Il libro
Ultimo romanzo di Fitzgerald, rimasto incompiuto e tradotto per il cinema da Elia Kazan, L’amore dell’ultimo milionario è la storia di un produttore cinematografico di Hollywood, Monroe Stahr (interpretato nel film da Robert De Niro), figura dichiaratamente ispirata a quella di Irving Thalberg, golden boy della mgm dal 1924 al 1936. Stahr è un self-made man autoritario ma illuminato, geniale nelle intuizioni che guidano il suo lavoro. Ha la patina dell’eroe romantico, non tanto per il modo in cui sopporta il peso delle responsabilità, quanto perché una malattia fatale allunga su di lui l’ombra della tragedia. Vedovo della diva Minna Davis, s’innamora di una donna umile e sensuale, mentre sullo sfondo della depressione economica combatte una battaglia cruenta per il controllo della casa di produzione in cui lavora. Già pubblicato con il titolo Gli ultimi fuochi, in una versione infedele e rabberciata, L’amore dell’ultimo milionario viene ora riproposto con la cura filologica e il rigore che spettano di diritto a un maestro del romanzo del Novecento. Monroe Stahr emerge da queste pagine incompiute come l’ultima incarnazione dell’eroe fitzgeraldiano, dopo Jay Gatsby e Dick Diver. Nella malattia che lo opprime, ma che non gli impedisce di aprirsi a un nuovo amore e di lottare per la propria arte, non è peraltro difficile intravedere un autoritratto commovente e autunnale dello stesso scrittore, e degli ultimi, sofferti anni della sua breve vita.
La mia lettura
«Voglio scrivere scene che siano spaventose e inimitabili. Non voglio essere intellegibile per i miei contemporanei come Ernest, che come dice Gertrude Stein è destinato ai musei. Sono sicuro di essere abbastanza avanti da conquistare un pezzettino di immortalità, se continuo a star bene ».
Mentre scriveva queste cose Fitzgerald aveva già lasciato il suo indelebile segno nella letteratura mondiale ma non era nelle condizioni di rendersene conto e non fece in tempo a riprendersi per poter godere della fama meritata.
L’amore dell’ultimo milionario è un testo che se lo si vuol leggere con consapevolezza richiede dedizione e attenzione.
Minimun Fax ha affidato a Goffredo Fofi l’introduzione e a Paolo Simonetti la prefazione, io ho deciso di leggerle però solo dopo, quando cioè ero arrivata in fondo al testo e mi interessava sapere quante delle mie considerazioni da profana e semplice lettrice si erano avvicinate alla loro analisi, poche in effetti, ma sono convinta che non può esserci una interpretazione univoca trattandosi di un’opera incompiuta che non era chiara neppure a chi la stava scrivendo.
Chi cerca la prosa tipica di Fitzgerald sarà soddisfatto perché tra una pagina e l’altra troverà brani che possono essere già considerati “editati” per la loro bellezza e perfezione (almeno secondo i miei gusti):
«Seduti sugli alti sgabelli, presero minestra di pomodoro e toast. Era la cosa più intima che avevano fatto, ed entrambi sentirono una pericolosa sensazione di solitudine, che avvertivano ognuno nell’altro. Condivisero i vari aromi del locale, amaro e dolce e aspro, e il mistero della cameriera con i capelli tinti, ma neri sotto e, quando ebbero finito, la natura morta dei loro piatti vuoti: una fettina di patata, una di sottaceto e un nocciolo di oliva.
Faceva sera, fuori, e le fu facile sorridergli, adesso che risalivano in macchina.
«Grazie davvero. È stato un bel pomeriggio».
Non erano lontani da casa sua. Si intuiva il principio della salita, e sapevano che il rumore più forte della macchina in seconda era l’inizio della fine. »
Accanto a questi brani troviamo anche dialoghi che portano le tracce di qualcosa di mutato nel suo stile, probabilmente influenzato da quella attività di sceneggiatore nella quale non eccelleva ma che gli era economicamente indispensabile (cosa molto comune a tanti scrittori in quegli anni ), toni più sbrigativi.
