Prima o poi, i nodi arrivano al pettine. Per le Assicurazioni Generali, terza compagnia in Europa e fra i tre più importanti gruppi finanziari italiani, il momento è arrivato con il cda di oggi. Come pure per il presidente Cesare Geronzi, reduce da una controversa intervista rilasciata il 16 febbraio al Financial Times che ha generato scompiglio riguardo alle strategie e al governo del gruppo triestino. Clicca qui per il comunicato diffuso al termine della riunione.
Questa mattina alle 11.30 il consiglio di amministrazione del Leone si è riunito per esaminare le risultanze del 2010 (73 miliardi di premi raccolti, in crescita del 3,8%). La crepa che si è aperta nella prassi di governo della società ha imposto di non limitare i conti ai soli numeri e di fare chiarezza anche sugli assetti di governance. L’annuncio, a mezzo quotidiano della City, che la compagnia «potrebbe considerare di investire ulteriormente nelle banche italiane» e in infrastrutture come il Ponte sullo Stretto è stato letto come l’atto rivelatore della confusione che regna nella conduzione di una delle principali compagnie assicurative europee, e dei pericoli strategici a cui essa va incontro. «Secondo noi questo potrebbe essere un segnale negativo nella direzione sbagliata», ha dichiarato Thomas Noack, che segue il titolo per WestLandesBank, grande banca tedesca.
Il danno emergente causato dal passo falso di Geronzi, il primo da quando è stato eletto presidente delle Generali nel maggio 2010, è la perdita di credibilità tanto dell’uomo quanto della società. Il lucro cessante potrebbe essere ben peggiore, se gli amministratori della compagnia non si decideranno a sciogliere le ambiguità, nate sin dal primo giorno della presidenza Geronzi, e a garantire che i vertici del Leone, se non con una sola voce, parlino almeno la stessa lingua e lavorino per gli stessi obiettivi.
Al di fuori delle sedi deputate, è stato infatti annunciato un nuovo indirizzo strategico difforme da quanto comunicato finora al mercato, per di più in assenza di uno specifico mandato del consiglio di amministrazione. Gli analisti di Autonomous Research hanno fatto subito notare la discrepanza con gli obiettivi presentati a novembre dall’amministratore delegato Giovanni Perissinotto. In quell’occasione, il manager, a cui il cda ha affidato il ruolo di capo-azienda, ha infatti dichiarato che la compagnia avrebbe strategicamente ridotto l’esposizione sull’azionario, e in particolare sui titoli finanziari, per spostarsi sugli immobili. Qual è dunque la vera strategia? Dare i soldi a banche che li hanno finiti o puntare su investimenti tranquilli, che permettano di onorare gli impegni con gli assicurati? Qual è il profilo di rischio, cioè, che ci si può ragionevolmente attendere dalla compagnia per gli anni a venire?
Nel merito, l’allarme degli analisti è più che comprensibile. Le prospettive delle banche italiane sono considerate preoccupanti. Gli interventi prefigurati dal presidente di Generali, che il quotidiano britannico da tempo chiama non banchiere ma powerbroker, sembrano rientrare in una logica ambigua di “operazione di sistema”. Operazioni che, secondo quanto Geronzi ha detto nel giugno 2010 in un incontro con i dirigenti del Leone, «non sono affatto scelte politiche», sono nell’interesse dell’impresa e «soddisfano anche l’interesse generale». Operazioni che il mercato legge, però, come un affare di potere, favori e poltrone, senza troppo riguardo alla redditività. Ancora più duro è il commento degli analisti di Kepler Capital: «È anche più drammatico, secondo noi, che la visione strategica si muova tra l’astruso (finanziare il progetto del Ponte sullo stretto quando Berlusconi è vicino alla dimissioni) e l’inutile (acquisire banche per Generali non porta a nulla)». A poco è valsa la successiva correzione di rotta dell’ex presidente di Capitalia, arrivato al vertice del Leone il 24 aprile 2010: «piena salvaguardia degli obiettivi di economicità ed efficienza», è stato costretto a precisare, «la priorità delle Generali è la redditività».
Così un’operazione di comunicazione, pensata per dare una lucidata all’immagine dopo gli scontri con il consigliere Diego Della Valle, imprenditore nel ramo calzature, socio e consigliere, si è trasformata in un boomerang per Geronzi, che questa settimana ha dovuto incassare anche le dimissioni dal cda di Leonardo Del Vecchio – fondatore di Luxottica, socio leggermente sotto al 2% della compagnia e imprenditore molto considerato in Italia e all’estero. Un addio in aperta polemica con la conduzione degli affari nel cda.
Il corto circuito al vertice potrebbe comunque rivelarsi un bene, osservano gli analisti, se diventa l’occasione per fare chiarezza sulla governance, oltre che per approvare i conti e decidere sulla partecipazione nella casa editrice Rcs, che Della Valle vorrebbe venisse ceduta. Una chiarezza necessaria non solo davanti agli azionisti e ai dipendenti (16mila in Italia, 85mila nel mondo), ma anche di fronte ai clienti (10 milioni solo in Italia) ai suoi agenti (3.400 in Italia più 2.100 promotori finanziari) e alla comunità finanziaria. La compagnia gestisce beni per oltre 400 miliardi (gran parte dei quali a garanzia degli assicurati) e raccoglie ogni anno circa 70 miliardi di premi. Quanto basta per capire che l’importanza di come viene condotto il Leone va ben oltre il sali-e-scendi delle quotazioni di Borsa: riguarda il modo in cui in Italia si crea Pil o, se si preferisce, ricchezza e benessere.
Linkiesta propone ai lettori una ricostruzione puntuale delle competenze della presidenza della Assicurazioni Generali sulla base dello statuto approvato nell’assemblea del 24 aprile 2010 e delle attribuzioni decise dal consiglio di amministrazione.