi da garanti dei messaggi aziendali e superare la barriera alla fiducia e alla credibilità che proprio le fake news hanno edificato in ogni utente. Il personal branding e i servizi ad esso connessi stanno crescendo a ritmi esponenziali in tutto il mondo; proporzionalmente ancor di più nell’economia italiana che ha visto un’adesione eccezionalmente alta all’uso dei social media. Non sono ancora state condotte indagini quantitative precise, ma alcuni elementi possono far comprendere la portata e le dimensioni del fenomeno: le professioni del personal brander e del business celebrity builder sono state inserite al primo posto nella classifica Forbes Italia del 2018 tra i mestieri destinati a crescere nei successivi 12 anni, cioè con orizzonte 2030 (pur non essendo presente ancora alcun percorso accademico per intraprendere questa strada). Non a caso tutte le agenzie di comunicazione italiane si stanno dotando di business unit sul personal branding; crescono a ritmi inimmaginabili gli investimenti individuali in formazione e servizi per migliorare la propria comunicazione personale: dai corsi di social media marketing a quelli di fotografia, dai seminari su public e videospeaking, passando per l’utilizzo di servizi, come shooting fotografici e video e campagne di promozione di post social, fino ad arrivare all’acquisto di spazi sui media, anche tradizionali. Sono sempre più gli individui che si stanno trasformando in veri e propri inserzionisti, sconvolgendo il settore stesso dell’editoria pubblicitaria».
Il racconto di un’impresa in che modo incide nella produzione?
«Lo storytelling d’impresa ha un impatto enorme sui processi che portano un utente alla scelta di un brand, di un prodotto o di un servizio. La comunicazione dei valori, della mission e delle modalità distintive di un’impresa influenza in modo determinante le scelte d’acquisto e la fedeltà a una marca. È il racconto d’impresa, soprattutto in settori in cui i processi produttivi possono risultare equiparabili, a esaltare gli elementi differenzianti, consentendo al brand di distinguersi dai competitor e di condizionare positivamente il pubblico di riferimento e gli stakeholder. In questo contesto il personal branding del fondatore, imprenditore o manager di punta, gioca un ruolo essenziale, umanizzando la comunicazione e generando meccanismi di identificazione, altrimenti irrealizzabili».
Perché è fondamentale evidenziare le competenze?
«Perché sono le competenze, e in particolare la competenza principale, che il mercato riconosce a un individuo a determinarne la sua capacità di influenza. Tendiamo a seguire i suggerimenti di chi consideriamo un esperto, o meglio un luminare, in un ambito specifico. Non conta il numero di follower, bensì il riconoscimento di competenza. Coloro che erroneamente abbiamo definito “influencer” basano tutto sulla popolarità, spesso derivante da modalità comunicative accattivanti, e la loro reale capacità d’influenza è decisamente bassa. Al contrario un personal brand si basa su una competenza riconosciuta che determina un elevato potere d’influenzare l’opinione e le scelte d’acquisto sulle tematiche legate a quella competenza. Ecco perché è fondamentale distinguersi e farsi ricordare per la conoscenza e il know how specifico. La finalità stessa di qualsiasi attività di personal branding deve andare in questa direzione: non apparire più “patinati”, ma creare una forte neuro associazione nel pubblico di riferimento tra l’individuo e l’argomento che più cavalca e per il quale vuole essere ricordato».
Impresa e professionista. Quali sono le differenze da adottare per il personal branding?
«Un professionista nasce già con una logica comunicativa vicina al personal branding. È quasi sempre il volto del suo studio e, ad eccezione dei limiti deontologici imposti dall’eventuale ordine o albo di appartenenza, peraltro sempre superabili in una logica di content marketing, ha libertà pressoché totale nelle strategie e negli strumenti di comunicazione. Ferme restando le finalità di cui abbiamo appena parlato che, distinguendo il professionista e facendolo assurgere a punto di riferimento del suo ambito, gli consentono di uscire dalla guerra dei prezzi, le regole auree da rispettare sono quelle dell’autenticità e della referenzialità: non fingere di essere diversi da quello che si è e far sì che siano gli altri a pensare il meglio di noi, evitando di autoincensarsi. L’impresa d’altro canto ha logiche precise e manuali d’uso del brand, che vanno rispettati. Chi, avendo un rapporto di lavoro subordinato, volesse costruire il suo brand personale non solo deve necessariamente tenerne conto, ma qualora questo percorso non fosse concordato con il management (scelta consigliata), si troverebbe obbligato a una comunicazione con un basso profilo per non ottenere internamente l’effetto contrario. Un’impresa innanzitutto necessita di spokeperson e ambassador. Chi rappresenta l’azienda? Chi è il suo volto? La strada di affiancare alla comunicazione aziendale un personal brand di rilievo è ormai obbligata per qualsiasi impresa che vuole emergere e creare un elevato livello di fiducia ed engagement con in suoi pubblici. La scelta più ovvia è quella di costruire il personal brand dell’imprenditore, che è sempre più il vero testimonial e la personalità che meglio può assurgere al ruolo di garante dei messaggi aziendali. Ma quando questa via non è percorribile per ragioni di opportunità, di posizionamento disallineato o per problematiche reputazionali, la decisione può ricadere sull’AD o su un manager di punta. Oltre a rendere più efficace la comunicazione, umanizzandola, l’impresa consapevole ha altre ragioni per cui utilizzare strategie e strumenti di personal branding: oggi la sommatoria dei personal brand dei top manager è diventata uno degli asset immateriali che determinano il valore dell’impresa. È sufficiente pensare a tutte le volte in cui l’ingresso di un manager riconosciuto in un’azienda ne abbia determinato immediatamente l’innalzamento del valore del titolo azionario. Ma non vale solo per le grandi aziende, che oggi affrontano pure la sfida di trasformare la popolazione aziendale in brand ambassador. Anche il personal brand di uno startupper influenza il fundraising di un nuovo progetto imprenditoriale. Gli investitori vedono di buon occhio una competenza riconosciuta in linea con una buona business idea e un adeguato business plan. Insomma, siamo solo all’alba del giorno che vedrà il personal branding diffuso ancor più delle strategie di branding che ormai ogni azienda utilizza».
Francesco Fravolini