Mi sono chiesta dove volesse arrivare con alcuni personaggi, che funzione avessero, tipo:
«Lei che fa?», chiese il negro a Stahr.
«Lavoro nel cinema».
«Ah». E dopo un po’ aggiunse: «Io non ci vado mai». «Perché no?», chiese Stahr secco.
«Non serve a niente. I miei gli non ce li mando».
Stahr lo fissò, mentre Kathleen fissava lui con aria protettiva. «Alcuni non sono male», disse contro gli spruzzi di un’onda.
Ma lui non la sentì. Non aveva paura di contraddirlo, e lo ripeté. Stavolta l’uomo la guardò con indifferenza.
[…] «Povero vecchio Sambo», disse lei.
«Che cosa?»
«Non li chiamate povero vecchio Sambo?»
«Non li chiamiamo in nessun modo». Dopo un po’, aggiunse: «Hanno i loro film».
Non sapremo mai se aveva intenzione di affrontare il tema razziale nel cinema o se la sua era una semplice provocazione.
Sicuramente ciò che io mi sono figurata è che Stahr sarebbe stato un uomo eternamente insoddisfatto, nessuna meta raggiunta lo avrebbe aiutato a vivere meglio, ogni vittoria avrebbe avuto un sapore dolce amaro.
Intono a questo lavoro incompiuto si è comprensibilmente sviluppato un dibattito che per sua natura necessitava di elementi “misteriosi” a partire dal titolo, è quello che succede se un autore muore prima di avere la possibilità di portare a compimento la sua storia esponendosi con i lettori che lo avrebbero poi “giudicato”.
Che destino aveva in mente Fitzgerald per il suo protagonista? E Cecelia? Come si sarebbe evoluta veramente? All’inizio della storia è una ragazza di appena vent’anni, nelle vesti di voce narrante di anni ne ha venticinque e sembra aver disatteso l’aspettativa di vederla diventare un giovane ricca snob.
Gli appunti dell’autore sono sicuramente qualcosa di prezioso per un lettore, difficile per me dire che questo sarebbe stato un altro grande romanzo di Fitzgerald, non ho le competenze, i tempi erano cambiati e le cose da dire erano necessariamente differenti, anche la figura di Thalia, mi è parsa molto diversa dalle altre protagoniste fitzgeraldiane.
La prima persona e il punto di vista femminile di Cecelia diventano poi terza persona e il punto di vista di Stahr, le due voci sono diametralmente opposte e io le ho percepite come appartenessero a due storie diverse.
I diciassette “episodi” o “scene” scritti dall’autore sarebbero stati sufficienti per ultimare circa cinque capitoli, mancava ancora quasi la metà delle parole che si era prefissato (sembra 60.000 che una volta sfoltite sarebbero diventate 50.000) per avere materiale sufficiente a dichiarare conclusa la prima bozza del romanzo.
«Sarà un romanzo di cinquantamila parole. Siccome ne dovrò scrivere sessantamila, per lasciare spazio ai tagli, ho pensato che ci vorranno quattro mesi – tre per la scrittura, uno per la revisione. Per quel che mi riguarda il progetto, come testimoniano una sessantina di pagine di traccia e appunti, è pronto. Sarei infinitamente più contento di dedicarmi a questo, adesso che sono tornato a star bene, piuttosto che portarmi a casa qualche lavoro da imbrattacarte.»
Non posso non citare una delle più famose frasi di Fitzgerald:
“There are no second acts in American lives.”
(Non esistono secondi atti nelle vite americane.)
Questa affermazione sembra tagliata su misura per Stahr, per la sorte che gli ha riservato l’autore, vale anche per l’autore stesso la cui vita non ha avuto un secondo atto, si è interrotta troppo presto per continuare invece sulle pagine, su questi appunti di cui parlo io oggi come milioni di altri lettori e lettrici nel mondo.
L’amore dell’ultimo milionario di Francis Scott Fitzgerald
Traduzione: Maria Baiocchi , Anna Tagliavini
Minimum Fax
Pg 242 € 14,00