Le parole inequivocabili del presidente Sergio Mattarella hanno avuto in me – in qualche modo – l’effetto di un'”effatà” (espressione semitica che significa apertura dei sensi), la fine (spero temporanea) di un’afasia, la rottura di un silenzio paralizzante.
Faccio ancora fatica a pensarmi in un tempo di guerra per quanto – io classe 1976 – non abbia abitato sempre in terra paradisiaca ma in un mondo in sto conflittuale a diverse intensità (guerre civili, secessioniste, regionali). Tutte le guerre sono, parafrasando Papa Francesco, un “controsenso” dell’umanità perchè propongono una grammatica della distruzione rispetto alla vera vocazione umana, quella di vivere in libertà e nel continuo rispetto della convivenza dei popoli.
Pura utopia, direte ma sono contento ed orgoglioso di vivere con questo codice etico impresso nell’animo ripudiando, sub specie constitutionis, la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Ciò detto, però, non si può commettere quel grave errore di sovrapposizione che distorce la realtà fattuale; pertanto non c’è simmetria tra le parti in causa, e non è ammissibile – pur con tutte le paure globali all’orizzonte – non discernere e separare di netto chi è vittima e chi carnefice, chi aggredisce e chi si difende poichè aggredito.
Il presupposto drammatico sta lì davanti a noi, interpella tutti coloro che la fanno facile nella comodità (a tratti paracula) giocosa di certi talk diventati – ahinoi – bolle impermeabili ad ogni tentativo di ragionamento. Vedete qua non siamo davanti all’uno-vale-uno per cui si possono dire sciocchezze gratuite e pontificare in nome di una geopolitica un tanto al chilo o imparata con due click sul web tanto per darsi un tono e un’autorevolezza che non si aveva ieri e probabilmente non si possiederà domani.
La globalizzazione ci avrebbe dovuto insegnare che la complessità è una roba seria e impegna tutti – per livelli – a non appiattire le questioni con la teoria della faziosità acritica, che dice una cosa e poi deve sovrascriverla il giorno dopo per rincorrere il consenso. E quando arriva il conto il nostro paese non è attrezzato a fare scelte ponderate. Vi ricordate quanto ci hanno triturato per settimane sul rapporto costi-benefici? E pensando al piano energetico, chi in questi anni ha visto oltre il proprio profilo social? Chi, in politica estera, ha avuto una visione e costruito un pensiero europeo che ci portasse a non essere sempre il due-di-picche nel mezzo tra le grandi potenze?
Mi vengono di botto queste domande ma per continuare fate voi.
Ecco perchè è importante partendo da un punto di partenza inequivocabile (chi aggredisce e chi si difende) fare in modo che la frittata non porti a rompere tutte le uova nella dispensa. E pur nell’incertezza dei tempi futuri a cui non so dare risposta se non invocando la fine delle ostilità, non voglio spostarmi dall’a-priori etico e politico manifestato dal Capo dello Stato secondo cui “La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere uno Stato indipendente, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo. L’incendio appiccato alle regole della comunità internazionale appare devastante; destinato a propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermarlo subito, scongiurando il pericolo del moltiplicarsi, dalla stessa parte, di avventure belliche di cui sarebbe difficile contenere i confini. Per tutte queste ragioni la solidarietà, che va espressa e praticata nei confronti dell’Ucraina, deve essere ferma e coesa.
È possibile che questo comporti alcuni sacrifici. Ma questi avrebbero portata di gran lunga inferiore rispetto a quelli che sarebbe inevitabile subire se quella deriva di aggressività bellica non venisse fermata subito.