BRUXELLES. Lo scorso dicembre, un bizzarro gruppo di donne delle pulizie si aggirava sotto la neve nel quartiere europeo di Bruxelles. Armate di straccio e scopettone, si sono presentate davanti alla sede della International Swaps and Derivatives association (Isda), che nei mesi precedenti aveva rappresentato gli interessi del settore nella formulazione di nuove regole sui derivati. Mentre si davano da fare a ramazzare scale mobili e vetrate, qualificandosi come Lobby cleaner (pulitrici di lobby), hanno assegnato a Isda il “Worst Lobby Award”, ovvero il premio come peggiore lobby dell’anno.
Nessuna reazione immediata da parte della lobby finanziaria, per la quale il primo premio da “cattiva” testimoniava in realtà il successo nell’aver raggiunto l’obiettivo: mitigare il furore europeo nel regolamentare il mercati dei derivati Over the counter (Otc), di cui i suoi membri tengono le redini a livello mondiale. Un mercato che a fine 2009 aveva raggiunto una dimensione nominale di 604.000 miliardi di dollari Usa (dato della Banca dei regolamenti internazionali). Certo in calo dal dato del giugno 2008 (prima del collasso di Lehman Brothers), quando i derivati Otc avevano toccato i 672.000 miliardi, ma non così tanto da evitare che a giugno 2010 si fossero raggiunti i 582.000 miliardi.
La proposta pubblicata dalla Commissione europea il 15 settembre 2010, infatti, poteva suonare morbida se confrontata con i proclami dei leadereuropei allo scoppio della crisi finanziaria, e ancora nell’estate del 2010. “Contrariamente a quanto annunciato da leader come Merkel e Sarkozy, [la proposta] non proibisce i prodotti più pericolosi”, spiega Yiorgos Vassalos, di Corporate Europe Observatory (Ceo), una delle quattro organizzazioni che dal 2005 assegnano il premio. “La nuova struttura proposta dalla Commissione – spiega Vassalos – è di nuovo basata su una logica di autoregolamentazione con delle stanze di compensazione private (che appartengono agli stessi attori del mercato)”. Inoltre, “uno stato membro non avrà più il diritto di proibire a livello nazionale i prodotti nocivi. La decisione dovrà passare dal livello europeo e ci vorrà il consenso di tutti i 27.”
Come aveva fatto Isda – che raggruppa praticamente tutti i maggiori istituti finanziari internazionali, da Goldman Sachs a Deutsche Bank, passando per Generali e Intesa Sanpaolo – ad evitare una stretta più severa? Semplice: si era infilata in maniera capillare nel “gruppo di esperti” che la Commissione ha utilizzato come organo consultivo nel formulare i suoi regolamenti. Il “Derivatives expert group” era composto da 44 membri: di questi, 10 erano autorità pubbliche di controllo degli organismi finanziari e 34 appartenevano ai pesi massimi della finanza internazionale: di queste, 25 erano direttamente legate a Isda le rimanenti 9 erano di associazioni simili, quattro delle quali condividono una larga fetta di associati con la stessa Isda.
Insomma, i principali imputati della crisi finanziaria erano stati invitati a riscrivere le regole che loro stessi avrebbero dovuto applicare. Complice anche un meccanismo che, per ammissione dello stesso commissario al mercato interno, Michel Barnier, presenta ancora molte falle: “Occorre fare di più per aumentare la partecipazione attiva di rappresentanti della società civile nel policymaking che riguarda il mercato interno, in modo da raggiungere un equilibrio con i rappresentanti che non appartengono all’industria”, ha scritto Barnier in una lettera rispondendo ad Alter-Eu, organizzazione-ombrello di chi vigila sulle lobby europee, proprio in seguito a sollecitazioni sui gruppi di esperti consultati per la riforma finanziaria.
Quanto abbia speso Isda nel suo sforzo ben riuscito è determinabile solo in parte. Secondo il registro dei rappresentanti di interesse istituito nel 2009 dalla Commissione europea, l’associazione ha speso in quell’anno una cifra fra i 650.000 e i 700.000 euro. Una cifra che però non tiene conto di eventuali sforzi individuali da ciascuno dei suoi membri, come ad esempio Royal Bank of Scotland o Deutsche Bank, che nel registro volontario delle lobby attive a Bruxelles non compaiono affatto. Ma questo non vuole dire che non agiscano, anzi. Royal Bank of Scotland, per esempio, è molto attiva dietro le quinte ed è anche riuscita ad accaparrarsi l’ex commissario Guenter Verheugen come senior advisor, commettendo uno dei peccati che da Ceo elencano come più comuni: quello delle revolving doors, le porte un po’ troppo oliate che dividono istituzioni e mondo corporate. Questo le è valso il secondo posto nella classifica delle Worst lobby.
Isda alla cui vicepresidenza siede Michele Faissola, nipote di Corrado, fino a poco fa alla guida dell’Abi e ancora presidente di Ubi Banca, non ha voluto commentare sul premio ricevuto. In ogni caso, il lobbying non è ancora finito. La proposta della Commissione passerà ora all’Europarlamento e al Consiglio che entro la metà del 2012 vareranno in co-decisione le regole definitive. Il carrozzone delle lobby è già pronto a spostarsi al Parlamento europeo, dove per ora ha ricevuto fredda accoglienza da parte di Kay Swinburne, membro del Comitato parlamentare sugli affari economici e monetari. Alla recente Euromoney Derivatives Conference, la Swinburne ha avvisato gli organismi di regolamentazione e le società di badare alle maniere in cui fanno lobbying sui membri del parlamento europeo, onde evitare effetti controproducenti. “Ho già visto Gary Gensler [il presidente della Commodity futures trading commission] e la sua squadra al Parlamento europeo più volte di quanto non lo vedano i suoi ministri negli Usa, e questo dimostra quando siano tenaci nel volere che rimaniamo in linea con il quadro già definito da loro”, ha detto. Siano avvisati i lobbisti di Isda: forse questa volta occorrerà essere più sottili.